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2. STRUMENTI DI AUTOTUTELA DIRETTA : L’ AZIONE DI RESPONSABILITA’ ESERCITATA DAI

SOCI (art 2393­bis c.c.)

Ultimato il quadro circa le principali evoluzioni, in materia di minoranze, della disciplina societaria, non

rimane altro che analizzare quali sono, allo stato attuale, le principali prerogative dei soci “deboli”, che

costituiscono baluardo fondamentale contro possibili soprusi perpetrati in danno ai loro interessi.

In questo senso la nostra analisi non può che iniziare dalla novella di cui all’art 2393­bis c.c, “azione di

responsabilità esercitata dai soci”, introdotta nel 2003.

Questa disposizione rappresenta senz’altro lo strumento di tutela più efficace sia per quanto riguarda gli

interessi minoritari sia per quanto riguarda gli interessi generali della società.

La già richiamata relazione del guardasigilli infatti dichiara espressamente che: “In conformità alle istanze

formulate da quasi cinquant'anni da molti studiosi, è stata prevista la legittimazione di una minoranza di

soci ad esercitare l'azione sociale di responsabilità (art. 2393 bis). Poiché, salvo diverse percentuali previste

nello statuto, la legittimazione spetta a tanti soci che rappresentino almeno il 20% del capitale sociale (o il

5% nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), questa importante tutela spetta solo a

minoranze sufficientemente significative: circostanza questa che, assieme alla previsione che ogni vantaggio

conseguito anche in via transattiva spetta alla società, pare idonea ad evitare l'insorgenza di una eccessiva

conflittualità tra i soci.”

Non si può negare del resto che il sistema previgente, il quale prevedeva l’esercizio dell’azione di

responsabilità solo sulla base della delibera assembleare, portava senz’altro a configurare ipotesi di questo

tipo esclusivamente in casi estremi nei quali fosse stato menomato il rapporto fiduciario tra azionisti di

maggioranza e consiglio di amministrazione oppure nei casi di take­over ostili con conseguente sostituzione

del management della società che ha subito la scalata, spesso tra l’altro dovuto o all’inefficienza dell’organo

amministrativo o al fallimento di precedenti trattative volte alla conclusione di un take­over amichevole. (1)

A onor del vero bisogna anche notare come il legislatore, riprendendo in toto l’impostazione presente nel

TUF del ’98, abbia scelto di fare proprie tali istanze risolvendole con strumenti efficaci, come quello in

esame, ma senz’altro inadatti ad essere abusati con lo scopo di compiere manovre strumentali da parte delle

minoranze, come la stessa relazione tiene a precisare.

La previsione di una legittimazione ad esercitare l’azione in capo solamente ad una minoranza qualificata

che rappresenti almeno il 20% (1/40 nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) limita

fortemente la possibilità di operazioni di mero disturbo dell’attività gestionale.

Sul punto la stessa riforma del 2003 non si è limitata ad estendere l’applicabilità del precedente

art. 129 del TUF (azione sociale di responsabilità) ma ha provveduto anche ad adattarlo eliminando la

previsione per cui i soci debbano essere iscritti da almeno sei mesi nel libro soci vista l’improbabilità nelle

società non quotate di procedere ad apposite ricerche di azionisti al fine unico di raggiungere i quorum per

esercitare l’azione.

Anche il limite di 1/5 peraltro risulta essere di natura ordinatoria, elevabile a massimo 1/3 dallo statuto a

norma dell’art 2393­bis co.1.

Prendendo in considerazione invece gli interessi ed i soggetti alla cui tutela è ispirata la disposizione è’

evidente senza ombra di dubbio come il suo esercizio da parte delle minoranze non sia diretto ad una tutela

diretta degli interessi di quest’ultima, che semmai potrà essere solo indiretta, ma alla tutela dell’interesse

societario stesso: i soci in questo frangente fanno pertanto valere giudizialmente dei diritti che risiedono

unicamente in capo alla società secondo lo schema tipico della sostituzione processuale di cui all’art. 81

c.p.c.

Tale assunto è inoltre confermato dallo stesso terzo comma dell’articolo in esame visto che si dispone che la

società debba essere liticonsorte necessaria e ciò implica che i vantaggi conseguiti in seguito all’esercizio di

tale azione debbano essere imputabili esclusivamente alla società, trattandosi, come già ricordato, di

legittimazione sostitutiva dei soci di minoranza che li vede titolari esclusivamente del diritto al risarcimento

delle spese sostenute per il giudizio da parte della società o della parte soccombente.

Depone in favore di tali considerazioni svolte lo stesso sesto comma il quale dispone infatti che anche i

vantaggi conseguiti in via di transazione o di rinunzia dell’azione debbano andare ad esclusivo vantaggio

della società.

Proprio circa la possibilità di transazione o rinunzia controversa sembrava essere la prospettata possibilità

della società di rinunziare all’esercizio dell’azione o procedere a transazione.

