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I tratti distintivi della materia così identificata

I tratti distintivi della materia così identificata paiono essere:

  1. l’esistenza di una fonte collettiva o di natura contrattuale o, più raramente, regolamentare;
  2. la separazione del patrimonio destinato all’obiettivo della previdenza complementare;
  3. la prefissione degli stessi obiettivi della previdenza di base;
  4. la previsione di strumenti diversi rispetto alla previdenza di base: la capitalizzazione e la corrispettività.

Il contenuto della materia, dunque, alla luce dell’evoluzione normativa impressa dalle leggi di riforma del 1993 e 1995 ruota intorno a due fulcri:

  1. il nesso funzionale con la previdenza obbligatoria che ne ha oggettivamente trasformato i caratteri, ponendo in discussione la sua connotazione privatistica e dunque assottigliando linee di distinzione che in precedenza parevano assodate;
  2. il principio di libertà e più precisamente di “una libertà di tipo funzionale, in quanto, appunto gli atti.
diestrinsecazione della stessa devono essere finalizzati al conseguimento dello specifico obiettivo della previdenza complementare”.[37]

Sul primo fulcro, è dato difficilmente contestabile che le riforme del 1993 e 1995 abbiano collocato, a torto o a ragione poco importa, la previdenza complementare “all’interno della complessiva struttura diretta ad attuare la garanzia di cui all’art. 38, 2° comma, Cost”.[38]

In tale direzione concorrono indubbiamente anche i più recenti provvedimenti normativi.

In primo luogo, la nuova disciplina fiscale del settore introdotta dal d.lgs. n. 47/2000 come modificato ed integrato dal d.lgs. n. 168/2001, che, innalzando il tetto di deducibilità e ampliando la base di commisurazione del limite percentuale del 12%, ora costituita dal reddito complessivo del soggetto, hanno configurato i presupposti per un incremento dei livelli di contribuzione e per l’adesione al sistema di nuove fasce di soggetti.

secondo luogo, il d.P.C.M. 2.3.2001, recependo le indicazioni previste nella l.388/2000: ha spostato al 1 gennaio 2001 la data a partire dalla quale inizia a operare automaticamente per i nuovi assunti l'istituto del TFR; ha previsto uno stanziamento per il finanziamento della quota di contribuzione a carico del datore di lavoro; ha affidato all'INPDAP il compito di ripartire quella somma tra i vari fondi interessati.

In terzo luogo, la l. 152/2001 di riforma degli istituti di patronato e di assistenza sociale, ha riconosciuto a questi enti un potere di intervento e di rappresentanza degli interessati anche nel settore dei fondi pensione per il conseguimento delle prestazioni, compresa l'attività di assistenza degli interessati in sede giudiziaria.

Tali attività, peraltro, sono in linea di massima gratuite e prescindono dall'adesione dell'interessato all'organizzazione promotrice.

Il dato normativo, inoltre, è accompagnato da

un'opera di interpretazione della Corte tesa a stabilizzarnel'interpretazione in tal senso. La collocazione della previdenza complementare nel sistema dell'art. 38, secondo comma, è stata più volte confermata dalla Corte costituzionale dopo la riforma del 1995. Assolutamente netta in tal senso è la sent. n. 393/2000 in cui la Corte, dopo aver ricostruito il sistema normativo così come modificato per effetto delle riforme del 1993-1995, ed aver fatto cenno ad una "tendenza riformatrice" più volte evidenziata (sentt. 421/1995; 292/1997; 178/2000) afferma che "alla stregua dell'evidenziato quadro normativo non può essere posta in dubbio la scelta del legislatore, enunciata sin dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421, e, via via, confermata nei successivi interventi, di istituire (così come, del resto, non sfugge allo stesso rimettente) un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare,

collocando quest’ultima nel sistema dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione.”[40] 11Il riferimento che la Corte opera ad un modello interpretativo che lega il secondo comma dell’art. 38 (comprensivo della previdenza complementare) al principio di solidarietà (per cui vi sarebbe un "dovere specifico di cura dell’interesse pubblico a integrare le prestazioni previdenziali, altrimenti inadeguate, spettanti ai soggetti economicamente più deboli") mette in discussione la stessa configurazione della previdenza complementare come strumento che, secondo la dizione della legge, assicura più elevati livelli di copertura. La previdenza complementare, infatti, pare concorrere (più che aggiungersi) con quella obbligatoria ad assicurare livelli adeguati. A questa configurazione della previdenza complementare come quasi-obbligatoria, tuttavia, contraddice sia il carattere facoltativo della istituzione dei regimi pensionistici sia

L'inesistenza di reciproci condizionamenti tra gli importi delle prestazioni pensionistiche complementari e quelli delle prestazioni pensionistiche di base. [41] Dubbi e perplessità non completamente fugati neppure dalle previsioni contenute nell'attuale Disegno di legge delega per la riforma del sistema previdenziale in cui si accentua fortemente la pubblicità della previdenza complementare, senza tuttavia giungere a postularne l'obbligatorietà. [42] Per quanto attiene, poi al secondo fulcro, è altrettanto indubbio, nonostante i condizionamenti e i limiti connessi al regime tributario e alle esigenze di tutela del risparmio, che le principali scelte sono affidate all'autonomia collettiva. È il contratto collettivo (normalmente) che istituisce il fondo, che ne identifica l'assetto strutturale, che definisce la tipologia delle prestazioni, che disciplina il finanziamento che, ancora, definisce l'importo della pensione.

