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Giacomo Rossi (studi filosofici) n. Matricola: 231535

E-mail: giacomo.rossi1@studenti.unipr.it

L’identità abitata dalla differenza

1) Introduzione

Cos’è l’identità? È molto difficile dare una risposta a questa domanda, soprattutto se la

risposta cercata pretende di essere univoca e definitiva. Forse la questione non può

trovare nemmeno una risposta, per lo meno non con i mezzi limitati che ho qui a mia

disposizione. Ma tenterò comunque di approssimare una definizione, tenendo ben

presente che le definizioni per loro essenza non possono essere mai esaustive, poiché

definendo si congela la cosa che si vuole definire estraendola dal suo contesto vitale, la si

sottrae dalla sua particolarità pulsante di vita. Chiarito questo, si potrebbe con un primo

tentativo affermare che l’identità altro non è che l’Io. Ma di nuovo: che cos’è l’Io?

Certamente è qualcosa che riguarda il soggetto, e certamente quest’ultimo può essere

inteso come un soggetto cartesiano: “una cosa che dubita, che concepisce, che afferma,

1

che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente” , dice Cartesio.

Dunque un soggetto pensante, una res cogitans, contrapposta però al corpo e al mondo

corporeo, la res extensa. Ma l’Io non è soltanto questo: un’analisi più approfondita mostra

immediatamente come esso sia un soggetto immerso nel mondo (nel mondo della vita,

come direbbe Husserl). L’unilateralità del soggetto cartesiano viene criticata, a ragione, da

Paul Ricoeur nella sua opera Sé come un altro: il Cogito di Cartesio è una mera “identità

2

puntuale, astorica” in un senso totalmente distante dall’”identità narrativa della persona

3

concreta” . Il soggetto – il soggetto reale, a tutto tondo, considerato nella sua concretezza

e complessità - è anche un soggetto cartesiano, ma non solo. Lo scopo di questa

riflessione è per l’appunto superare il dualismo che grava sull’identità; tale dualismo

comprende non soltanto la contrapposizione io-mondo qui menzionata ma anche e

soprattutto l’opposizione identico-differente, la quale sarà alla base del discorso che

stiamo per affrontare.

R. Descartes, Meditationes de prima philosophia, a cura di C. Adam e P. Tannery, VII, Vrin, Paris 1983; tr.

1

it. di E. Garin, Meditazioni metafisiche, in Opere filosofiche, II, Laterza, Bari 1986, p. 22.

P. Ricoeur, Soi-même comme un autre, Editions du Seuil, Paris 1990, trad. it. di D. Iannotta, Sé come

2

un altro, Editoriale Jaca Book SpA, Milano 1993, p. 82.

Ibidem.

3 Prima di iniziare con l’analisi vera e propria vorrei anticipare la struttura della mia

riflessione. In un primo momento tenterò di spiegare che cosa si intenda per identità e

mostrare come essa nella sua specificità e complessità sia abitata dalla differenza

attraverso un’argomentazione strettamente filosofica, mentre in un secondo momento

entrerò maggiormente nel dettaglio servendomi di un esempio più specifico proprio del

particolare concreto, ponendomi ad un livello per certi versi più proprio del sociologo

piuttosto che del filosofo.

È importante anche, in via preliminare, specificare una distinzione che accompagnerà

l’intero discorso e che prendo a prestito dal libro di Alessandro Bosi L’identico o della

4

differenza . Tale distinzione riguarda i termini “diverso” e “differente”, in relazione al

concetto di “identico”. Ciò che è diverso si contrappone a ciò che è identico, nel senso che

si presenta come il suo opposto, la sua nemesi. In questo senso il diverso è l’estraneo, il

dissimile, qualcosa che si trova al di fuori dell’identità e si distingue nettamente da essa,

presentandosi a volte come un pericolo, una minaccia. La differenza invece è una nozione

più complessa: non procede per opposizioni, anzi conserva l’identità pur differenziandola e

operando su di essa delle distinzioni. Dunque il differente è una categoria interna

dell’identico, categoria che è in grado di distinguere pur conservando la particolarità

dell’identico il quale si relaziona alla molteplicità. Così l’unità sotto questa luce non è più

considerata come un indivisibile, ma come un insieme di parti; allo stesso tempo il

molteplice non le si contrappone ma si trova in essa e la costituisce. Per seguire le parole

5

di Bosi: “diversità è attributo dell’uno, differenza è attributo dei molti” .

2) L’identità come unità nella varietà

Torniamo ora alle domande poste in precedenza: che cos’è l’identità? Che cos’è l’Io?

L’Io è una complessità difficilmente riducibile ad un solo concetto e dunque ad un’unica

definizione. L’Io potrebbe essere identificato con l’insieme delle nostre percezioni, oppure

con la coscienza (termine peraltro molto ambiguo e che andrebbe approfondito in altra

sede), oppure ancora con la memoria. Tuttavia è molto probabile che tutte questi aspetti,

insieme, costituiscano l’identità. Ma al di là delle definizioni forti, che come abbiamo detto

sono impossibili oltre che dannose, cerchiamo di cogliere ciò che lega realmente tutti

questi concetti che ho appena elencato. Cosa hanno in comune identità, percezioni

A. Bosi, L’identico o della differenza, Edizioni Unicopli, Milano 2011. Tale distinzione tuttavia ha radici

4

più antiche a partire da Aristotele e si riscontra anche in autori come Hegel e Heidegger.

