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LA RIVOLUZIONE FRANCESE
La rivoluzione francese trasformò il sistema di potere, i contenuti e i metodi della politica
non solo in Francia, ma in tutta l’Europa continentale. La rivoluzione francese scoppiò nel
1789, affondava le sue radici nella crisi attraversata dalla Francia nel XVIII secolo. Dalla
morte di Luigi XIV l’assolutismo si era indebolito; monarchia e ceti privilegiati si
confrontavano senza che l’uno e gli altri riuscissero a prevalere. Fra i tanti problemi di
governo, uno sembrava riassumerli tutti: l’incapacità di risolvere la crisi finanziaria.
L’indebitamento statale aveva raggiunto da tempo dimensioni tali da esigere la tassazione
dei ceti privilegiati che ne erano esenti. Clero e nobiltà non accettarono di scendere al
rango del terzo stato; la monarchia e il re Luigi XVI non avevano del resto né il prestigio
per trovare un consenso a queste riforme né la forza per imporle. Nell’estate del 1787,
cominciò a prendere corpo la richiesta di affidare la situazione della questione fiscale agli
stati generali, che determinò la mobilitazione politica del terzo stato.
1789: IL ROVESCIAMENTO DELL’ANCIEN REGIME
Decisiva fu appunto la mobilitazione politica del terzo stato, fra la fine del 1788 e gli inizi
del 178. Nello stesso periodo cominciarono a essere evidenti gli effetti della crisi
economica. Il pessimo raccolto agricolo del 1788 aveva determinato un’improvvisa
impennata dei prezzi del frumento. Il 1789 si aprì con una situazione di forte tensione negli
strati popolari, che diede luogo a molti tumulti per il carovita. A marzo si tennero le elezioni
(a solo suffragio maschile) dei deputati agli stati generali. In ogni circoscrizione, i
rappresentanti del clero e della nobiltà furono eletti direttamente. Per il terzo stato era
previsto invece un sistema diverso; gli elettori dovevano aver compiuto i 25 anni di età ed
essere contribuenti; nonostante l’ampiezza dell’elettorato contadino e artigiano, i deputati
del terzo stato furono tutti di estrazione borghese. Al momento della seduta inaugurale
degli stati generali a Versailles, la maggioranza dei deputati era favorevole a un profondo
rinnovamento delle strutture politiche e amministrative. Ma questa maggioranza non era in
grado di far valere il proprio perso finché non venisse riconosciuto il voto per testa. Ancora
una volta l’iniziativa spettò al terzo stato che con l’appoggio di alcuni membri del basso
clero, si proclamò assemblea nazionale. I deputati trovata chiusa la loro sede per ordine
del re, si riunirono nella sala della pallacorda, e giurarono di non sciogliersi prima di aver
dato alla Francia una costituzione. A essi si aggiunse la maggioranza del clero, e dopo
qualche giorno il re dovette cedere e ordinò alla nobiltà e alla minoranza del clero di unirsi
al Terzo stato. A questo punto l’antico sistema rappresentativo della società per ceti, gli
stati generali, cessava di esistere e di lì a poco nasceva l’assemblea nazionale
costituente. Mentre la monarchia si preparava ad arginare e a reprimere questa
rivoluzione istituzionale, Parigi era in subbuglio. Il 14 luglio, un corteo popolare giunse
sotto le mura del castello della Bastiglia, aprendo il fuoco. Il 14 luglio sarà considerato in
seguito la data iniziale della rivoluzione, per divenire poi nel 1880 festa nazionale
francese. E in effetti la presa della Bastiglia impresse una svolta alla vicenda
rivoluzionaria: il popolo parigino irrompeva sulla scena. Il 17 luglio Luigi XVI riconosceva la
costituzione di una nuova municipalità nel comune di Parigi. In meno di un mese, una
serie di atti rivoluzionari testimoniava la nascita di nuovi poteri e il progressivo
sgretolamento dell’ancien regime. Nella seconda metà di luglio la sollevazione delle
campagne introdusse un ulteriore elemento di accelerazione di questo processo. Sospinta
da questi avvenimenti, in un atmosfera di volontà distruttiva del passato l’assemblea
decise l’abolizione del regime feudale. Per i diritti feudali fu stabilito che quelli gravanti
sulle persone (come le corves) erano interamente aboliti, mentre i diritti sulle terre (diritti
reali) considerati una forma di proprietà dovevano essere riscattati. Così fu approvata
dall’assemblea la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. La dichiarazione
rivendicava i principi fondamentali della libertà e dell’eguaglianza e poneva come
obbiettivo, la conservazione dei diritti naturali dell’uomo. La dichiarazione costituì l’atto di
morte dell’ancien regime. L’ultima spallata alla struttura dell’ancien regime fu data dalla
requisizione dei beni ecclesiastici; proprietà terrieri edifici urbani e rurali divennero beni
nazionali e servirono come garanzia per l’emissione di nuovi titoli di stato, gli assegnati. La
vendita all’asta dei beni nazionali pagabili con gli assegnati, avrebbero sancito il deficit
pubblico. Cessarono le discriminazioni contro i protestanti ai quali furono riconosciuti diritti
civili. L’abolizione della schiavitù nelle colonie sarà invece decretata solo nel febbraio
1784.
