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LA REPUBBLICA DI PLATONE

Libro I

➢ Vecchiaia

La scena si svolge presso la casa di Polemarco. Socrate è invitato da Cefalo, signore

anziano, a discorrere con il gruppo e, a proposito della vecchiaia, sostiene che sia utile

farsi suggerire da chi è più anziano di lui, farsi anticipare come sia la vita degli anni

che forse lo attendono. Cefalo, quindi, comunica a Socrate che la vecchiaia può essere

considerata la liberazione da pazzi padroni, metafora delle passioni ardenti, che

porta ad una grande pace e libertà. Tale prospettiva però non è la stessa per tutti

poiché dipende dal carattere degli individui: per chi non sa accontentarsi di nulla,

anche la giovinezza può risultare penosa, figuriamoci la vecchiaia.

→ Socrate sostiene che per molti tale visione positiva della vecchiaia derivi dalle

grandi ricchezze di Cefalo, ma egli così lo confuta: chi non è ricco deve sicuramente

sopportare con molte difficoltà la vecchiaia, anche se è una persona per bene, ma chi

non è una persona per bene non riesce a sopportare la vecchiaia nemmeno se è ricco.

→ Socrate domanda a Cefalo se la sua ricchezza derivi dall'eredità o sia frutto del

lavoro personale poiché sostiene che Cefalo non sia molto attaccato al denaro così

come solitamente accade con chi è ricco per eredità. Socrate sostiene infatti, e Cefalo

concorda, che chi ha guadagnato da sé le proprie ricchezze sia ad esse attaccato

almeno per il doppio. [Il nonno di Cefalo aveva Z il padre di Cefalo eredita A (A<Z)

 

Cefalo eredita B (B<A) Cefalo possiede C (C>B)].

→ Cefalo afferma che durante la vecchiaia, dato ciò che si dice riguardo all’Ade, ci si

accinge a un esame di coscienza per comprendere se durante la vita sia stata

commessa qualche ingiustizia. A tal proposito, Cefalo sostiene, rispondendo a una

domanda di Socrate, che la ricchezza sia d’aiuto (ma non solo a questo) proprio

nell’evitare che una persona racconti il falso o imbrogli.

➢ La giustizia per Cefalo

Da qui la conversazione inizia a toccare il tema della giustizia e la prima domanda che

Socrate pone a Cefalo riguarda proprio il concetto di giustizia e se si possa identificare

essa con la sincerità e con la restituzione di quanto sia ricevuto da altri. Cefalo e

Socrate concordano su questo: la giustizia non è dire la verità e ridare le cose

ricevute.

➢ La giustizia per Polemarco

Polemarco, riprendendo Simonide (poeta antico), sostiene invece che sia proprio

questa la giustizia (dire la verità e ridare le cose ricevute): ridare a ciascuno ciò che

gli è dovuto è giusto. Tuttavia, Polemarco concorda con Socrate sul fatto che non

bisogna restituire una cosa dell'amico all'amico quando la sua richiesta, se soddisfatta,

può provocare danno. Polemarco esplica la sua posizione: la giustizia prevede che gli

amici facciano del bene agli amici e i nemici del male ai nemici, la giustizia, cioè, dà

utilità agli amici e danno ai nemici (cosa dà di conveniente e a chi?).

→ Polemarco e Socrate concordano quindi sul fatto che l’uomo giusto (la giustizia) è

utile non solo in guerra, ma anche in pace.

A chi è utile la giustizia?

La giustizia è utile nella società. Se nel disporre i mattoni il migliore uomo nella

società. Se nello disporre i mattoni il migliore uomo nella società è il muratore,

quando è utile l'uomo giusto? La giustizia si rivela utile quando le cose non vengono

usate: quando il denaro è depositato ma non usato, così come per le altre cose.

Secondo Socrate però, la giustizia finirebbe per essere cosa non molto seria se

servisse solamente per le cose che non si adoperano; chi, infatti, sa custodire una

cosa, sa bene anche come rubarla. Per questa ragione, se il giusto è abile a custodire

denaro, è abile anche a rubarlo.

→ Polemarco continua, comunque, a sostenere che la giustizia sia giovare agli amici e

danneggiare i nemici. Socrate confuta questa concezione della giustizia sostenendo

che gli uomini spesso sbagliano nel definire chi sia loro amico e chi nemico: si

potrebbe quindi finire per fare del male agli amici e del bene ai nemici.

→ Polemarco introduce quindi una nuova definizione di amico: amico è chi sembra ed è

onesto. Socrate, quindi, confuta Polemarco sotto un altro punto di vista: poiché la

giustizia è danneggiare il nemico, non sarebbe proprio di un uomo giusto danneggiare

un altro uomo, amico o nemico che sia. Inoltre, Socrate sostiene che gli uomini, se

danneggiati, diventano ancor più peggiori, cioè ancor più ingiusti. Inoltre, i giusti non

possono, attraverso la giustizia, formare degli ingiusti; cioè, con la virtù i buoni non

possono formare dei cattivi. L'ingiusto, non il giusto, può recare danno. Infatti, non è

giusto danneggiare qualcuno, in nessun caso.

Trasimaco, dopo un’attesa impaziente, interviene chiedendo a Socrate di dare la sua

definizione di giustizia. Dapprima vi è uno scambio di battute tra i due, con cui

Trasimaco attacca il metodo dialogico di Socrate (attaccarsi alla risposta precedente e

confutarla) e con cui il filosofo afferma che non esiste pena più grande della non

conoscenza, del non sapere. Poiché invece Trasimaco afferma di sapere, Socrate lo

esorta a spiegare cosa sia la giustizia secondo la sua visione.

