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LA GIUSTIZIA GLOBALE
1. L’approccio realista
Di giustizia globale Hobbes se ne preoccupava già chiedendosi cosa sarebbe potuto scaturire dall’incontro di
più Leviatani e concludendone che si sarebbero trovati in stato di natura tra loro. Kant ha scritto “la pace
perpetua” che potremmo con buona probabilità considerare il primo testo di giustizia globale mai scritto, in
cui il filosofo ritiene che ci possa essere una pace tra gli Stati Globali. Quando parliamo di giustizia globale
siamo sempre in un contesto normativo. I filosofi della tradizione realista però ci direbbero che gli stati
sono come Leviatani in guerra tra loro. Il primo approccio che studia la giustizia globale da un punto di vista
realista è “le relazioni internazionali”, cioè come gli assetti di potere sono gestibili in un contesto
internazionale in cui gli Stati non si devono niente. Per esempio durante la guerra fredda le relazioni
internazionali erano studiatissime perché venivano studiati tutti i modelli in cui la stabilità tra Stati Uniti e
Unione Sovietica potevano essere interrotti e non avevano nessun interesse cooperativo, come due Leviatani
appunto. Questo approccio delle relazioni internazionali non è però un assetto normativo, è invece una
prospettiva di tipo realista che analizza i fatti per come sono e che ci dice che lo Stato più potente ha un
maggior impatto sugli stati meno forti.
2. L’approccio normativo
La giustizia globale dal punto di vista della filosofia politica incentrato sulle questioni di giustizia si occupa
invece di argomenti diversi:
I diritti umani. Firmati dalla Carta dei diritti umani a Losanna nel 1948 e in teoria dovrebbero
essere rispettati globalmente. In questo caso non dovrebbe avere rilevanza il “noi” di Walzer, proprio
perché si tratta di una questione globale non domestico e quindi tutti noi dovremmo preoccuparci se
questi diritti non fossero rispettati ovunque.
L’immigrazione. Può essere gestita con approcci differenti. Gli stessi confini vengono giustificati
perché non potremmo farne a meno, ma come possiamo giustificare l’ingiustizia naturale di chi è
nato in un paese ricco e di chi invece è nato in un paese estremamente ostile?
Guerra giusta o ingiusta. Quali sono i criteri per determinare se una guerra può essere definita
giusta o ingiusta?
La distribuzione. Abbiamo un dovere redistributivo globale o solo domestico?
Il riscaldamento globale. Ovviamente non può essere risolto a livello domestico
3. I cosmopoliti. Peter Singer
Il cosmopolitismo ritiene che siamo tutti cittadini dello stesso globo e per questo abbiamo dei doveri. Dagli
anni 70 in avanti si sviluppa il paradigma del cosmopolitismo che afferma che i confini, essendo parte della
lotteria naturale così come i nostri talenti e la nostra posizione sociale, non hanno valore da un punto di vista
normativo. Per questa ragione, secondo i cosmopoliti noi abbiamo un dovere redistributivo nei confronti dei
membri del cosmo anche se non fanno parte del nostro contesto domestico. I principi e i doveri di giustizia si
applicano quindi a tutto il globo terrestre ed esiste solo la giustizia del cosmo. Il cosmopolitismo è quindi un
modello monista nell’affermare che non c’è differenza distributiva tra domestico e globale. Uno dei padri
fondatori del cosmopolitismo è Peter Singer e non a caso utilitarista. Per il modello utilitarista infatti,
affermare che si debba massimizzare l’utilità a livello di globo senza occuparci della questione domestica è
piuttosto semplice. Peter Singer ha sviluppato un piccolo esperimento mentale: due amici stanno
camminando in un bosco, a un certo punto sentono un bambino che grida perché sta affogando in un
laghetto. Il bambino è il figlio di uno dei due e i due si tuffano per salvare il bambino. Poniamo che la
settimana successiva gli stessi due vadano di nuovo a passeggiare nei pressi del laghetto e che si ripresenti la
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medesima situazione con la differenza che il bambino questa volta è sconosciuto. Singer si chiede se si
butteranno comunque per salvare il bambino. Singer dice che c’è un dovere di giustizia di salvaguardare la
vita delle persone indipendentemente dal fatto che questi siano membri della nostra famiglia o meno.
L’argomento di Singer quindi è che se si ritiene che si debba salvaguardare la vita di uno sconosciuto, non si
capisce perché se un bambino in Africa sta morendo di fame non si avverta l’esigenza morale di contribuire a
proteggere questo bambino dalla carestia. Il filosofo sviluppa quindi una teoria in cui tutti abbiamo dei
doveri di giustizia globale. Si tratta di una teoria molto redistributiva ed è un problema di giustizia morale
personale in quanto non esistono delle istituzioni che fanno questa redistribuzione e Singer fa appello al
dovere morale che ciascuno di noi dovrebbe sentire e ipotizza questo dovere morale diretto. Quando io non
rispetto questo dovere morale diretto, mi sto comportando immoralmente. Singer è un filosofo morale più
che politico. I filosofi morali come Singer si preoccupano di cosa sia giusto da un punto di vista morale e le
difficoltà emergono scontrandosi con le applicazioni nel mondo reale.