LA RIVOLUZIONE BORGHESE: 1790-91
Il 1789 suscitò entusiasmi e aspettative diffuse: crebbe in tutta la Francia la mobilitazione
intorno agli ideali rivoluzionari. Le nuove municipalità e la Guardia nazionale furono i più
importanti organismi di aggregazione e di partecipazione. Il 14 luglio del 1790
all’anniversario della presa della Bastiglia, si celebrò la festa della federazione, questo
dava testimonianza del fatto che ci fu un ampio consenso alla rivoluzione. I due principali
canali di mobilitazione e di propaganda furono i club e la stampa. Fra i club la società
dell’89 era di tendenze moderate. Posizioni radicali aveva invece la Società degli amici dei
diritti dell’uomo e del cittadino, detta anche dei cordiglieri. Ma il club più importante si
rivelerà quello dei giacobini nato nel dicembre del 1789. Organizzati secondo una rigida
disciplina i giacobini miravano, con un intensa attività a esercitare un controllo serrato
sull’attività delle istituzioni. Fra i membri di spicco dei giacobini troviamo Robespierre, e
Brissot. La libertà di stampa aveva favorito il proliferare di numerosissime pubblicazioni
periodiche di ogni tendenza: democratica, moderata, controrivoluzionaria. Quella che
potremmo definire la rivoluzione politica del Terzo stato si veniva organizzando come un
regime politico di borghesi benestanti e di proprietari terrieri e in questo senso possiamo
parlare di rivoluzione borghese. Quando nel dicembre del 1789 si trattò di decidere i criteri
in base ai quali attribuire i diritti politici, i cittadini furono distinti in attivi e passavi in base al
censo. Gli appartenenti agli strati più poveri della società erano considerati cittadini passivi
ed erano esclusi dal diritto di voto. Condizione per essere eletti deputati era possedere
una qualsiasi proprietà fondiaria e pagare almeno un marco d’argento di imposte. Questo
sistema elettorale censitario riservava ai notabili la rappresentanza della nazione, ma
rischiava di non essere compatibile con la mobilitazione di larghi strati popolari soprattutto
urbani, in parte relegati nella categoria dei cittadini passivi, privati dei diritti politici e
formalmente esclusi anche dalla Guardia nazionale. Nonostante, la sua importanza la
questione dei diritti politici rimase sullo sfondo anche perché le elezioni si tennero solo
nell’estate del 1791. Due altri fondamentali problemi, fra il 90 e il 91, misero in gioco le
basi del consenso: l’atteggiamento del re e la politica ecclesiastica. Luigi XVI continuava a
subire passivamente la rivoluzione. Era inoltre sempre più legato al partito della regina
Maria Antonietta (austriaca) decisa controrivoluzionaria, e alla consistente emigrazione
nobiliare che si organizzava all’estero in previsione di un ritorno all’ancien regime, se
necessario con l’aiuto delle grandi potenze europee. Fermenti, agitazioni ed episodi di
ribellione controrivoluzionaria si erano del resto già avuti in varie parti della Francia e
davano fondamento ai diffusi timori popolari di un completo aristocratico. Dopo la
requisizione dei beni della chiesa apparve inevitabile che spettasse allo stato il
mantenimento degli ecclesiastici, equiparati ai funzionari pubblici dalla costituzione civile
del clero, votata nel luglio del 1790. La costituzione civile attribuiva la nomina dei vescovi e
dei parroci alla assemblee elettorali locali, e come tutti gli altri funzionari anche gli
ecclesiastici furono obbligati a giurare fedeltà alla nazione, al re, alla costituzione. Questa
profonda trasformazione ecclesiastica, fu condannata da papa pio VI, il basso clero si
divise fra favorevoli (costituzionali) e contrari (refrattari) alla costituzione civile. La Francia
fu divisa in 83 dipartimenti geograficamente omogenei. Fu instaurato un decentramento
che rovesciava il sistema accentrato voluto dalla monarchia assoluta. Parigi fu diviso in 48
sezioni che corrispondevano ad altrettante assemblee elettorali. Il regime politico che si
veniva definendo era un regime liberale, fondato sulla separazione dei poteri. I giudici
divennero elettivi. Fu previsto un parlamento composto da una sola camera, l’assemblea
legislativa, della durata di due anni. I ministri di nomina regia, erano responsabili solo di
fronte al sovrano e non potevano essere membri dell’assemblea. Il re aveva facoltà di
opporre un veto sospensivo alle leggi votate dall’assemblea: solo dopo la conferma in due
assemblee successive, tali leggi sarebbero diventate esecutive. Il sistema previsto dalla
costituzione del 91 approvata a settembre era congedato in modo da richiedere, per un
suo corretto funzionamento, uno stabile accordo tra potere esecutivo e quello legislativo,
fra sovrano e assemblea. Ma l’equilibrata realizzazione di una monarchia costituzionale, fu
spezzata via dalla fuga del re da Parigi il 20 giugno del 1791. Il gesto del re mostrava la
sua chiara adesione ai programmi degli emigrati e della controrivoluzione. Il disegno era
quello di guidare dall’estero una restaurazione armata della vecchia Francia. Riconosciuto
a Varennes il re fu ricondotto a Parigi insieme alla sua famiglia.
LA RIVOLUZIONE POPOLARE, LA REPUBBLICA E LA GUERRA RIVOLUZIONARIA:
1791-93
Il 30 settembre del 1792 si sciolse l’assemblea nazionale costituente e il 1 ottobre si riunì il
nuovo parlamento, l’assemblea legislativa, che era costituita da 250 deputati moderati
(foglianti) 350 costituzionalisti e 136 giacobini, (fra cui molti attivi vi furono i girondini).
Nessuno di questi gruppi poteva organizzare un’egemonia politica, mentre la corte e gli
immigrati continuavano a organizzare la controrivoluzione, appoggi