➢ La giustizia per Trasimaco

Secondo Trasimaco la giustizia è l’utile del più forte, cioè l’utile del potere

costituito poiché il potere detiene la forza. Su invito di Socrate, Trasimaco

approfondisce la sua posizione: ciascun governo legifera per il proprio utile,

conseguentemente proclama che il giusto per i sudditi è ciò che si identifica con l’utile

del governo, cioè con la legge, al punto che chi trasgredisce la legge viene punito.

Socrate vuole confutare la concezione di Trasimaco sostenendo ciò: se è giusto che i

sudditi eseguano gli ordini, i sudditi finiscono per compiere atti contrari all'utilità del

più forte quando questo abbia dettato leggi nocive a sé.

→ Polemarco, quindi, interviene in soccorso a Trasimaco sostenendo che per “utile del

più forte” si intende quello che il più forte stima tale per sé. La giustizia, quindi,

sarebbe ciò che il più forte giudica il proprio utile. Trasimaco però non concorda, anzi

chiarisce che a suo parere il governante, in quanto tale, non sbaglia e non sbagliando

stabilisce quello che per lui è il meglio: la giustizia è fare l’utile del più forte. Socrate,

quindi, domanda a Trasimaco quale sia la sua definizione di uomo di governo e più

forte. Trasimaco intende chi è uomo di governo nel senso più stretto della parola.

→ Socrate e Trasimaco concordano poi su un altro punto: le arti esercitano il loro

dominio su quello che è il loro oggetto; quindi, non esiste scienza che possa

prescrivere l’utile del più forte, bensì del più debole che da essa viene governato e

dominato. Socrate finisce così per sostenere che l’uomo di governo può soltanto

prescrivere l'utile e la convenienza di chi gli è suddito.

→ Trasimaco continua a mantenere la sua posizione e il suo concetto di giustizia: nella

società, infatti, chi subisce è sempre il giusto, chi si avvantaggia è l’ingiusto. La

giustizia è quindi l’utile del più forte. [Trasimaco esprime la sua idea attraverso un

lungo discorso al termine del quale Socrate gli chiede di spiegarsi]. Socrate afferma

che non crede che l'ingiustizia porti maggiore guadagno della giustizia; inoltre chiede

a Trasimaco di mantenere le posizioni che precedentemente ha preso, senza

cambiarle.

→ Socrate domanda a Trasimaco se i governanti governino volontariamente: Trasimaco

ne è certo ma Socrate confuta la sua idea sostenendo che nessuna arte e nessun

governo procurano il proprio vantaggio: nessuno volontariamente consente ad

occuparsi dei guai altrui per raddrizzarli, bensì richiede una mercede, perché chi

esercita bene la propria arte non fa ciò che è bene per sé.

→ Figura del governante secondo Socrate

Socrate si sofferma quindi sulla figura del governante: ogni persona dabbene

preferirebbe astenersi dal governo perché preferisce ricevere vantaggi da un’altra

persona piuttosto che procurarli all’altra con noia e problemi. Chi governa lo fa perché

non ha modo di affidare il governo a una persona migliore. Quindi il governante

subisce un castigo se si rifiuta di governare: l’essere governato da uno che gli è

inferiore; ma riceve una mercede nel caso in cui governi (denaro e onore, sebbene non

voglia governare per questo).

→ L'ingiustizia è più vantaggiosa della giustizia

Trasimaco sostiene che l’assoluta ingiustizia dà più profitto dell’assoluta giustizia. Egli

ritiene la giustizia sia una semplicità di carattere, l'ingiustizia avvedutezza (virtù e

sapienza). Socrate e Trasimaco concordano inoltre sul fatto che il giusto non soverchia

il suo simile, ma solo il dissimile; l’ingiusto invece vuole soverchiare tutti, sia il giusto

sia l’ingiusto.

Il sapiente e buono vuole soverchiare il suo opposto, cioè chi è cattivo e incolto

 quindi il giusto (che vuole soverchiare il suo dissimile) è sapiente è buono.

Il cattivo e incolto invece vuole soverchiare sia il suo simile sia il suo opposto

 

quindi l’ingiusto (che vuole soverchiare tutti) è cattivo e incolto.

Trasimaco e Socrate, quindi, concludono che la giustizia è virtù e sapienza e

l'ingiustizia è vizio e ignoranza.

→ Socrate inoltre ritiene che anche chi agisce con fini ingiusti non può essere

assolutamente ingiusto, poiché a una condizione di assoluta giustizia corrisponde una

totale incapacità di agire (la banda di ladri, ingiusta, al suo interno vede una

condizione di giustizia).

→ La funzione di ciascuna cosa consiste in ciò che essa sola può compiere; inoltre, a

ogni cosa a cui è propria una funzione è propria anche una virtù (la vista è la virtù

degli occhi). La funzione della cosa poi è svolta bene attraverso la virtù, male con il

vizio. La funzione dell'anima è sorvegliare, governare, deliberare, vivere; l'anima ha

una virtù che consiste nella giustizia (vizio dell’anima è l’ingiustizia). Quindi l’anima

giusta vive bene; l’anima ingiusta vive male il

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Publisher
A.A. 2024-2025
9 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

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