vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
STATI MENTALI PER LA COMUNICAZIONE
Gli esseri umani possiedono una serie di stati mentali, che possono essere sia emozionali che
cognitivi, sia consci che inconsci. Qui si parlerà solo di quegli stati che sono rilevanti per
capire il processo della comunicazione e rilevanti per capire le interazioni umane.
Credenza condivisa
Il concetto di conoscenza e di credenza sono diversi:
- Credenza: le sue proprietà sono definite da un insieme di assiomi derivate dalla
teoria della logica sviluppata da Hintikka.
- Conoscenza: deriva da un concetto, che è una sorta di abbreviazione di “vere
credenze” riguardo alla realtà.
Ci sono tre tipi di credenze:
1. Individuali: quando i parlanti credono una certa cosa, ma in un modo totalmente
autonomo, ovvero senza che ci sia una connessione fra i parlanti stessi.
2. Comuni (o reciproche): quando, in dati contesti, i parlanti hanno le stesse credenze
individuali, perché condividono delle conoscenze sul loro ambiente circostante o
conoscenze che sono trasmesse culturalmente. Le credenze reciproche sono una
condizione necessaria ma non sufficiente per far sì che la comunicazione abbia luogo.
Sono oggettivamente condivise da tutti gli interlocutori, che vuol dire che sia A che B
credono veramente che p, ed entrambi possiedono lo stesso stato mentale
corrispondente alla credenza che p.
3. Condivise: per comunicare, ogni partecipante deve essere conscio del fatto che tutti
gli altri partecipanti posseggano le sue stesse credenze comuni. La credenza condivisa
quindi non è solo comune a tutti i parlanti che partecipano al discorso, ma è la
credenza che ogni partecipante sa che è posseduta da tutti gli altri parlanti. La sua
caratteristica principale è essere soggettiva e non oggettiva come la credenza
reciproca: nessuno infatti può essere certo che l’altra persona abbia una conoscenza di
un certo tipo. Per esserne certo, dovrebbe in qualche modo osservare gli stati mentali
degli altri e non semplicemente inferirli dalle circostanze. La credenza condivisa
assume un punto di vista soggettivo, dato che nessun partecipante possiede le stesse
credenze che ha l’altro, perché nessuno può aprire il cervello dell’altro e guardarci
dentro per sapere quali credenze ha.
Intenzione comunicativa
La fondamentale differenza tra azioni normali e quelle comunicatrici è che queste ultime sono
sempre portate a termine con qualcuno: la comunicazione non avviene in isolamento o in
completa autonomia.
Quando entriamo nel dominio dell’interazione comunicativa dobbiamo sempre avere almeno
un parlante (A) e un interlocutore (B) al quale rivolgersi. Altri partecipanti (C, D, ecc…)
possono partecipare come pubblico all’atto comunicativo.
Si definisce intenzione comunicativa, l’intenzione di comunicare qualcosa, più l’intenzione che
quell’intenzione venga riconosciuta come tale. Grice dice che comunicare include non solo il
primo-ordine di intenzioni del parlante, ma anche il secondo-ordine di intenzioni. Ad esempio,
se indosso la mia divisa da poliziotto non vuol dire che io voglia comunicare che sono un
poliziotto. In questo caso le intenzioni di primordine (fare sapere che io sono un poliziotto) è
soddisfatto, ma le intenzioni di secondo ordine (che le persone riconoscano il mio desiderio di
comunicare questo fatto) non è stato soddisfatto. Lo sarebbe stato se avessi detto “Sono un
poliziotto”.
Una rete di intenzionalità dinamica
Per capire cosa sia l’intenzione comunicativa, dobbiamo classificare diversi tipi di intenzioni:
1. Prior intention: è formulata in anticipo e rappresenta lo scopo dell’azione
prima ancora che l’azione sia intrapresa. Ce ne sono tre tipi:
a. Private intentions: richiede che la persona compia delle azioni adatte
per perseguire il suo scopo (A ha intenzione di bere un bicchiere d’acqua).
b. Social intentions: richiedono che ci sia un partner, necessario per la
persona per perseguire il suo scopo (A vuole giocare a tennis con B).
i.Comunicative intention. La social intention condivisa nel
presente.
ii.Prospective social intention: intenzioni il cui obiettivo si trova
nel futuro e che quindi verrà anche condivisa nel futuro.
2. Motor intention (intention in-action): è la diretta causa del movimento di
una persona.
Esperimenti
Si prevede che
- le aree della corteccia mediale prefrontale siano attivate solo per rispondere a
stimoli sociali che richiedono la comprensione, sia un’interazione sociale, sia nel
presente che nel futuro.
- ???
- ???
Fatti tre esperimenti:
1. Si dimostra che il TPJ (Temporo-Parietal Junctions) di sinistra si attiva solo quando
una social prior intenction avviene nel presente, ovvero nel caso delle intenzioni
comunicative.
2. Testato su persone affette da schizofrenia e autismo. Si dimostra che gli affetti da
schizofrenia soffrono di iper-attribuzione di intenzioni, attribuendole non solo a
persone, ma anche a oggetti; mentre gli autistici sono ipo-intenzionali, perché
tendono a non attribuire intenzioni agli altri essere umani.
3. ???
