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La rigida zonizzazione è propria degli anni ’60 ed è di scuola americana. Essa non è prescritta in modo
esplicito da alcuna disposizione normativa ma viene seguita nella prassi applicativa tradizionale. La rigida
zonizzazione attribuisce a ciascuna porzione del territorio comunale un’unica funzione specializzata.
L’integrazione funzionale è di stampo europeo ed è stata sperimentata a partire dalla metà degli anni ’80 in
città modello come Berlino e Barcellona. Questa persegue l’intento di consentire un uso flessibile del suolo
attraverso la compresenza di una molteplicità di usi promiscui nell’ambito di una stessa zona. Collegati
all’integrazione funzionale nascono una nuova tipologia di programmi: i programmi urbani complessi.
Questa nuova tipologia di programmi fa de concetto di integrazione tra opere diverse e tra forme diverse di
finanziamento (privato e/o) pubblico il proprio fulcro metodologico e funzionale.
Il Comune, in sede di pianificazione generale del proprio territorio, utilizza due strumenti che hanno fini
diversi:
1. la divisione in zone del territorio
2. la definizione, per ciascuna zona territoriale omogenea, dei limiti e dei rapporti tra edificazione a
scopo residenziale e produttivo e spazi pubblici
In particolare vengono previste tre zone destinate ad insediamenti residenziali (A,B,C), una zona destinata a
nuovi insediamenti per impianti industriali (D), una zona destinata ad usi agricoli (E), una zona destinata ad
attrezzature ed impianti di interesse generale.
I parametri per la individuazione delle zone non sono tra loro omogenei: infatti le zone A,B,C, sono
caratterizzate ed individuate attraverso le qualità fisiche ed edilizie del territorio, le zone D,E,F, sono
caratterizzate dalle destinazioni d’uso del suolo in atto o previste dal piano in quella specifica porzione di
territorio.
È possibile trovare zone miste o speciali. Queste sono quelle che contemplano simultaneamente varie
destinazioni funzionali, senza assimilazioni ad alcuna zona omogenea. Ciò significa che in una zona
territoriale omogenea possono essere comprese più destinazioni rilevanti ai fini della determinazione degli
standard.
Il piano regolatore generale, nell’impianto originario della legge, doveva considerarsi come piano di
massima e contenere prevalentemente previsioni programmatiche e solo un numero limitato di previsioni
operative. Nell’applicazione pratica, però, è stato chiamato ad assolvere contemporaneamente ad esigenze
sia di impostazione generale sia di controllo e di stimolo operativo, impegnando effetti giuridici non
opportuni per un piano di direttive. È stata, perciò, avvertita l’esigenza di flessibilità del piano comunale.
Nella legislazione regionale più recente il problema è stato affrontato con l’introduzione di un nuovo
modello di piano a struttura binaria distinguendo nel piano stesso:
• una componente programmatica: tende a tradursi in un piano di struttura, il cui contenuto
riguarda le componenti descrittive ed interpretative, l’individuazione degli elementi non
negoziabili del piano e l’esplicitazione degli obiettivi che reggono l’impianto strutturale. Tale
componente viene integrata da un regolamento urbanistico ed edilizio che fissa le condizioni da
rispettare negli interventi di trasformazione del territorio
• una operativa: ha una funzione di definizione concreta degli interventi sulle varie parti del
territorio comunale. Essa deve procedere ad un più approfondita valutazione di sostenibilità
urbanistica ed ambientale, indicando quantità e caratteristiche degli insediamenti privati che
devono essere realizzati
Nel piano a struttura binaria vengono previsti aggiornamenti di dettaglio, ossia modificazioni di competenza
del Comune che non hanno la necessità di essere approvati da un ente straordinario. Inoltre vengono
sempre più frequentemente inseriti strumenti negoziabili che si connettono ad accordi pubblico-privato.
La formazione del piano regolatore generale è obbligatoria:
• per i Comuni compresi in elenchi formati dal Ministero dei Lavori pubblici tra il 1954 e il 1972
• per i Comuni compresi in elenchi formati dalle Regioni dopo il 1972
Tutti gli altri Comuni hanno comunque la facoltà di fornire il piano regolatore generale del proprio
territorio.
Il procedimento di formazione del piano è formato da 9 fasi principali:
1. elaborazione tecnica dello schema del piano: è eseguita direttamente dagli uffici tecnici dei Comuni
o demandata a progettisti esterni incaricati dalle amministrazioni comunali
2. acquisizione dei pareri previsti sugli enti locali, di regolarità tecnica e contabile, e richiesti dalle
leggi regionali. In caso di Comuni sismici la delibera di adozione deve essere preceduta da un parere
del competente ufficio tecnico regionale
3. delibera d’azione del piano: la delibera viene emanata dal Consiglio comunale e dopo 10 giorni
dalla sua pubblicazione diventa esecutiva
4. pubblicazione del piano adottato: il piano viene esposto per 30 giorni nella segreteria comunale in
modo che chiunque possa prendere visione
5. possibilità di presentare osservazioni: enti pubblici, associazioni sindacali, istituzioni interessate,
privati cittadini possono presentare osservazioni, entro 30 giorni, in una prospettiva di
collaborazione al perfezionamento dello strumento urbanistico
6. delibera del Consiglio comunale: in ordine alle osservazioni presentate tale delibera deve contenere
la verbalizzazione della discussione e le controdeduzioni dalle quali risulti chiaramente se le
osservazioni vengono accolte o respinte (se il Consiglio comunale approva anche soltanto una delle
osservazioni presentate deve accogliere tutte le osservazioni)
7. presentazione del piano all’organo regionale
8. approvazione del piano da parte della Regione o Provincia: la Regione o la Provincia ha la possibilità
di presentare modifiche. Il piano deve essere approvato dalla Regione entro 12 mesi dal deposito. Il
termine può essere interrotto una sola volta e solo a causa di motivata richiesta di integrazione
documentale.