A. Bosi, L’identico o della differenza, op. cit., p. 20.

5

(intendendo l’insieme delle nostre percezioni), coscienza, memoria? Il fatto che esse, a

mio parere, facciano tutte appello alla categoria di unità. In altre parole l’identità è ciò che

unisce, tiene insieme una molteplicità di fattori essenziali per la costituzione dell’identità

stessa, ovvero per l’appunto un insieme di percezioni, ricordi, pensieri, atti, passioni,

relazioni: l’Io è dunque la sintesi di ciò che siamo, nella nostra interezza e complessità.

L’espressione “ciò che siamo” non significa soltanto, si badi bene, ciò che siamo hic et

nunc, qui e ora, nel momento presente in cui si sta parlando. In essa è compreso anche

ciò che siamo stati ieri e ciò che saremo domani, ovverosia il tempo passato e il tempo

futuro. In questo modo si capisce chiaramente come l’identità già a questo stadio

dell’analisi si presenti come unità nel tempo e dunque, più in generale, poiché il tempo

definisce una dimensione per sua natura continuamente variabile, unità nella varietà. L’Io

cioè si configura non come qualcosa di statico, chiuso in se stesso qual è per l’appunto il

Cogito cartesiano, che si presenta come un’interiorità a sé stante, che non necessita di

altro oltre a se stesso ed anzi si contrappone a tutto ciò che non fa parte di esso. Tutto il

contrario: l’Io è una realtà fortemente variegata e complessa e, soprattutto, è una realtà

fortemente relazionale. Spiego meglio quest’ultimo punto. Non sarà sfuggito all’occhio

attento il termine “relazioni” che ho accostato in precedenza a termini quali “percezioni”,

“passioni”, “pensieri”, elencando per l’appunto ciò che riguarda la varietà delle funzioni

dell’Io. Ebbene questo è un punto fondamentale, perché le relazioni che l’Io ha con il

mondo costituiscono l’identità stessa. Ragioniamo: come potremmo essere in grado di

formarci una nostra identità se non avessimo alcun contatto con il mondo? Se non

interagissimo in nessun modo con la realtà nella sua corporeità non avremmo alcuna

concezione del nostro essere e saremmo soltanto dei soggetti formali, delle forme, prive di

qualsiasi contenuto. In ciò riprendo consapevolmente Kant, il quale nella Critica della

ragion pura afferma che al fine di ottenere conoscenza occorre non soltanto l’intelletto ma

anche la sensibilità, occorre cioè che intelletto e sensi cooperino per poter conoscere. Non

bastano dunque le forme pure dell’intelletto, e nemmeno l’Io penso, che è una realtà a

priori totalmente disincarnata dalla realtà e anzi condizione di possibilità della percezione

della realtà stessa. Serve il materiale molteplice che deriva dai sensi, materiale dunque

esterno all’Io e che perviene dal mondo che ci circonda. Solo la molteplicità del sensibile

fornisce un contenuto alla pura forma dell’Io, solo attraverso i sensi si può riempire di

senso il contenuto dell’identità. Molto interessante oltre che utile alla nostra riflessione è la

confutazione dell’idealismo che compie Kant in un paragrafo all’interno dell’Analitica

trascendentale: tenta di dimostrare infatti che la coscienza esiste solo in dipendenza

dell’esistenza degli oggetti esterni ad essa. Il filosofo tedesco vuole infatti confutare tutte

quelle forme di idealismo che affermano il primato del soggetto nella percezione e la sua

opposizione forte al mondo esterno; l’esistenza del soggetto per l’idealismo è l’unica

certezza (si pensi a Cartesio, il cui idealismo è secondo Kant di tipo problematico, perché

mette in dubbio l’esistenza del mondo corporeo), mentre gli oggetti sensibili possono

essere mere illusioni. Kant rovescia la questione e arriva a dimostrare che non soltanto l’Io

è in una relazione reale con gli oggetti esterni ad esso, ma anche che tale relazione è

condizione necessaria perché l’Io prenda coscienza di se stesso e si conosca in quanto

tale. La dimostrazione procede in questo modo: il soggetto è cosciente della propria

esistenza, perché essa è determinata nel tempo; ma perché si abbia concezione del

trascorrere del tempo occorre che ci sia qualcosa che permane e qualcosa che muta; ciò

che permane non può essere dentro di me in quanto soggetto, “visto che la mia esistenza

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nel tempo richiede di essere determinata proprio da questo alcunché di permanente” ;

dunque ciò che permane deve necessariamente essere fuori di me; quindi la coscienza

dell’esistenza di me stesso nel tempo dipende dall’esistenza degli oggetti esterni, cioè le

cose reali che si trovano fuori di me.

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A.A. 2013-2014
9 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Azzo92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Parma o del prof Bosi Alessandro.