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La nascita della tipografia
La tipografia vive il suo massimo splendore nel momento della diffusione dell’affiche. L’affiche
appartiene alla categoria delle arti grafiche la cui funzione è quella di presentare, ma soprattutto
promuovere. Alla fine del diciannovesimo secolo le affiche erano l’espressione della vita
economica, sociale e culturale. Le illustrazioni, alle quali dà il senso il testo, riflettevano il mondo
artistico di allora. La stretta connessione tra affiche e arti figurative si è rafforzata nel momento in
cui “l’arte per l’arte” diviene arte per la società, cioè arte come mestiere e di conseguenza come
forma di guadagno. L’artista diviene cartellonista e si inserisce nel mondo capitalistico borghese
superando la dicotomia tra interessi artistici ed esigenze di mercato. Il manifesto pubblicitario in
senso moderno viene attribuito al vescovo di Notre Dame intorno al 1400, che fece realizzare un
cartellone colorato in cui si invitavano i fedeli a essere più generosi con le offerte, insieme al testo
vi era dipinta l’immagine della Madonna. Soltanto nell’ottocento, il manifesto si struttura nella
dorma che conserva, grosso modo, ancora oggi. Solo verso la fine della prima metà del 19esimo
secolo si hanno i primi esempi di pubblicità non editoriale, ma l’elemento grafico non viene ancora
inteso nel senso moderno del termine. Nelle affiche deve comunque esserci un rapporto di
equilibrio tra scritta ed immagine. Prima dell’invenzione della litografia le affiche erano dunque
stampate tipograficamente, con inchiostro nero e talvolta accompagnate da illustrazioni realizzate
mediante incisione su legno. Più spesso lo stampatore sceglieva e disponeva le lettere per riempire
il foglio da stampare. La litografia viene apprezzata per la sua resa decorativa, per la sua
somiglianza con la pittura, per la sua funzione didattica e anche perché rappresenta il sistema di
produzione meno caro e più rapido, in grado di rivoluzionare il campo della diffusione delle
immagini. La cromolitografia, procedimento mediante il quale, all’inizio, un’immagine dipinta
dall’artista veniva trasferita a mano su lastre litografiche, una per colore, per cui ne occorrevano
almeno una quindicina, rende possibile la riproduzione di tutta la gamma dei toni e dei colori della
pittura ad olio. Nel diciannovesimo secolo la litografia viene scelta come tecnica a sé stante,
indipendentemente dalle sue possibilità di riproduzione. Verso la fine dell’ottocento nasce la
professione di litografo d’arte, e verso la metà del 900 quella di grafico. Si tratta di una vera
innovazione perché prima i pubblicitari e gli agenti utilizzavano i disegnatori pubblicitari, mentre i
tipografi si incaricavano di impaginare il testo, gli illustratori producevano rapidi schizzi e i calligrafi
rifinivano i disegni prima che fossero riprodotti. Oggi il lavoro che riguarda la produzione grafica
viene eseguito da una equipe che ha sostituito la figura dell’artista solitario dell’inizio del secolo.
Nel 19esimo e 20esimo secolo, la litografia e il manifesto d’autore diventano oggetto di interesse
da parte di critica e pubblico. Per esempio Toulouse-Lautrec nel 1891, mise a punto la locandina
per il Moulin Rouge.
Parigi consacra con una mostra, nel 1895, il manifesto pubblicitario come un’opera d’arte. Non si
tratta soltanto di catturare l’attenzione del passante, ma bisogna mostrare immaginazione, senso
dell’immediato, ingegnosità, eleganza e talento, e capacità di persuasione occulta. Non si tratta di
riprodurre il bello, ma di riprodurre l’utile, il divertente, l’interessante, non si tratta più di inseguire
il sentimento del sublime, dettato dal gusto estetico. L’immaginazione è fortemente comunicativa
in quanto simbolica. Se originariamente il linguaggio del manifesto consisteva per lo più in una sola
grande scritta, mano a mano esso diviene più sintetico e suadente, sfocia in un’abbreviazione di
testi e in un ingrandirsi delle vignette, seguendo la teoria della forza suggestiva delle immagini.
L’equilibrio fra testo e immagine consente una lettura istantanea del messaggio. L’equilibrio fra
testo e immagine p uno dei problemi maggiormente sentiti anche dai disegnatori di manifesti del
periodo liberty, quando la loro diffusione diviene più significativa e cresce l’importanza degli
illustratori di copertine di romanzi e libri per l’infanzia. Comincia così a definirsi una delle funzioni
essenziali del linguaggio grafico. Il grafismo ha tre funzioni essenziali: 1) identificare, di dire di cosa
di tratta o indicare la sua provenienza (simbolo), 2) grafismo informativo, informare e istruire
indicando la relazione tra le cose in termini di direzione (pannelli indicatori), 3) presentare e
promuovere, con lo scopo di catturare l’attenzione ed imporre un messaggio.
Il manifesto dovendo presentare e promuovere è spesso legato alla cultura e all’economia dei
paesi industrializzati.
L’affiche è l’entità più elementare delle arti grafiche perché su un foglio le tecniche della
riproduzione disponibili e la creatività del grafico partecipano alla realizzazione e all’integrazione
degli elementi essenziali delle arti grafiche: l’alfabeto e l’immagine.
