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Donare frutti= sono gli stessi di Cerere e Bacco viventi. In essi muoiono le potenze del
diritto inferi, dotato di potere occulto e astuto.
Nel sacrificio avviene il destino della divinità, cioè la sua individuazione che prelude al suo
declinare. Nel culto statua e tempio vengono animati di significato e l’inno trova stabilità in
forma rituali e in una cerimonialità definita. nel culto ha luogo l’identificazione umano –
divino che nell’arte astratta è solo pre-figurata, si passa allora all’arte vivente.
Arte vivente: il popolo che nel culto si avvicina al suo dio è il popolo etico. L’essenza
2. luminosa è essenza universale dei singoli e la potenza dispotica in cui essi dileguano. Il
culto della religione di questa essenza semplice e priva di figura restituisce la convinzione
che essi sono il popolo del loro dio. Da questo culto acquisiscono solo la loro sussistenza e
la sostanza semplice, non il sé effettivo. L’essenza qui è immediatamente unita al sé ed è
quindi in sé (=verità che sa, non ancora saputa). Il risultato del culto è quindi l’unità
immediata dell’umano con il divino. Il senso della ritualità Hegel lo trova nei culti misterici
di Cerere e Bacco, in cui chi vi partecipa accede alla possibilità di farsi tutt’uno con il
divino, che si dispiega in primo luogo nella forza naturale. L’unione uomo-dio è ancora
inconsapevole (=ciò che diviene manifesto tramite il culto è l’essenza semplice, non c’è
ancora un equilibrio compiuto tra in sé e per se). Per ora alla coscienza si svela solo lo
spirito assoluto che si dà come essenza semplice; ossia a rivelarsi è solo lo spirito
immediato, lo spirito della natura. Il mistero è ancora quello del pane e del vino, non ancora
mistero della carne e del sangue, si ha ancora a che fare con le divinità inferiori della natura
(differenza dioniso-cristo). L’ebbrezza e l’entusiasmo del culto Bacchi (momento dell’estasi)
si deve oggettivare in un’opera, che sarà opera vivente perché nell’uomo si manifesta
l’essenza; il culto è la festa che l’uomo si concede in proprio onore. Il corpo dell’uomo
sostituisce l’oggetto vita della statua. L’essere umano pone se stesso attraverso il lavoro di
movimento perfettamente libero e a tal proposito fa riferimento agli agoni ginnici
riconoscendo nell’atleta una immediata identificazione tra uomo e divino
(nell’ammirazione della sua forza fisica e della bella corporeità). Mentre nel culto Bacchi è
il sé ad essere fuori di sé (l’essenza è in se), nella bella corporeità è l’essenza a essere fuori
dal se (per sé) ; ciò comporta la necessità di sistemi tra interiorità e esteriorità che sarà data
nuovamente dal linguaggio che ha acquisito contenuto chiaro (perché L’artista ha lavorato
su di sé fino a ottenere una figura che è l’esistenza sua propria) e universale ( perché in
questa festa che è l’onore dell’uomo, si dilegua l’unilateralità delle statue che si limitavano a
contenere un solo carattere determinato della divinità).
Questo linguaggio è elemento compiuto in cui interiorità e esteriorità si corrispondono si
passa all’opera d’arte spirituale.
Arte spirituale: il linguaggio chiaro e universale è il linguaggio del logos, che trova sede
3. nel Pantheon (=universo religioso di tutti i popoli della cultura ellenica). Gli spiriti nazionali
(popolazioni) si riuniscono e creano una collettività che ha creato e si riconosce nel
pantheon che ha il suo fondamento nel linguaggio orale. Il pantheon è ciò che costituisce
un’umanità universale (popolo greco). L’elemento essenziale è costituito dalla coscienza
dell’uomo che si esprime nell’attività , in cui lavoro e linguaggio sono un tutt’uno (=il
lavoro dà forma alla propria opera all’interno del medium comunicativo). La centralità del
linguaggio dipende dal fatto che in esso la coscienza si manifesta e si sa come tale; nulla è
saputo se non è riportato all’universalità dell’espressione linguistica. Le arti della parola
sono culmine, ma anche momento di crisi e di passaggio a una consapevolezza superiore (il
concetto). NB: Non si tratta più del fare effettivo del culto ma di un fare non ancora elevato
al concetto, ma solo alla rappresentazione (sintesi tra autocoscienza interiore e forma
esteriore. L’azione viene narrata). È il linguaggio della poesia a rimediare alla natura
dileguante della parola e legarla al mondo della vita. Il divino nell’opera d’arte spirituale è
riconoscibile come prodotto del parlare, cioè come effetto linguistico. La poesia dà
consapevolezza effettiva al rapporto umano e divino e per questo motivo non fa che ripetere
le configurazioni degli stadi precedenti (l’opera d’arte spirituale riassume i tre momenti
precedenti: gli dei olimpici nell’epos, l’unità vivente del divino e umano nella tragedia, la
felice consapevolezza nella commedia).
Si enuclea cosi la teoria sui generi poetici:
• Epos corrisponde all’arte astratta, riguarda gli dei
• Tragedia corrisponde all’arte vivente, riguarda gli eroi
• Commedia corrisponde all’arte spirituale, riguarda gli uomini comuni.
