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L'identificazione con l'anima sensitiva e motoria aristotelica risulta dunque facile. L'altra facoltà,
16 Ivi, VII, 15.21.
17 Ibidem.
18 Ivi, III, 5.7.
19 Ivi, VII, 16.22.
quella vegetativa, è presentata proprio attraverso la figura di un albero, che cresce, si nutre, ma non
ha in sé quella spontaneità, quella coscienza potremmo dire, che lo porterebbe ad appartenere al
regno degli essere viventi.
L'anima non deriva la sua natura dalla «quintessenza» aristotelica.
La classificazione empedoclea prevedeva che il reale fosse composto di quattro elementi: terra, aria,
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acqua e fuoco. Successivamente, a partire molto probabilmente da Ferecide di Siro e dalla scuola
pitagorica, andò diffondendosi l'idea della presenza di un quinto elemento accanto ai quattro
costitutivi. Anche Platone, in un dialogo di incerta attribuzione, l'Epimonide, lo affianca agli
elementi di Empedocle: «Dato che i corpi sono cinque, bisogna dire che sono il fuoco e l'acqua,
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terza nell'ordine l'aria, quarta la terra e quinto l'etere.» . È con Aristotele però che l'etere assume
una posizione fondamentale, addirittura superiore rispetto alle altre essenze. Lo Stagirita distinse la
realtà sensibile in due sfere: il mondo sublunare e il mondo celeste. Il mondo sublunare è
caratterizzato dalla presenza di ogni tipo di mutamento, quello celeste, invece, dal solo movimento
locale, circolare. Nelle sfere celesti non può esserci alcun tipo di corruzione o generazione, né
alterazione. La differenza fra i due mondi risiede proprio nella materia della quale essi sono
costituiti. Il mondo sublunare, essendo caratterizzato dal mutamento e dalla corruzione, è costituito
dai quattro elementi, che nel loro scontro e movimento, possono anche trasformarsi l'uno nell'altro.
Nel mondo celeste è presente un solo elemento, che ha come moto proprio unicamente il moto
circolare. Tale elemento è, appunto, l'etere o quintessenza, ed è per sua natura ingenerato,
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incorruttibile ed immutabile. Secondo Cicerone , Aristotele proprio da questo elemento avrebbe
tratto la materia di cui l'anima è composta. Ed è a questa tradizione ermeneutica che si rifà Agostino
nel momento in cui affronta la possibilità che l'anima derivi dalla quintessenza aristotelica.
L'argomentazione agostiniana risulta, prima facie, alquanto oscura:
Se infatti coloro che hanno questa opinione, chiamano corpo quello stesso che chiamiamo corpo anche
noi, cioè una sostanza qualsiasi occupante uno spazio in lughezza, larghezza e altezza, non solo ciò non è
l'anima, ma non si deve credere neppure che l'anima sia fatta con questo elemento. Poichè tutto ciò che è
di simile natura, per non dire altro, può essere diviso o circoscritto con linee in qualunque sua parte; ora,
se l'anima fosse capace di ciò, non potrebbe concepire affatto linee che non possano tagliarsi nel senso
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della lunghezza, come quelle che tuttavia sa non potersi trovare nel mondo dei corpi.
Proviamo a parafrasare. Secondo l'Ipponense, se l'anima fosse composta di questo innominato
quinto elemento, allora potrebbe essere circoscritta e divisa da linee, così come può accadere per gli
altri corpi. Quindi, seguendo il principio per cui il simile conosce il simile, tale anima non potrebbe
mai venire a conoscenza degli elementi geometrici di base («linee che non possano tagliarsi nel
senso della lunghezza» e che «non si trovano nel mondo dei corpi») o di alcun struttura non
riscontrabile nel mondo empirico. Ma ciò avviene; dunque, l'anima non è composta da una sostanza
simile a quella di alcun corpo. Finora il De Genesi non ci ha portato verso alcuna conclusione
riguardante la materia di cui sarebbe fatta l'anima. Solo qualche accenno ad una materialità sui
generis non identificabile né con un sostrato immateriale, né con un'originarietà corporea. Anzi, si
affaccia bruscamente la possibilità che del nome di questa sostanza non si possa dire alcunchè, ma
solamente che non si tratti né di una vita irrazionale, né priva di sensazione, ma di una natura
diversa da quella di Dio e inferiormente simile a quella angelica, cui è destinata a divenire uguale se
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vivrà seguendo i precetti del Creatore .
20 Annoverato da Ermippo di Smirne fra i Sette Sapienti, visse intorno al VI secolo a.C.
21 Platone, Epimonide, p. 5 (disponibile all'indirizzo
http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneEpinomide.pdf).
22 Cfr. Cicerone, Tusculanae Disputationes, I, 10.
23 Agostino d'Ippona, op. cit., VII, 21. 27.
24 Cfr. Ivi, VII, 21.30.
Le ragioni causali e le aporie sull'esistenza dell'anima. La difficoltà di un'opinione certa
sull'origine dell'anima.
Comunque sia, l'anima resta una creazione di Dio che si infonde nella carne per mezzo del suo
soffio, di qualunque natura e qualunque statuto ontologico esso abbia. Di conseguenza prima
dell'atto creatore, lo spirito vitale, non esisteva. Al momento della sua messa in essere, sorge per
Agostino un problema:
Ma dell'anima che doveva essere creata, cioè del soffio che doveva essere creato per divenire anima
umana, quale ragione causale era stata nascosta originariamente nella terra quando Dio disse :Facciamo
l'uomo a nostra immagine e somiglianza – somiglianza che può intendersi rettamente solo rispetto
all'anima – se non c'era alcuna sostanza con cui potesse essere creata?
