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Il Libro II de "La Repubblica"

L'inizio del secondo libro de "La Repubblica" sembra quasi essere un secondo inizio dell'opera stessa. Alcuni studiosi hanno a lungo dibattuto sul credere che il Primo libro fosse da considerarsi quasi come un dialogo a sé stante che sarebbe stato noto come il "Trasimaco". Non vi sono fondamenti che corroborino tuttavia questa tesi, anche considerando la sua natura prolettica (anticipa gli argomenti del resto del dialogo). Platone inoltre rende chiara la cesura che vi è fra il primo e il secondo libro proponendo praticamente la stessa scena che viene ripetuta all'inizio di entrambi: Socrate sta per andarsene ma Glaucone lo ferma, invitandolo a continuare la conversazione.

Questa restia di Socrate nel voler mostrare le proprie conoscenze è in linea con la visione antica secondo la quale il filosofo non deve mostrare la propria conoscenza a chiunque, ma solo a chi ne risulta degno. Glaucone, in questo, è un degno.

tradizione filosofica, la giustizia è considerata il bene supremo. Essa è preferibile all'ingiustizia perché porta benefici sia a chi la pratica sia a chi la subisce. La giustizia è un bene per sé stessa, in quanto rappresenta un valore intrinseco che contribuisce al benessere della società. Inoltre, la giustizia è anche un bene con un fine, poiché promuove l'ordine sociale e favorisce la convivenza pacifica tra gli individui. Infine, la giustizia è un mezzo per un fine, in quanto permette di raggiungere la felicità individuale e collettiva. Pertanto, la giustizia è da preferire all'ingiustizia in quanto porta benefici sia a livello personale che sociale.

Compatibilità dei termini di bene e utile e della loro NON disgiunzione, la concezione prediletta è la seconda, in quanto un agire in linea con l'idea di bene porta necessariamente anche un giovamento.

Etica, bene e virtù

I termini che designano tali concetti sono già disponibili agli inizi della filosofia, ma il loro significato ha mutato considerevolmente durante il tempo.

Ethos

È anche controverso il significato che assume la parola ethos. Inizialmente, alle origini, esso designava un luogo sicuro: una tana o un rifugio. Il passo successivo procede però in direzione del "carattere", come riporta un passo di Eraclito. Quest'ultima concezione è molto importante per comprendere il significato che poi questa parola ha assunto. Il primo passo si ha con Aristotele, che designa le cosiddette virtù etiche come eccellenze del carattere che però non determinino necessariamente un'accezione morale:

è possibile essere coraggiosi ma comportarsi ingiustamente, o viceversa. Per "diventare" coraggiosi è necessario compiere ripetutamente atti coraggiosi, e così il termine ethos si contrappone sostanzialmente a physis. In linea con quanto detto, l'aggettivo ethikòs vuol dire quindi "relativo al carattere". Il termine parallelo latino, "morale", si deve invece a Cicerone, che lo conia a partire da mos (costume). Successivamente Seneca definirà morale tutto ciò che riguarda le abitudini dell'uomo. Agathòn Il termine agathòn richiama a una sfera di concetti connessi fra di loro e attinenti alla sfera del bello (kalòs), dell'utile e del vantaggioso (chrèsimon, ophèlimon, symphèron). Nei poemi omerici l'aggettivo "agathos" si riferisce generalmente alle persone per indicarne qualità eccellenti. Si nota dunque come il termine non abbiaun’accezione prevalentemente morale, si tratta anche di bravura o di doti fisiche particolari. IMPORTANTE quindi che essere agathòs non esclude il comportarsi in modo deplorevole: emblematico in questo senso è un passo dell’Iliade nel quale Apollo esclama, riferito ad Achille che sta facendo scempio del corpo di Ettore, “Badi, per quanto agathòs, che non prendiamo a odiarlo”. Achille rimane agathòs in quanto valoroso e figlio di una dea. Il termine quindi indica anche un ceto socialmente elevato. Platone tiene nella sua opera a scindere in modo inequivocabile l’agathòn e il comportamento ingiusto. Secondo Trasimaco, infatti, gli ingiusti possono essere agathòi e intelligenti. Il termine assume anche significato prestazionale, in una concezione in cui è agathòs chi è bravo a realizzare il proprio vantaggio. Da agathòn a ophèlimon il passaggio è breve, in quanto quest’ultimo.termine si trova sullo stesso piano del bene: non si può ricercare se non ciò che si ritiene essere vantaggioso. I due termini si intersecano dunque, rendendo ciò che è agathón inevitabilmente anche desiderabile perché vantaggioso. Questa nozione di utile e vantaggioso ha nella sfera etica generato numerosi dibattiti: si crea una rivalità fra etiche "deontologiche" (KANT), che si fondano sull'idea che si debba fare ciò che è moralmente giusto, ed etiche "consequenzialiste", che valutano un'azione in funzione della sua utilità. Kalón Con questo termine si indica normalmente il "moralmente bello". È ovvio che non tutto ciò che è agathón è da definirsi kalón: seguire un buon regime di vita è sicuramente vantaggioso ma difficilmente bello, a differenza del morire in battaglia con onore, che non risulta vantaggioso ma bello.sicuramente kalòn. Ecco dunque una generale asimmetria fra i due termini: kalòn può essere un male, agathòn no. La relazione fra i due termini è stata sintetizzata in un noto binomio, che indica un'eccellenza sia estetica che morale: kalokagathòs. Esso è chi desidera e attua le cose belle per bei fini.