Criticità di questa posizione
Problema legato alla legittimazione di atti coercitivi così onerosi. Richiede molto alle persone. E
come più volte abbiamo riscontrato in Rawls, ci dobbiamo chiedere come possiamo motivare le
persone. Si tratta di una teoria difficilmente legittimabile. Il passaggio dall’onerosità morale al
giustificare l’atto coercitivo che garantisce l’esito della norma morale sono due cose molto diverse.
Poniamo a esempio che da un punto morale sia sbagliato uccidere, gli Stati hanno un atto coercitivo
che porterà all’arresto dell’assassino, ma siccome il non uccidere è un dovere così forte, stringente,
la legittimazione della coercizione è valida anche perché si ritiene che la maggioranza delle persone
di uno Stato sarebbero a favore di una norma contro il libero omicidio generalizzato. Nel caso della
teoria di Singer le persone potrebbero essere motivate alla beneficenza, ma avere un dovere diretto di
distribuzione nei confronti di tutto il globo è praticamente impossibile a livello di filosofia politica.
Problema giustificativo dato un pluralismo valoriale ancora più ampio a livello globale che a
livello domestico. Molti filosofi ritengono che la morale sia oggettiva. Ma le comunità in cui noi ci
sviluppiamo sono molto diverse e quindi trovare delle norme morali che attecchiscano su ogni
individuo indipendentemente dal suo sviluppo è piuttosto complicato. Singer è un animalista e
indubbiamente l’argomento filosofico di Singer dà diverse ragioni per cui sia giusto non mangiare
gli animali, tuttavia nessuno di noi vorrebbe vivere in uno Stato che vieti qualsiasi tipo di cucina non
vegana.
4. I nazionalisti
I nazionalisti ritengono che la giustizia domestica e giustizia globale implichi una distinzione normativa netta
tra ciò che ci dobbiamo come membri di una stessa comunità e ciò che potremmo dovere o meno ai membri
del globo che non fanno parte del nostro contesto comunitario nazionale. I diritti e i doveri che si hanno in
una comunità politica sono per i nazionalisti stringenti ma non sono estendibili a livello globale. In questo
aspetto sono chiaramente l’opposto dei cosmopoliti. Secondo i nazionalisti non esiste coercizione legittima
se non si è nello stesso contesto domestico, non tanto per un problema di istituzioni ma perché come si è
visto con Walzer, il legame che si crea all’interno del noi ha un impatto forte sulla creazione e sul
mantenimento dei doveri. I nazionalisti affermano che se anche vi fosse un dovere redistributivo parziale nei
confronti di persone esterne alla nostra comunità politica, non si tratti di un dovere perfetto ma bensì
supererogatorio, quindi non possiamo aspettarci che tutti vi aderiscano con forza. I Nazionalisti forniscono
due argomenti differenti in difesa del nazionalismo contro la teoria cosmopolita. 2
I due argomenti a favore del nazionalismo:
Argomento comunitarista (Miller e Walzer). Richiamarsi a valori condivisi di una comunità, alle
tradizioni e a legami identitari. Walzer e Miller sono nazionalisti e si appellano proprio al fatto che vi
sia una identità culturale e storico tradizionale.
Argomento rispetto al ruolo svolto dalle istituzioni per legittimare l’apparato coercitivo
(Nagel). Questo argomento si avvicina di più alla corrente degli istituzionalisti ed è un argomento
secondo cui anche se avessimo un dovere diretto nei confronti dei membri non appartenenti al nostro
contesto domestico, il fatto che manchino delle istituzioni globali che gestiscono la redistribuzione fa
sì che il dovere si tramuti in un atto di beneficienza e che non sia un dovere perfetto. L’idea è che gli
aspetti socio-economici della giustizia richiedano ai cittadini l’appartenenza a un contesto
istituzionale, ma siccome non abbiamo aderito a un organo mondiale che gestisce a livello globale un
apparato distributivo, secondo questi autori è insensato imporre alle persone questo dovere.
5. Gli istituzionalisti. Pogge e Beitz
Secondo gli istituzionalisti le intuizioni di giustizia cosmopolita sono corrette, quindi noi dobbiamo avere un
dovere redistributivo nei confronti dei più svantaggiati a livello globale. Il problema però sollevato dagli
istituzionalisti è che ci mancano le istituzioni per garantire questa redistribuzione. Potremmo dire che gli
istituzionalisti sono una via mediana tra i cosmopoliti e i nazionalisti perché danno ragione all’intuizione
morale dei cosmopoliti ma sollevano il problema dell’applicabilità dell’idea e quindi è necessario calibrare
l’intuizione morale con le istituzioni che abbiamo al momento. Vi è quindi un dovere di redistribuzione ma
non è un dovere perfetto.
a. La posizione di Pogge.
Secondo Pogge, è vero che come sostenuto dai cosmopoliti non c’è un dovere diretto di riparazione degli
svantaggi, ma è altrettanto vero che se analizzassimo storicamente i vantaggi che i membri degli Stati del
primo mondo hanno ottenuto dallo sfruttamento di certi altri paesi (pensiamo per esempio al colonialismo)
saremmo in grado di derivare un dovere riparativo di derivazione storica. In questo senso quindi non si
tratterebbe più di un dovere di beneficienza ma sarebbe un dovere stringente di giustizia poiché dobbiamo
riparare un torto che abbiamo in effetti causato. L’argomento di Pogge, che normativamente è molto forte, si
basa sul principio del danno. Tale principio vincola le nostre azioni ovvero quando noi stiamo creando un