L’importanza della scritta sul manifesto è fondamentale: con i manifesti del periodo liberty si
propone il problema del rapporto tra parole e disegno. Alla fine del 19esimo secolo la litografia
permette agli artisti di stampare grandi zone di colore uniforme, su cui hanno la libertà di
disegnare essi stessi le lettere. Questa nuova padronanza di stampa segue la nascita del grafismo.
In Germania il grafismo viene considerato come facente parte di un programma di integrazione
delle arti nella vita quotidiana, e viene incoraggiato anche dalle committenze di dirigenti di
industria, che decidono di adottare un’immagine di marca. Il più grande realizzatore di manifesti
pubblicitari viene ritenuto Behrens, che descrive il suo carattere tipografico: il Behrenschrift,
riprendendo il principio tecnico della scrittura gotica, il tratto della penna d’oca. Durante la Grande
Guerra l’arte grafica si accompagna alla pubblicità e alla promozione dei beni di consumo. A
Berlino un gruppo di illustratori della tipografia Hollerbaum und Schmidt produce manifesti in cui
appare unicamente l’oggetto de promuovere e la scritta si riduce al solo nome della marca. È
questa la rivoluzione nell’ambito del manifesto. Non si tratta più di proporre un donna
eternamente giovane, una donna-bambina dai grandi occhi sognanti e dall’aspetto fresco e
malizioso, che esprima l’ansia di vivere e di piacere, tipica della nuova epoca, ma di produrre un
impatto visivo nel consumatore, mediante l’immagine del prodotto stesso, abbellito finché si
vuole, ma comunque reale e alla portata di chiunque lo desideri. Inizia anche il processo di
riduzione dei colori, per cui il manifesto non è più una vera e propria tavolozza, ma assume una
sua propria configurazione. Nel 1895 tutto era grazia, leggerezza e sogno, valorizzati da artisti
geniali, ora tutto diventa efficienza commerciale, piattezza e realismo. Passando dal disegno alla
foto, il manifesto rinuncia ad ogni pretesa artistica.
Per un lungo periodo di tempo l’affiche viene giudicata con criteri propri dell’arte pittorica e quindi
inserita in quelle che un tempo i critici definivano “arti minori”. Solo a partire dagli anni 30 si pone
sia il problema globale della comunicazione visuale che quello dei criteri funzionali della leggibilità
della grafica. Viene così introdotto, dopo il concetto di composizione, quello di poesia visiva. Per
quanto concerne la composizione, all’origine della sua moderna concezione c’è il poema di
Mallarmé “Le hasard”, dove l’autore ha scelto lettere, la loro disposizione di ogni riga e i caratteri.
Per quanto riguarda la poesia visiva si fa riferimento all’esperimento di Apollinaire e dei suoi
“Calligrammes”. Questi sono sia un mezzo per inserire l’arte tipografica come ponte tra le arti
pittoriche e la letteratura. Egli non utilizza più un’immagine per illustrare qualcosa, ma crea
l’immagine con le parole, disponendole in modo tale da sottolineare la loro sonorità. Il primo
approccio al poema diventa così per forza visuale, non si legge più obbligatoriamente dall’alto in
basso, si entra nel testo da molteplici parti, il poema è liberato.
Sulla produzione futurista la tipografia esercita una funzione di notevole importanza. Essa ormai è
diventata parte integrante di tutta la modernità sociale, e non si limita a creare un legame tra arte
visiva e arte verbale, ma assume forma autonoma. Nei primi decenni del 20esimo secolo, il colore,
per la sua capacità di intensificare gli effetti visivi, entra di prepotenza nella grafica, soprattutto
tedesca. Dopo la prima guerra mondiale, i Costruttivisti e i seguaci del movimento De Stijl arrivano
alla composizione di immagini tipografiche “dinamiche” costruite con colori primari, che
rinforzano l’impatto visivo delle forme create dallo spazio negativo, destinato a separare gli
elementi formali dalla composizione. La nuova tipografia si situa nel minimalismo e nell’approccio
allo spazio bianco in funzione della posizione e della grandezza dei caratteri, poiché il loro spessore
corrisponde al dinamismo o al senso del testo. Al contrario gli artisti del Bauhaus riflettono sul più
ampio uso della tipografia e sull’esigenza di disegnare la lettera che possa rispondervi con la
massima efficacia. Gli aderenti al gruppo mantengono i contrasti di colore, la ripartizione
orizzontale e verticale dell’impaginazione, la messa in rilievo degli elementi essenziali, le nozioni di
ritmi compositivi che permettono di porre in evidenza i titoli in rapporto ai testi, l’introduzione
dell’immagine illuministica. La tipografia è la forma visiva del linguaggio e poiché la qualità del
linguaggio è l’intellegibilità, quella della tipografia sarà la leggibilità. Due dati entrano
continuamente in gioco: il livello di interesse in rapporto al contenuto e la qualità della proposta.
L’arte del tipografo è di trovare la soluzione originale che più si adatti ad ogni situazione e ad ogni
contenuto. L’affiche in Inghilterra
La Kelmscott Press stampa volumi che sembrano opera di un decoratore e le cui illustrazioni sono
bozzetti di un elevatissimo valore artistico. La volontà della Kelmscott p quella non di produrre
semplici agglomerati di dorature prive di significato, ma motivi che abbiano relazione con lo spirito
del testo, secondo la le