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ALTRI MEZZI DI TUTELA CONTRO L’INGANNO.
Dal punto di vista generale l'annullabilità del contratto per dolo costituisce una tutela
di efficacia limitata. Una tutela contro le pratiche commerciali ingannevoli si realizza
mediante l'autorità garante della concorrenza e del Mercato la quale, d'ufficio o su
istanza di ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la
continuazione delle pratiche scorrette e ne elimina gli effetti. Una forma di tutela
Indiretta del consumatore si può realizzare considerando la pubblicità menzognera
come una forma di concorrenza sleale.
LA VIOLENZA.
NOZIONE.
In un primo significato il termine violenza designa l’impiego diretto della forza per
costringere altri: violenza fisica. In un secondo significato designa la minaccia ingiusta
esercitata allo scopo di costringere un soggetto ad emettere una dichiarazione
negoziale che altrimenti non avrebbe emesso (estorsione: art. 629). Il minacciato
viene posto di fronte ad un’alternativa: o stipulare un determinato negozio giuridico,
oppure andare incontro al male ingiusto minacciatogli. Se il minacciato cede,
considerando il negozio richiestogli come il male minore, questo è annullabile per vizio
del consenso. La violenza psichica è assoggettata al medesimo trattamento giuridico
anche se è esercitata da un terzo (art. 1434). In questo caso la legge non richiede la
consapevolezza della controparte del minacciato.
CARATTERI DELLA VIOLENZA.
La violenza deve essere di natura tale da fare impressione sopra una persona sensata
e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male notevole. Nel valutare l’intensità
della minaccia e la sua efficacia causale si ha riguardo all’età, al sesso e alla
condizione del minacciato (art. 1435). La violenza è causa di annullamento del negozio
giuridico anche quando il male minacciato riguardi la persona o i beni del coniuge, di
un discendente, di un ascendente, o anche di un’altra persona, salva in quest0ultimo
caso la valutazione, da parte del giudice, dell’efficacia della minaccia (art. 1436). È
necessario poi che la minaccia sia ingiusta. La minaccia di far valere un diritto è lecita
quando sia diretta ad ottenere la stipulazione di un negozio strumentale per la
realizzazione del diritto stesso. Ma se la minaccia di far valere un diritto è esercitata
per ottenere qualcosa che vada al di là di ciò che è già dovuto, e che non costituisca
un mero rafforzamento del diritto, o un giusto compenso per la dilazione o a rinuncia
al diritto stesso, allora essa è ingiusta e determina l’annullabilità del negozio (art.
1438). XXI. OGGETTO E CAUSA.
L’OGGETTO.
NOZIONE E REQUISITI.
L’oggetto del negozio consiste nelle prestazioni negoziali. Occorre che esso sia
possibile, lecito, determinato o determinabile (art. 1346). L’impossibilità iniziale
dell’oggetto rende nullo il negozio (art. 1418). Si deve trattare di un’impossibilità
oggettiva e assoluta, nel senso che la prestazione non possa essere resa da nessuno.
Se non vi è un’impossibilità oggettiva e assoluta, ma semplicemente un’impossibilità
soggettiva del promettente, il negozio è valido. In secondo luogo l’oggetto deve essere
lecito: le prestazioni contrattuali non devono, cioè, essere contrarie a norme
imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. In terzo luogo l’oggetto deve essere
determinato o determinabile. È determinato quando è definito direttamente dalle parti.
È determinabile quando le parti si sono limitate a definire il criterio per la sua
determinazione, o ne hanno rimesso la determinazione a un terzo. Talvolta le parti si
accordano nel senso che alcuni elementi del contratto debbano venire determinati da
un terzo, il qual goda della fiducia di entrambe per la sua competenza, esperienza e
correttezza. Il terzo viene detto arbitratore. La determinazione dell’arbitratore può
venire impugnata e sostituita dalla valutazione del giudice solo quando sia
manifestamente iniqua od erronea. Ugualmente la determinazione sarà fatta dal
giudice quando manchi la determinazione dell’arbitratore (art. 1349). Eccezionalmente
potrà risultare che le parti vollero rimettersi al mero arbitrio del terzo. In tal caso la sua
determinazione si può impugnare solo provando la sua malafede; inoltre, se la sua
determinazione manca, essa non può venire sostituita da quella del giudice e il
contratto è nullo (art. 1349). LA CAUSA.
I PROBLEMI.
Lo scambio, la prestazione di garanzia ecc., costituiscono lo scopo immediato ed
essenziale del dichiarante e ha rilevanza giuridica sotto due aspetti: se risultasse
mutilata una delle sue parti costitutive, anche le rimanenti perderebbero senso e
giustificazione, ma è anche importante valutare la natura dell’operazione negoziale
perché l’ordinamento giuridico non può riconoscere e tutelare se non i negozi diretti a
realizzare operazioni che siano lecite e che almeno in base ad una valutazione tipica,
appaiono degne di tutela.
CAUSA E MOTIVI.
