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Beccaria. Nei 12-20 anni successivi il suo libro viene tradotto in tutte le lingue europee,
viene letto dai maggiori politici anche negli USA. Beccaria ha avuto l’idea di scrivere di
diritto penale in un piccolo saggio che tutti coloro che erano alfabetizzati potevano
leggere; vediamo una capacità comunicativa nuova e straordinaria. Scrive questo libro in
primo luogo per i politici. Dice che la pena di morte non serve a niente. E’ inutile, non
serve come deterrente, né come retribuzione. Come retribuzione infatti è troppo breve,
troppo veloce, e il dolore che il condannato ha dato non è restituito. Dal punto di vista
deterrente non funziona perché può avere due influssi su chi vede quello spettacolo: un
tipo di persone si gode lo spettacolo, un altro tipo è sensibile e pensa “povera vittima
dello Stato”; in questo caso i cittadini pensano che lo Stato stia compiendo una vendetta
non adeguata, ma superiore; lo Stato si trasforma in un omicida.
Per quanto riguarda la tortura, Beccaria dice che questa è un mezzo illegittimo di
escussione della prova, cioè di raggiungimento della verità processuale. Se viene
compiuta prima della sentenza, allora si sta punendo, forse, un innocente e quindi si sta
compiendo qualcosa di illegittimo. Inoltre la tortura è inutile, non porta alla verità, perché
sotto tortura chiunque confesserebbe il falso, soprattutto la persona innocente perché
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non è abituata ai soprusi e alla sofferenza fisica; quindi più facilmente una persona
comune confesserà quello che non è vero; mentre una persona abituata alle durezze
della vita delinquenziale sopporta le torture molto meglio, andando avanti a dire il falso.
La prova principe era la confessione, non si poteva arrivare a sentenza senza di essa,
quindi l’imputato doveva confessare per forza. Era prevista anche per i reati del diritto
canonico (eresia). La tortura, in poche parole, non è una garanzia di verità. Tutti gli stati
moderni hanno accettato questa teoria, non è prevista da nessuna parte.
Per quanto riguarda la pena di morte, ci sono molti stati che la adottano.
Dalla metà del 700 hanno iniziato ad entrare in campo i principi di Beccaria e di altri
illuministi. Il primo di questi principi è che la responsabilità penale è personale: se
trasgredisco la legge, sono io il responsabile. L’imputato non è considerato colpevole
fino alla condanna definitiva. Nella comunicazione però spesso le persone vengono
considerate colpevoli ancora prima che si arrivi a sentenza, rimane colpevole secondo
l’opinione pubblica; inoltre l’informazione non fa dimenticare quello che è successo, ma
questo non è giusto in base al diritto all’oblio.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità (al rispetto
della dignità umana). In carcere il carcerato diventa un numero, e già questo schiaccia la
sua personalità. Il carcere dovrebbe tendere alla rieducazione.
La costituzione dice, in modo molto breve e sintetico, che “non è ammessa la pena di
morte”.
Art. 25: il giudice penale naturale è colui che si trova nel territorio nel quale è stato
compiuto il crimine. Durante il fascismo avveniva diversamente, quando gli imputati
venivano portati dove risultava comodo, dove c’erano i tribunali speciali, fatti di persone
di fiducia che condannavano chi voleva il regime—> la magistratura non era autonoma.
Principio di irretroattività della legge penale: oggi non può essere condannata una
persona per aver commesso una cosa prima che la legge fosse emanata. Non vale per il
passato. Questo impedisce di creare dei reati ad hoc per punire dei nemici politici.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla
legge. Ci sono due principi impliciti: la certezza del diritto (il diritto deve essere
conosciuto e conoscibile), la certezza della pena (la persona che trasgredisce la legge
deve sapere che andrà incontro alla sanzione)—> rende efficace il diritto penale, se non
c’è la certezza delle pene il delinquente può decidere di rischiare.
Tutto ciò riguarda il mondo contemporaneo, perché nell’antichità la responsabilità penale
non era personale, non c’era la condanna definitiva, ecc.
Ora la condanna è definitiva quando è passata in giudicato, cioè emanata la
sentenza è passata la quantità di giorni sufficienti perché venga proposto un ricorso. Se
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passa quel numero di giorni la condanna diventa definitiva. La condanna di primo grado
richiede 45 giorni, se dopo questi nessuno fa richiesta di appello la condanna passa in
giudicato e diventa definitiva.
Nell’antichità fino ad un certo punto il giudizio era unico e inappellabile, in Grecia e a
Roma fino all’epoca dell’impero c’era un solo grado di giudizio. Da Augusto in poi nasce
l’appello all’imperatore, ma veniva fatto solo da persone abbienti. Ci sono aspetti in
comune tra antica Roma e USA: questi prevedono vari gradi di ricorso, ma possono
essere portati avanti solo da persone abbienti perché i processi penali sono
costosissimi.