Epos: è il primo linguaggio, esprime il contatto tra l’elemento singolo effettivo (il cantore) e quello
universale (il mondo e le vicende di un popolo). È a partire dal cantore che il mondo viene generato
e sostenuto. L’aedo attraverso il pathos provocato da Memnosyne* (=reminiscenza), diviene
organo, mediatore di quella e quindi sparisce la sua identità, il suo parlare è un parlare per un altro.
[*Memnosyne = avere memoria/ conservare il ricordo ]
Nell’epos dei, uomini e eroi sono uniti da un nesso analogo a quello del sillogismo in cui mondo
degli dei (estremo dell’universalità) e il mondo degli uomini (cioè il cantore, l’estremo della
particolarità) sono congiunti dal termine medio (cioè il popolo degli eroi, i quali sono uomini
singoli come il cantore, ma sono uomini solo rappresentati e sono dunque universali).
Nell’epos si presenta in generale alla coscienza (per sé, rapporto col divino nella rappresentazione)
ciò che nel culto ha luogo in sé: il rapportarsi del divino nell’umano. Il contenuto è un’azione
dell’essenza consapevole di se stessa. La giretto turba la quiete della sostanza ed cecità l’essenza,
per cui la sua semplicità si suddivide e si dischiude al mondo multiforme delle forze naturali ed
etiche. Come Odisseo nell’ade scava una fossa e la riempie di sangue per far apparire i morti
(riferimento Odissea ) così l’epos evoca gli spiriti dipartiti assetati di vita e la ottengono nel fare
dell’autocoscienza.
L’impresa a cui si rivolge lo sforzo di tutti è particolare (perché compiuta da popoli con realtà
effettiva in cui spiccano al vertice e individualità) e universale (perché viene compiuta dalle loro
potenze sostanziali). Il rapporto fra questi due aspetti è sintetizzato nella rappresentazione; le
potenze universali hanno in sé la figura dell’individualità e quindi il principio dell’agire, mentre
l’efficienza d loro operare si manifesta come un fare che proviene totalmente da esse è che è libero
quanto quello dell’uomo. NB: Ciò che gli dei è gli uomini hanno fatto costituisce dunque un’unica
medesima cosa.
Contraddizioni degli dei:
• Anche se il procedere degli eventi dipende dalla volontà divina gli dei non possono agire
senza gli eroi, ossia senza individualità effettive che agiscono nella realtà effettiva. È dunque
dalla lotta degli eroi che dipendono i destini degli dei (conflitto con il proprio se)
• L’universalità degli dei entra in conflitto con la determinatezza che è loro propria, e con il
loro comportamento nei confronti delle altre divinità. Gli dei sono dunque belli e eterni,
esenti da transitorietà, ma al tempo stesso sono elementi determinati che si relazionano con
gli altri; tale relazione crea una comica dimenticanza della loro natura eterna.
• Anche gli dei sono subordinati al fato (necessità nel senso di ananke). Di fronte a esso sono
impotenti, è come se abdicassero alla loro pretesa di coincidere con l’universale.
L’unità cosa diversa che gli dei hanno rispetto agli uomini è l’immortalità, motivo per cui gli dei
invidiano gli uomini, poiché la consapevolezza della morte porta a godersi la vita.
Il contenuto del mondo della rappresentazione ha il suo movimento nel termine medio (l’eroe)
scosso in due momenti che non si sono ancora unificati, non prendono parte alla vicenda: necessità
(singolarità ineffettiva) e il cantore (singolarità effettiva). C’è bisogno che il linguaggio penetri nel
contenuto e la necessità, vuoto privo di concetto, si riempi di tale contenuto: avviene allora il
passaggio alla poesia tragica
Tragedia: l’eccellenza da tragedia dipende dal fatto che essa permette di realizzare al meglio il
compito storico dell’arte. La tragedia unisce il linguaggio parlato alla rappresentazione: il cantore
si fa attore e il linguaggio esprime il pathos dell’eroe nella tragedia si vede il radicalizzarsi delle
contraddizioni implicite all’epos. La tragedia si fa conflitto di potenze, il cui svolgimento è affidato
all’azione dei personaggi: il linguaggio penetrato nel contenuto cessa di essere narrativo e di essere
rappresentato. Ora a parlare è l’eroe e la rappresentazione mostra allo spettatore – ascoltatore
uomini consapevoli di sé i quali sanno e sanno dire quale sia il loro diritto e il loro scopo. Gli eroi
nella tragedia incarnano il destino che orienta le vicende, senza confliggere con l’autonomia e la
libertà del loro carattere e delle loro decisioni in cui si esprime. Gli eroi enunciato in modo
determinato il pathos a cui appartengono (=esternano l’essenza interiore). L’eroe tragico è spinto ad
agire dal proprio pathos e da quella sorta di divinità interiore che è il suo carattere (ethos). Cisco
eroe ha ragione e torto, identificando con una delle potenze in conflitto (unilateralità dell’eroe).
L’esistenza di quei caratteri è costituita da uomini dotati di realtà effettiva, che indossano maschere
(attori). Come è essenziale alla statua