L’operazione negoziale costituisce lo scopo immediato di chi pone in essere il negozio,
e va distinta dagli scopi ulteriori, in vista dei quali il negozio viene stipulato. Causa è lo
schema dell’operazione economico-giuridica che il negozio realizza immediatamente:
essa è la ragione giustificatrice del negozio, sia dal punto di vista dei soggetti che lo
pongono in essere, sia dal punto di vista dell’ordinamento giuridico. Ogni scopo
ulteriore è estraneo alla causa e viene designato come motivo in senso tecnico.
Talvolta può accadere che un motivo sia comune ad entrambe le parti.
ANALISI DEL CONCETTO DI CAUSA.
Per la maggior parte dei negozi la causa consiste nella sintesi dei loro effetti giuridici
essenziali. In queste ipotesi ogni singolo effetto negoziale trova giustificazione negli
altri. La necessità che la promessa, l’attribuzione patrimoniale o la prestazione siano
giustificate da altri effetti negoziali correlativi viene meno quando la volontà di chi
dispone sia diretta ad attribuire un beneficio gratuiti. Tale volontà costituisce una
giustificazione sufficiente. In tutti i casi considerati il negozio prevede e regola
un’operazione economico-giuridica autonoma e completa. Altre volte, invece, il
negozio trova un proprio presupposto in un’obbligazione preesistente. Perciò
l’obbligazione alla quale il negozio fa riferimento va considerata come elemento
integrativo della causa. Infine può accadere che il negozio si limiti ad operare una
disposizione patrimoniale in esecuzione di un’obbligazione preesistente, che ne
costituisce la causa.
MANCANZA DI CAUSA.
Se uno degli elementi essenziali del negozio non può assolutamente verificarsi, per
mancanza di un suo presupposto logicamente necessario, l’operazione negoziale
risulta mutilata o, comunque, ingiustificata. Si dice allora che il negozio manca di
causa. In particolare si avrà mancanza di causa ogni volta che sia inesistente
l’obbligazione che il negozio intende eseguire, garantire o modificare. Alla mancanza
di causa si riporta la regola secondo la quale la fideiussione non può eccedere ciò che
è dovuto dal debitore (art. 1941). E già abbiamo ricordato la disposizione secondo la
quale la novazione è nulla se non esisteva l’obbligazione originaria (art. 1234).
CAUSA ILLECITA, CAUSA NON DEGNA DI TUTELA. NEGOZI TIPICI E ATIPICI.
L’ordinamento giuridico non riconosce la validità del negozio, se non quando esso
abbia una causa lecita e degna di tutela. La causa del negozio è illecita quando sia
contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 1343). Non
basta che la causa sia lecita: può accadere infatti che l’operazione negoziale sia di un
tipo non illecito, ma non abbia un’utilità sufficiente a giustificare che lo Stato cooperi
alla sua attuazione. In tale ipotesi il negozio è nullo perché la sua causa non è degna di
tutela. Nel campo dei negozi unilaterali, gli schemi causali leciti e degni di tutela sono
definiti dalla legge. Al di fuori dei tipi espressamente previsti e regolati non è
consentito ai privati di adottarne altri. Nel campo dei contratti, invece, si è proceduto
diversamente, perché la grande varietà delle forme contrattuali in uso non ne
consente un’elencazione tassativa e una disciplina analitica, e perché si è voluta
lasciare aperta alla creatività degli operatori economici la possibilità di concludere
anche contratti di tipo nuovo. Alle parti è consentito anche di concludere contratti
atipici, o innominati, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322).
NEGOZI CAUSALI E NEGOZI ASTRATTI.
Alla mancanza di una causa degna di tutela l’ordinamento giuridico reagisce sempre.
Per lo più la reazione consiste nel negare al negozio ogni effetto giuridico. I negozi
sottoposti a questo regime giuridico si dicono causali. In alcune ipotesi però, la
reazione giuridica non colpisce il negozio, il quale produce i suoi effetti. Colpisce
invece alcune delle conseguenze che ne derivano e che, costituendo arricchimenti e
impoverimenti ingiustificati, devono essere eliminate mediante opportuni
aggiustamenti. Questi negozi che producono effetto indipendentemente dalla validità
della causa, si dicono astratti. Nell’ordinamento giuridico italiano i trasferimenti della
proprietà o di altri diritti e le costituzioni di diritti reali sono sempre causali. I negozi
obbligatori sono quasi tutti causali. Sono però astratte alcune promesse relative a
situazioni triangolari. Sono astratte in particolare la promessa cambiaria, la
delegazione astratta, la promessa del delegato. L’astrattezza della promessa può
manifestarsi solo nei confronti di un soggetto diverso da quello tenuto alla restituzione
dell’arricchimento.
LA DICHIARAZIONE DELLA CAUSA E L’ASTRAZIONE PROCESSUALE.
Accade sovente di imbattersi in promesse che non manifestano la causa per la quale
sono state fatte. La causa risulterà da dichiarazioni separate, o dalle circostanze, e
potrà essere la più varia. Fuori dalle ipotesi specifiche nelle quali la legge ammette
l’astrazione della causa, queste promesse non hanno effetto, come abbiamo visto, se
non sussiste una causa valida a giustificarle. La legge tuttavia ammette che il
promissorio possa farle valere in giudizio senza necessità di provare anche la causa:
l’esistenza di questa si presume se il promettente non dà la prova del contra