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Questo io, quindi, crea tanti “io divisibili”, empirici, cioè gli esseri umani, che portano in loro una piccola fiammella
dell’io creatore; il “non io” divisibile sono invece gli oggetti. Il terzo principio spiega dunque quanto avviene nella
coscienza empirica.
Questi tre principi sono tra loro in un rapporto definito da Fichte dialettico e sono denominati rispettivamente “tesi, antitesi e
sintesi”: il filosofo non intendeva solo descrivere la rappresentazione empirica, ma fornire anche le condizioni della sua
nascita; i tre principi rappresentano così la spontaneità della ragione, la sua passività e la sintesi di questi due elementi,
dando luogo alla rappresentazione. Fichte elabora il suo sistema in un intenso confronto con gli esiti dell’indagine filosofica
di Kant. La sua dialettica parte dunque nell’”io” e termina nell’”io”; l’”io” è dunque il protagonista. Fichte sostiene che Kant è
stato poco kantiano, perché studiando i fenomeni ha introdotto il noumeno (parte del fenomeno non conoscibile); in lui,
invece, scompare ogni visione tra fenomeno e noumeno, ma esiste solo un “io” che tende all’infinito. Una frase importante
del filosofo fu: “essere liberi non è nulla, diventarlo è cosa divina”: la libertà non è raggiunta una volta per tutte, ma si diventa
liberi giorno per giorno, con esercizio continuo e costante.
3) L’Assoluto Il “non io” e l’”io divisibile”, rispettivamente dell’antitesi e della sintesi, sono produzione dell’io puro. L’io
assoluto sta dunque alla base dell’io empirico, perché creando il non io (e così limitandosi), si costituisce come io empirico.
L’io assoluto, però, rappresenta anche l’ideale a cui deve tendere (basarsi) l’io empirico.
4) Azione morale e libertà Dopo aver indicato i tre principi del sapere, Fichte voleva applicarli al piano pratico
dell’esperienza. Siccome l’io puro è libertà, anche l’io empirico è chiamato ad essa e quindi ad un superamento di tutti gli
ostacoli posti dal “non io”. Tale sforzo, che lo porta ad una libertà assoluta, rappresenta il tentativo della ragione di
sottomettere a se stessa il mondo esterno. Spiega Fichte che gli impulsi che muovono l’agire sono di tre tipi:
- puri, che rappresentano la libertà assoluta;
- sensibili (o impulsi al piacere), che difendono dal mondo naturale;
- morali, che sono un’applicazione dei primi due e che subordinano (sottomettono) gli impulsi sensibili a quelli puri.
Fichte spiega l’esistenza di diversi “io empirici”, affermando che esse hanno il dovere di affiancare il singolo io, nel
completamento delle sue azioni in obbedienza all’impulso morale per il raggiungimento della libertà.
5) Il concetto di stato La teoria dello Stato di Fichte ebbe il suo principio nell’idea che la libertà individuale debba essere
limitata dalla funzione regolatrice del diritto, inteso come garanzia della libertà. Lo Stato doveva avere in tal senso tre
funzioni: difendere i diritti dei cittadini impedendo le ingiustizie, tutelare la giustizia e la proprietà e, quando necessario,
usare la guerra al fine di consentire lo sviluppo del popolo. In ambito economico lo Stato deve essere commercialmente
chiuso e basato sull’autosufficienza. In Fichte, più precisamente nei “Discorsi alla Nazione Tedesca”, data l’influenza del
dominio napoleonico nei territori tedeschi, vi è il “mito della nazione tedesca”, secondo cui la nazione è da privilegiare allo
Stato. La patria è infatti considerata una realtà fondata sulle leggi, sulla tradizione e sulla fede di un popolo. Secondo il
filosofo, protagonista della storia è il dotto che, insieme alla collaborazione di saggi di altre epoche, forma una comunità di
“intellettuali”, con il compito di dirigere la società.
6) Dogmatismo, idealismo e la svolta religiosa del filosofo Fichte individua una differenza totale fra il dogmatismo e
l’idealismo: il primo afferma che di fronte al soggetto conoscente vi è semplicemente un insieme di oggetti da conoscere, da
esso indipendenti e a esso preesistenti; il secondo invece sostiene l’esistenza di un’attività pensante assoluta, al cui interno