Per la prima volta all'interno del nostro discorso ci imbattiamo in una delle più celebri elaborazioni
teoriche dell'Ipponense: la dottrina delle «ragioni causali». Sarebbe troppo lungo incamminarsi in
una definizione precisa del significato di questa teoria, date le fattezze di questo breve elaborato;
basti, quindi, una rapida sintesi.
La dottrina delle ragioni causali venne formulata da Agostino per rispondere ad alcune apparenti
contraddizioni insite nell'esegesi del racconto biblico della creazione. La più importante fra queste
andava ad investire il significato tutto dell'opera agostiniana. La Genesi è il racconto dei sei giorni
della creazione; questo momento, nella sua scansione giornaliera e temporale, va inteso in senso
letterale, come genesi in un determinato e ben circoscritto lasso di tempo, o in maniera figurata?
Agostino non ha dubbi: « Pertanto, nel succedersi di tutti quei giorni v'è un giorno solo, da non
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concepirsi come siamo soliti concepire i nostri giorni» . Tutte le cose furono create in maniera
simultanea nella modalità di conoscenza e di azione divina. Ma come può questo accordarsi con la
continua creazione che vediamo all'opera tutti i giorni? Se la creazione fosse finita nel momento
stesso della sua messa in atto, come si potrebbe spiegare la persistenza della nascita e della
corruzione nel mondo empirico? È per conciliare questa apparente aporia che Agostino pone in
essere la sua teoria. Accanto all'opera creatrice in senso proprio, che consistette nel trarre gli
elementi fuori dal nulla, sussiste un'opera di amministrazione continua, che si esplica mediante le
ragioni causali delle creature che Dio pose in essere al momento della creazione. Queste ragioni
causali furono “seminate” da Dio stesso e contengono tutto ciò che a livello empirico può venire
all'esistenza, può nascere, crescere, evolversi o scomparire. Sono gli strumenti attraverso i quali Dio
continua e amministra la sua opera di creazione. Strumenti necessari a connettere logicamente
l'opera divina atemporale con la temporalità e immanenza della coscienza umana individuale. In
questo senso le ragioni causali (o seminali) sono inserite da Dio tra le maglie del creato, garantendo
la successione ordinata degli enti. Inoltre, esse dipendono dalle ragioni eterne ed immutabili
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contenute nel Verbo di Dio e rappresentano i principi di intelligibilità di tutte le cose create .
Il problema riguardante la ragione causale propria dell'anima si presenta ad Agostino sotto una
forma particolare. Se le ragioni causali dei corpi e degli enti corporali, sono contenute in corpi di
natura generale, o elementi (la ragione causale del corpo umano è contenuta nella terra, nel fango),
qual'è, se c'è, quel tipo particolare di corpo atto a contenere la ragione causale di quel tipo
particolare di materia che è l'anima? Al vescovo di Ippona si presentano qui due ipotesi: o l'anima
esiste prima di venire nel corpo, e allora bisognerebbe anche capire che cosa spinga l'anima, pura e
d'origine divina, a spostarsi nel corpo umano, corrotto e futuro peccatore; oppure l'anima è creata
contemporaneamente al corpo, soltanto, cioè, nel momento in cui in esso venne infusa dal soffio
divino. Seguendo questo secondo punto si cadrà in altre due aporie: a) se l'anima è infusa nell'uomo
al momento della creazione del corpo, allora dove risiederebbe la sua ragione causale? b) se l'anima
è creata da qualcosa di già esistente allora si cadrà nelle difficoltà già incontrate prima, quando si è
indagata la natura di questo qualcosa all'interno del quale l'anima esisteva prima di cadere nel
25 Ivi, IV, 26.43.
26 Cfr. C. Esposito, P. Porro, Filosofia. Antica e Medievale, p. 230.
corpo. Agostino stesso ammette che è cosa alquanto difficilw avere un'opinione certa riguardo
l'anima; fin qui, dunque:
Riguardo all'anima […] non affermo per ora nulla di definitivo, tranne quanto segue: essa proviene da
Dio ma senza essere la sostanza di lui: è incorporea, non è un corpo ma uno spirito; questo spirito però
non è generato né procede dalla stessa sostanza di Dio, ma è stato creato da lui, in modo però che nessuna
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natura corporea o anima irrazionale fosse trasformata nella sua natura e percioò è tratta dal nulla [...]
Conclusione. L'incertezza di Agostino
Sul finire del libro VII Agostino lascia in sospeso diverse questioni sulla natura dell'anima, tematica
che tornerà ad affrontare nel libro X. Le uniche certezze raggiunte fin qui sono rappresentate dal
fatto che Dio fece l'anima «traendola o dal nulla o da qualche creatura spirituale, ma in ogni caso
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razionale.» . Il decimo libro riprende con la trattazione delle diverse possibilità originarie
dell'anima umana.
Alla luce di ciò che si è detto, Agostino individua tre possibili ipotesi sull'origine di quell'elemento
che rende l'uomo immagine di Dio:
a) Una sola anima fu fatta al momento della creazione e infusa nel primo uomo facendo da