GIOCHI COMPORTAMENTALI: LA CORNICE SOCIALE DELLA COMUNICAZIONE
La competenza comunicativa è una caratteristica generale della mente può essere vista in
termini formali come un metalivello che controlla il primo livello di inferenze; queste inferenze
sono basate su rappresentazioni condivise di schemi di interazioni stereotipici, che sono legati
alla cultura e che possono quindi appartenere a un piccolo gruppo di persone o anche solo
due persone.
La ragione per introdurre il concetto di gioco comportamentale è che il significato letterale di
una frase è solo il punto di partenza per la sua comprensione. “Perché mi sta dicendo
questo?” e “Che cosa vuole da me?” sono le vere domande che richiedono una risposta.
Se il parlante è capace di identificare il gioco comportamentale allora riuscirà a interpretare
l'enunciato e quindi sarà in grado di capire cosa l'altra persona si aspetta da lui, in caso
contrario rimarrà stupito e senza sapere cosa fare.
Un gioco comportamentale è una struttura che permette gli attori di coordinare le loro azioni
interpersonali, e che permette agli attori di selezionare il significato inteso di un discorso tra i
vari significati che il discorso potrebbe in teoria veicolare.
Il dialogo è sempre collocato all'interno di un gioco comportamentale. Ogni enunciato, ogni
atto di comunicazione non verbale viene riportato e collegato a un gioco comportamentale
che noi ipotizziamo stare giocando.
A volte ci può essere incertezza fra i parlanti riguardo al gioco comportamentale che è in atto
perché magari due giochi comportamentali hanno delle mosse in comune: un parlante può
credere di giocare un certo gioco, mentre l'altro crede di giocarne un altro. Questo può creare
fraintendimenti perché ognuno attribuisce all'altro un certo gioco comportamentale, a torto o
a ragione.
La struttura del gioco comportamentale
Se due attori vogliono cooperare a livello di comportamento, devono operare sulla base di un
piano che sia condiviso almeno in parte.
Si chiamerà gioco comportamentale tra A e B un piano di azione condiviso tra A e B. La
conoscenza condivisa richiesta per i due attori affinché essi siano in grado di interagire nello
stesso gioco può essere una combinazione di esplicito e implicito. Due attori infatti possono
avere una rappresentazione esplicita del gioco oppure una tacita rappresentazione che è
sufficiente a renderli in grado di guidare le loro azioni.
In aggiunta alle azioni, i giochi comportamentali includono condizioni di validità che
specificano le condizioni sotto le quali il gioco deve essere giocato. Le caratteristiche di tali
condizioni sono il tempo e lo spazio. Tuttavia alcuni giochi impongono altre condizioni
collegate agli stati mentali dei partecipanti.
Inoltre un gioco è giocabile solo se la relazione tra i partecipanti lo permette. In alcuni casi, se
il gioco ha una larga applicabilità sociale, come nel caso in cui qualcuno stia chiedendo l'ora,
allora i partecipanti non devono nemmeno essere consapevoli. In altri casi, i partecipanti
invece devono essere membri dello stesso gruppo. Nei casi estremi, ci sono giochi che
possono solo essere giocati da due specifici giocatori e da nessun altro. È il caso, per esempio,
di giochi giocati fra genitore e figlio, o da una coppia sposata.
La relazione è quindi un gruppo di giochi comportamentali che due persone possono giocare
insieme.
La struttura del gioco comportamentale è questa:
ogni partecipante ha la sua soggettiva e non oggettiva visione del gioco
– si parte dalla nozione di conoscenza condivisa, che è soggettiva e non oggettiva
–
Tipi di giochi
Ci sono diversi tipi di giochi comportamentali:
1. giochi culturali (cultural games) → sono comuni a un'intera cultura. Se due persone
hanno la stessa cultura (orientale, vittoriana, occidentale, ecc.), ritrovandosi in una
certa situazione in cui un gioco specifico è in atto, entrambi sanno cosa aspettarsi
dall'altro. Più il gioco è diffuso, più il comportamento che ci si aspetta diventerà una
norma sociale e come tale, può essere insegnato esplicitamente attraverso
l'esperienza. Queste regole in generale cambiano da un paese all'altro.
2. giochi di gruppo (group games) → sono condivisi da un numero più o meno ristretto
di persone che formano un certo gruppo. Queste persone condividono normalmente
esperienze. I giochi di gruppo personalizzano quelli culturali.
3. giochi di coppia (couple games) → sono condivisi solo da due persone e sono validi
solo per quelle due specifiche persone. I giochi di coppia personalizzano sia i giochi
culturali che quelli di gruppo, costruendo delle varianti: ad esempio, due amici che si
insultano per scherzo al posto dei normali saluti.
In generale, i giochi sono delle strutture che devono essere imparate, che uno può adottare o
meno, non possiamo definirli innati come alcuni schemi comportamentali comuni a tutti gli
esseri umani (ad esempio, una madre che protegge il suo bambino). I giochi comportamentali
sono quindi conoscenze che abbiamo nella nostra memoria a lungo termine, derivanti
dall'esperienza (da conoscenza episodica a semantica – priva delle caratteristiche distintive
dei vari episodi e che punta alle regolarità e alle ripetizioni che avvengono nei singoli episodi).
Giocare a un gioco [maledetto italiano!]
Per far sì che un attore possa prendere parte a un gioco, deve essere soddisfatte due
condizioni:
che il gioco sia “giocabile”
– che la persona sia interessata a prendere parte al gioco.
–
<