La centralità della contrattazione collettiva quale scelta originaria del rilancio della previdenza complementare è stata progressivamente potenziata dall'art. 9 del d.lgs. n. 335 del 1995 secondo cui se non sussistono o non operano diverse previsioni in merito alla costituzione dei fondi aperti, "la facoltà di adesione ai fondi aperti può essere prevista anche dalle fonti istitutive su base contrattuale collettiva".

Segue. Lo spazio legislativo regionale tra funzionalizzazione della previdenza complementare a alla previdenza di base e libertà privata di costituzione dei fondi pensione.

Se questa è, come pare, la prospettiva in cui si colloca la previdenza complementare allora la problematica della sua riconduzione o nel secondo o nel quinto comma dell'art. 38 perde gran parte della sua "drammaticità".

Come in molti degli strumenti introdotti nelle riforme degli ultimi anni (l'autonomia

funzionale delle camere di commercio, delle Università e delle Istituzioni scolastiche, la riforma dei servizi sociali attuata dalla legge quadro n. 328 del 2000) "pubblico" e "privato" sono destinati a convivere in un intreccio che nella previdenza complementare è ben espresso dalla definizione di "libertà di tipo funzionale" (di Pasquale Sandulli). In altri termini la previdenza complementare sta nell'uno e nell'altro poiché è nel contempo uno strumento privatistico, quanto a genesi, contenuto e struttura e uno strumento finalizzato (a realizzare la prestazione adeguata in campo previdenziale) e, dunque, pubblicizzato. Proprio perciò diventa irrinunciabile un'opzione per una prospettiva sostanzialistica, per cui quello che conta sarà la "realizzazione degli obiettivi garantiti dalla norma costituzionale".[43] Tale prospettiva diventa, infatti, l'unico possibile argine alla.

tendenza alla degradazione dei diritti sociali, fondata sulla motivazione dellalimitatezza delle risorse disponibili.[44]In questa prospettiva lo spazio legislativo regionale nella previdenza complementare è naturalmente strettodai due cardini prima evidenziati: il nesso funzionale con la previdenza di base e la libertà privata.Il primo nesso la stringe perché molti aspetti della sua disciplina sono necessariamente connessi alladisciplina della previdenza di base e dunque vengono in qualche misura attratti dalla disciplina statale dellaprima: le prestazioni pensionistiche per vecchiaia sono consentite alla stessa età prevista nel regimeprevidenziale obbligatorio di appartenenza (art. 7 d.lgs. n. 124/1993); il requisito anagrafico che deve esserepresente nella pensione complementare di anzianità è quello richiesto per la pensione obbligatoria dianzianità (art. 7, d.lgs. n. 124/1993); la perequazione automatica della previdenza pubblica

è stata estesa12come regime a quella complementare (art. 59, quarto e tredicesimo comma l. 144/1997); la disciplinaanticumulo tra prestazioni e retribuzioni è ora quella dettata per le prestazioni obbligatorie (art. 59, quartocomma l. n. 144/1997); il regime di tassazione e se tassazione dei contributi e delle prestazioni dellaprevidenza complementare è agganciato agli sgravi ai fini I.R.P.E.F (v. d.lgs. n. 47/2000)

La libertà privata, nella duplice dimensione della libertà individuale di adesione al fondo e di libertà dicostituzione e strutturazione del fondo ugualmente stringe la competenza legislativa regionale poiché quasitutti gli aspetti del funzionamento del fondo e delle modalità di erogazione delle prestazioni sono regolati perun verso dalla contrattazione collettiva e, per altro verso, dagli statuti dei fondi. Ciò implica una primazia euna centralità delle fonti di autonomia che trovano limiti unicamente

Nella funzionalizzazione dello strumento. In un tale contesto lo spazio regionale sulla previdenza complementare pare assai esiguo. Prima ancora perché assoggettato ai limiti che di seguito si esamineranno in quanto stretto tra competenza legislativa esclusiva statale sulla previdenza sociale (che esplica effetti anche sulla previdenza complementare in forza del nesso funzionale tra le due) e libertà del lavoratore e dei sindacati di costituire e disciplinare il fondo pensione.[45]

7. I limiti alla competenza legislativa regionale sulla previdenza complementare e integrativa: i limiti unificanti.

Posta tale premessa vanno ora esaminati in maniera più dettagliata i limiti in cui dovrebbe muoversi la competenza legislativa regionale in materia che potrebbero distinguersi in:

a) limiti unificanti e cioè i limiti generali di cui al primo comma dell'art. 117 che hanno la funzione non solo di parificare l'attività legislativa dello Stato e delle Regioni

Attraverso la previsione degli stessi vincoli, hanno altresì la funzione di unificare (negli elementi indispensabili) le diverse legislazioni regionali nei settori di potestà concorrente;

limiti che derivano dall'esercizio di competenze legislative.

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Publisher
A.A. 2011-2012
22 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher summerit di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto pubblico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Cortese Fulvio.