Secondo la concezione antica la virtù (aretè) designa anzitutto la capacità di svolgere un'attività in modo eccellente. Residui di questa valenza ci sono pervenuti; spesso si parla di "virtuosi" o di "virtuosismi" in merito a musica o discipline sportive, proprio a indicare la grande maestria ed eccellenza con la quale tale attività viene praticata. Ma non si intende solo con eccellenza e bravura, ma anche come onorabilità e prestigio. Ogni cosa alla quale è propria una determinata funzione ha una propria aretè. Dal punto di vista morale, unacerta capacità eccellente potrebbe essere indirizzata in senso moralmente negativo. In modo analogo, il contrario di aretè, kakìa, viene usato per indicare un difetto o una mancanza nello svolgere una determinata attività. Per portare avanti la conversazione e stimolare Socrate, Glaucone sostiene la tesi contraria, probabilmente attingendo dalle tesi del sofista Antifonte. Lezione del 31/10/19 Glaucone propone dunque una visione di giustizia che, però, egli afferma non condividere. Egli sembra infatti star riportando il pensiero di qualcun altro, probabilmente soprattutto Antifonte. Ad ogni modo, egli asserisce che la giustizia sia qualcosa che accettiamo malvolentieri, poiché il bene risiederebbe nell'ingiustizia. Nella misura in cui subire ingiustizia è male e compierla è bene, però, bisogna attuare un'analisi quantitativa. Il male subito da un'ingiustizia è infatti di gran lunga maggiore rispetto al bene.

ottenuto compiendola, e questo è un punto fondamentale per la prosecuzione della discussione.

Adikein → BENE (-)

Adiesthain → MALE (+)

Con questa dovuta premessa, Glaucone continua affermando che gli uomini, avendo provato sia l'una che l'altra, abbiano deciso di accordarsi in un patto di reciproca astensione dal commettere ingiustizie. Ma perché?

La risposta è che gli uomini sono deboli, non esiste il cosiddetto "uomo valoroso" che sia in grado di commettere ingiustizia senza subire conseguenze. In caso esistesse, per esso sarebbe assurdo sottostare a un tale patto. La prevaricazione reciproca è qualcosa di caratteristico degli uomini che non può fare a meno di essere così.

A esemplificare questa concezione Glaucone adduce un esempio aneddotico. È quello dell'anello di Gige. Eccol'episodio brevemente riassunto.

Gige è un pastore che un giorno, per caso, si imbatte in un cadavere. Egli nota che

esso porti al dito un anello, che egli decide di sfilare e prendere con sé. Questo magico anello ha la facoltà di rendere invisibili, e Gige inizia a sfruttarlo da subito. Resosi invisibile, architetta un piano per uccidere il re e fare suo tutto il potere, in modo segreto e celato alla vista di tutti gli altri. Questo fa ben comprendere l'ideale dell'uomo perfetto, ovvero colui che è in grado di prevaricare senza poi essere prevaricato. Gige, diventando invisibile a suo piacimento, è infatti in grado di commettere tutte le ingiustizie che desideri senza però correre il rischio di essere preso di mira per un trattamento di fino. Terminata l'argomentazione di Glaucone interviene Adimanto, altro fratello di Platone. Terminato anche il suo intervento risponde Socrate. Per prima cosa egli elogia i due, in un modo molto allusivo a un elogio che Platone stesso condurrebbe nei confronti della sua famiglia. In secondo luogo, egli si appresta arispondere sotto, nuovamente, l'invito di Glaucone. In questo momento si ha un'importante transizione nell'opera, con Socrate che si rende conto che la conversazione sia arrivata a un punto morto e che decide di cambiare radicalmente punto di vista. Proponendo infatti la famosa analogia delle lettere, il filosofo suggerisce di non provare più a considerare l'argomento a partire dagli individui, ma dalla città. Questo è possibile grazie a un'ipotesi che Socrate presuppone, e che durante il corso del dialogo cercherà di rendere plausibile e fondata: l'idea di un isomorfismo sussistente fra gli individui e la città, ovvero la possibilità di poterli considerare in modo analogo per poter passare dal macroscopico al microscopico, dopo essersi reso conto che il contrario porta a un punto morto. Una volta studiata la giustizia a partire dal punto di vista della città, egli cercherà di trasporla negli individui.

Per verificare che la sua ipotesi possa effettivamente considerarsi valida. È proprio in questo momento che La Repubblica vede una torsione tematica, passando dall'argomento morale a quello politico.

Lezione del 04/11/19

Socrate inizia la sua argomentazione cercando di analizzare come abbia av

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/07 Storia della filosofia antica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher biciogiovanardi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di storia della filosofia antica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Chiaradonna Riccardo.
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