Nell’antichità era la normalità la pena di morte, era un metodo con cui venivano puniti
moltissimi reati. Un tempo non esisteva una normativa penale da parte dello stato, ma
esisteva la vendetta privata incontrollata. Il passo successivo è stato la vendetta
controllata, la “legge del taglione” (occhio per occhio, dente per dente). Da quando si è
creata una società civile, c’è stata la vendetta controllata; inizialmente era controllata dal
privato, ma poi ci si è resi conto della confusione che in questo modo si creava e così
inizia lo Stato a fare la vendetta. Si crea piano piano l’idea che la responsabilità è
personale, la pena viene orientata verso i trasgressori. Lo stato diventa colui che
garantisce ordine e sicurezza, si vieta ai singoli di farsi vendetta da soli. Ma ci sono dei
casi particolari, come la legittima difesa: nel caso in cui una persona sia in pericolo
imminente può difendere la propria vita. Questa difesa è vietata in paesi come il nostro,
è possibile solo in determinate forme: deve essere proporzionata all’offesa. Non si può
neanche uccidere la persona che percuote, né la persona che minaccia col coltello.
Tutto è volto alla limitazione della legittima difesa. Non ovunque è così, per esempio
negli USA si può uccidere in caso di intrusione nella proprietà privata, anche se l’intruso
non è armato—> la proprietà privata non può essere lesa. Lo stato italiano, invece, non
accetta la difesa privata.
I principi costituzionali penali per lo più sono moderni. Abbiamo una permanenza del
diritto civile, e una innovazione del diritto penale.
Pena del sacco
In latino è poena cullei, è stata ideata dai romani in epoca arcaica. Punisce quello che
viene considerato dai romani l’omicidio più terribile, quello che colpisce il padre o i
parenti stretti, che punisce cioè il parricidio. Diventa omicidio del padre, poi si amplia e
diventa parricidio anche l’omicidio di altri parenti; solo molto tardi diventa l’omicidio del
figlio, perché nel diritto romano c’era la possibilità del ius corrigendi (diritto di correggere
i propri figli anche con le percosse); lo stesso diritto c’era anche nei confronti della
moglie (veniva punita da suo marito o da suo padre). Nel diritto arcaico, se il padre
picchiando troppo la moglie o il figlio li uccideva, non veniva punito. Quando si sviluppa il
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senso di umanità diminuisce il potere e si pensa che bisogna vietare al padre di
uccidere; dal divieto si passa alla punizione—> il parricidio non viene punito come un
omicidio normale, ma in modo più grave. Quindi c’è sia volontà di ampliarlo che di
restringerlo .
Con Costantino (300 d.c) l’uccisione de figlio viene parificata all’uccisione del padre, si
qualifica come omicidio anche l’uccisione del servo—> influsso del cristianesimo che
porta a idea dell’uguaglianza degli esseri umani.
Cos’è l’omicidio del padre: omicidio di colui che ha dato la vita, che quindi dovrebbe
essere la più importante e venerata, quindi si compie non solo un reato ma un’offesa agli
dei. Il parricida offende la collettività e la pace con il regno degli dei. Bisogna isolare
allora questa persona dalla collettività, bandirla, isolarla dagli elementi naturali (terra,
acqua, fuoco e aria); questa persona allora non può essere sepolta e quindi non avrà
mai pace; viene messa dentro un sacco e prima di ciò deve passeggiare mentre tutti i
membri della collettività lo sbeffeggiano—> passeggiata ignominosa, camminando su
zoccoli di legno. Veniva frustata con delle verghe, poi veniva chiusa in un sacco sigillato
ermeticamente e questo veniva buttato nel mare o nel fiume. Non era però sufficiente, ci
voleva qualcosa di simbolico che equiparasse la persona condannata ad un mostro
(mostrum= cosa strana); doveva stare con creature a lui simili quindi il parricida veniva
chiuso nel sacco insieme a un galletto, un cane randagio, un serpente velenoso e una
scimmia. Ognuno di questi animali ha una funzione simbolica, ma le fonti dell’antichità
non dicono quale sia, quindi sono state fatte delle ipotesi:
Galletto: animale molto aggressivo, canta all’alba (metafora dell’inizio della vita umana)
—> il parricida ha ucciso colui che gli ha dato la luce.
Vipera: animale infido, ma a causa di una erronea convinzione dell’antichità si pensava
che morisse dando alla luce i viperini—> animale matricida
Scimmia: mostrum, persona che non può più essere chiamata umana, è una caricatura
dell’umanità, sembra che abbia dei tratti umani ma è bestiale—> esempio grottesco di
figura simile a quella umana
Cane: non visto come un animale positivo (così come nel mondo islamico perché
maledetto da Maometto).
Il tutto veniva buttato in un luogo profondo del Tevere per fare in modo che non venisse
più trovato; inoltre il sacco era impermeabile così non toccava l’acqua.
Questa simbologia ha origine nell’epoca arcaica, ma questa pena è sopravvissuta a
lungo. Adriano prevede la non abolizione di una pena del genere per i parricidi. Si è
discusso molto sull’effettività di questa pena, ma pare che in certi casi venisse davvero
applica