9. pubblicazione del decreto di approvazione del piano nella Gazzetta Ufficiale (oggi chiamato
Bollettino Ufficiale della Regione) e deposito di una copia di tale decreto nella segretaria del
Comune
Le modifiche che il Comune può apportare al piano regolatore generale sono:
- quelle che non comportano innovazioni sostanziali
- quelle conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano
- quelle che siano riconosciute indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano
territoriale di coordinamento, la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di
interesse dello Stato e della Regione, la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali,
ambientali ed archeologici, l’osservanza degli standard urbanistici
Nel caso in cui i termini temporali fissati dalla legge nel procedimento di formazione del piano regolatore è
previsto l’intervento sostitutivo dell’autorità regionale. Tale intervento consiste:
• nella convocazione, da parte del Presidente della Regione, del Consiglio comunale affinché
provveda degli adempimenti omessi nel termine di 30 giorni
• nella nomina di un Commissario che provveda alla designazione dei progettisti, all’adozione del
piano regolatore generale ed agli ulteriori adempimenti necessari per la presentazione del piano ai
competenti organi regionali
Molti piani regolatori, soprattutto quelli degli anni ’50-’60, non hanno disciplinato l’intero territorio
comunale, escludendone determinate zone che vengono definite zone bianche. Sorse, però, il problema del
tipo di normativa da applicarsi in tali zone. Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato la classificazione
delle aree bianche come edificabili o meno non può essere operata tenendo conto del contesto urbanistico
circostante ma devono ritenersi applicabili alle zone bianche gli standards obbligatori per i Comuni
sprovvisti di piano urbanistico e dell’eventuale normativa regionale.
Il piano regolatore generale ha vigore a tempo indeterminato, cioè finché non viene sostituito da un piano
regolatore generale successivamente approvato. Non è quindi ammissibile una delibera del Consiglio
comunale di abrogazione del piano ma sono previste delle varianti. Le varianti sono gli strumenti mediante
i quali può procedersi ad una revisione del piano regolatore qualora questa si renda necessaria. Le
previsioni delle varianti non incidono sulle costruzioni già in atto.
Originariamente i Comuni potevano dare corso a varianti dei piani solo dopo avere ottenuto
l’autorizzazione preventiva della Regione. A partire del 1985 ha, invece, stabilito espressamente che le
varianti non sono soggette alla preventiva autorizzazione della Regione.
Sono, inoltre, previste procedure di automatica variazione del piano e, in alcuni casi, si riconosce che
strumenti urbanistici attuativi costituiscano varianti implicite al piano regolatore generale.
I piani regolatori generali hanno natura mista e duplice valenza: da un lato dettano norme regolamentari
dal carattere programmatico, dall’altro contengono prescrizioni immediatamente precettive. Le norme
regolamentari dal carattere programmatico necessitano di appositi provvedimenti attuativi per essere
attuate. Le prescrizioni immediatamente precettive hanno un effetto conformativo della proprietà urbana,
sottoponendo a vincolo i fondi siti nelle aree destinate ad uso pubblico o a limitata espansione.
Il piano regolatore generale può porre i seguenti vincoli:
• vincoli preordinati all’espropriazione: questi vincoli derivano dalle localizzazioni e riguardano aree
da espropriare in futuro per realizzarvi opere pubbliche o reti viarie
• vincoli di inedificabilità assoluta o relativa: questi vincolo derivano dalle zonizzazioni e riguardano
aree destinate a verde oppure a bassa urbanizzazione. Per inedificabilità assoluta si indica il divieto
di ogni possibile edificazione, per inedificabilità relativa si intende la possibilità di costruire soltanto
entro ristretti militi volumetrici
Nel disegno originario il piano regolatore generale avrebbe dovuto contenere soltanto norme
programmatiche, mentre i vincoli dovevano essere imposti soltanto dai piani attuativi. È accaduto poi che
si è riconosciuta ai piani regolatori efficacia immediatamente precettiva in relazione ai vincoli. Però, il piano
regolatore generale, a differenza dei piani attuativi, ha validità indeterminata, ne consegue una durata
potenzialmente indefinita dei vincoli alla proprietà urbana. Per questa ragioni venne emanata la Legge
1187/1986.
Con la Legge 19 novembre 1986 n.1187 (legge tampone) i vincoli contenuti nei piani regolatori generali
perdevano ef