Fermo restando quanto appena detto circa i vantaggi derivanti da tale tipo di operazioni resta tuttavia da

verificare se a questi atti sia legittimato esclusivamente il gruppo minoritario che ha proposto l’azione o

anche la liticonsorte necessaria considerando che se si riconoscesse una legittimazione incondizionata in

capo alla società di fatto si presenterebbero delle criticità relative al fatto che il principio garantistico

ispiratore di tali disposizioni potrebbe essere neutralizzato visto che, dato il legame tra management e soci di

controllo, la società potrebbe in ogni momento rinunciare all’azione oppure decidere di procedere a

transazione.

Una risposta a questo quesito la da senz’altro lo stesso art 2393­bis al co. 7 che dichiara applicabile la

disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 2393 per cui si riconosce espressamente la possibilità in capo

alla società di rinunziare all’azione purché non vi sia voto contrario di una percentuale di capitale pari alla

stessa percentuale richiesta per l’esercizio dell’azione tranne che nel caso delle società che fanno ricorso al

capitale di rischio per le quali la soglia rimane quella pari al 5%, probabilmente a causa di una dimenticanza

del legislatore.

3. STRUMENTI DI AUTOTUTELA DIRETTA: LA DENUNZIA AL TRIBUNALE (art 2409 c.c.)

L’azione di responsabilità sopra descritta non esaurisce tuttavia il campo degli strumenti di autotutela diretta

esperibili in via giudiziale in quanto non di poco conto è la possibilità di tutela, in favore delle minoranze,

rappresentata dal disposto dell’art. 2409 c.c in materia di “Denuncia al Tribunale”.

La disposizione in oggetto invero era presente anche nel testo originario del Codice Civile ante riforma ed è

stata rimaneggiata dalla quest’ultima solo in riferimento alle soglie per la denuncia nelle società ricorrenti al

mercato del capitale di rischio (pari al 2%), rimanendo ferma la possibilità per un decimo dei soci oppure

una minor percentuale stabilita in sede statutaria, di fare ricorso al tribunale con lo scopo di denunciare gravi

irregolarità nella gestione.

Lo strumento della denunzia al tribunale e della conseguente possibilità per la società di essere sottoposta ad

amministrazione giudiziaria in presenza di gravi irregolarità, per anni è sempre stato considerato come

finalizzato alla tutela di un interesse pubblico, quello alla legalità della gestione societaria, paragonando la

stessa amministrazione giudiziaria probabilmente a procedure concorsuali quali il fallimento.

Ad oggi tuttavia la stessa normativa sembra confermare il fatto che si sia adottata una visione “privatistica”

della denunzia e della possibile procedura di amministrazione straordinaria con la conseguenza che la

denunzia non possa che costituire rimedio di giurisdizione volontaria, non essendo accostabile a qualsivoglia

procedura pseudo­amministrativa.

Depongono in favore le novelle legislative apportate sia con il TUF del ’98, che ha esteso la legittimazione

attiva al collegio sindacale, sia con la riforma societaria del 2003 che in maniera più efficace ha sottratto al

P.M. la possibilità di esercitare tale denunzia ed ha al contempo specificato che le irregolarità lamentate

debbono essere qualificate da un carattere fondamentale consistente nella potenzialità dannosa rispetto

all’interesse societario.

Pertanto, se da un lato si deve ammettere che le ultime riforme, in particolare la riforma del diritto societario

del 2003, abbiano contribuito a mutare l’assetto di interessi e principi alla cui tutela è improntato il disposto

dell’art 2409 c.c., diretto a consentire un controllo ed una regolarizzazione di condotte contrastanti con la

rete di diritti ed interessi create dal contratto di società è da affermare al contempo che le stesse hanno ridotto

profondamente il campo di applicabilità della norma, limitando significativamente le possibilità di tutela

della minoranza.

Vediamo dunque quali sono state le modifiche che hanno portato a sostenere una simile tesi.

Le più importanti riguardano senz’altro l’oggetto della denuncia, i fatti gestionali dei quali si richiede la

censura; il legislatore del 2003 infatti ha integrato il primo comma che faceva riferimento esclusivamente,

quali presupposti per la denuncia, a irregolarità “nell'adempimento

dei doveri degli amministratori e dei sindaci, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale

possono denunziare i fatti al tribunale”, stabilendo invece che vi debba essere il “fondato sospetto che gli

amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarita' nella gestione che

possono arrecare danno alla societa' o a una o piu' societa' controllate”.

Da una prima lettura si può immediatamente capire quale sia stata la portata della modifica che da un lato ha

senz’altro ridotto il campo di applicabilità della norma, arginando possibili tecniche di semplice disturbo

dell’attività amministrativa, e dall’altro ha prodotto l’effetto di indebolire la tutela offerta al gruppo

minoritario nei confronti degli amministratori poiché in ogni caso l’istituto non riusciva a garantire tal tutela

rispetto a possibili pratiche abusive della stessa maggioranza, considerando peraltro la società come vera

parte lesa in caso di tali irregolarità, nonostante sia il gruppo di controllo nella prassi a dirigere e guidare

l’azione amministrativa del CDA.

Andando per ordine si

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A.A. 2016-2017
8 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/04 Diritto commerciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fra19912 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto commerciale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Cian Marco.