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Come mai, Ombre! Io non vi riconobbi?
Come mai veniste tutte avvolte in una maschera così silenziosa/muta?
Si trattava di un silenzioso e profondamente nascosto intrico
Volto a rubare, e a lasciare senza un’occupazione
I miei giorni oziosi? Matura era l’ora sonnolenta;
La meravigliosa nuvola dell’indolenza dell’estate
Mi assopiva gli occhi; il mio polso diventava sempre più flebile;
Il dolore non aveva spina, e il piacere non aveva ghirlanda di fiori:
O, perché non siete svanite, e non avete lasciato i miei sensi
Indisturbati da tutto tranne che dal nulla?
Una terza volta passarono, e, passando, ciascuna voltò
Il suo viso verso di me per un momento;
Esse svanirono, e io ardevo dal desiderio di seguirle
E provavo dolore dal desiderio di avere le ali (per seguirle), perché riconobbi le tre;
La prima era una bella Fanciulla, e Amore era il suo nome;
La seconda era Ambizione, dalla gota pallida,
E sempre attenta con un occhio stanco;
L’ultima, che amavo di più, e sulla quale pongo la maggiore colpa (nel mio essere sottratto dalla mia
indolenza iniziale) è una fanciulla molto irrequieta,
Io riconobbi essere il mio demone Poesia.
Esse svanirono, e, in verità! Io avevo desiderio di avere delle ali:
O follia! Che cos’è l’Amore? E dove si trova?
E per quanto riguarda la povera Ambizione! Essa nasce
Dal breve attacco febbrile del piccolo cuore dell’uomo;
Per quanto riguarda la Poesia! – no – essa non ha una gioia, -
Almeno per me, - così dolce come quella dei pomeriggi assopiti,
E di serate ricolme di mielata indolenza;
O, per un’età così separata dalle noie della vita,
Che io non saprei più neanche come cambiano le fasi della luna, (sono talmente separato da queste
questioni del mondo da non sapere più come cambiano le lune)
O ascoltare la voce dell’indaffarato senso comune!
Ed esse ritornano ancora una volta: ahimè! Per quale motivo?
Il mio sonno era stato ricamato con tenui sogni;
La mia anima era un prato cosparso
Di fiori, e attraversato da ombre che si stanno muovendo, e lampi di luce fuggevoli/confusi:
Il mattino era nuvoloso, ma nessuna pioggia cadde,
Anche se dalle palpebre del mattino pendevano le dolci lacrime di Maggio;
La finestra aperta premeva su una vite dalle foglie nuove,
E lasciava entrare il calore che stava sbocciando e il canto del tordo;
O Ombre! Era tempo di dirci addio!
Sulle vostre vesti non è caduta nessuna delle mie lacrime.
Quindi, voi tre Fantasmi, addio! Voi non solleverete
La mia testa frescamente allettata sull’erba fiorita;
Poiché io non sarò nutrito di lusinghe,
Come un agnellino da compagnia in una farsa sentimentale!
Svanite dolcemente dai miei occhi, e siate ancora una volta
Come figure mascherate su un’urna di sogno;
Addio! Io ho già visioni per la notte,
E per il giorno c’è ancora una scorta di altre flebili visioni;
Quindi svanite, voi Fantasmi! Dal mio spirito ozioso,
Svanite nelle nuvole e non tornate mai più!
ODE TO PSYCHE – Ode a Psyche
O Dea! Ascolta questi versi stonati, estorti
Con una dolce forzatura e con un ricordo caro,
E perdona se i tuoi segreti saranno cantati
Fin nella stessa morbida conchiglia del tuo orecchio:
Sicuramente stavo sognando oggi, oppure ho davvero visto
L’alata Psyche con occhi svegli?
Io vagavo in una foresta senza pensieri,
E, all’improvviso, svenendo dalla sorpresa,
Ho visto due figure, sdraiate fianco a fianco
In profondissima erba, sotto un soffitto sussurrante
Di foglie e di fiori tremolanti, dove scorreva
Un piccolo ruscello, a malapena visibile:
Tra i taciti fiori, dalle fresche radici e dagli occhi fragranti,
Blu, bianco argenteo e dai boccioli purpurei,
Essi stavano respirando calmi, su un letto di erba;
Le loro braccia si abbracciavano, e le loro ali anche; (“pinions” = arcaismo per “wings”)
Le loro labbra non si toccavano, ma non si erano ancora dette addio,
Come se separate da un assopimento delle morbide mani,
E pronte ancora a sorpassare il numero dei baci già dati
Nella tenera aurora dell’amore dagli occhi di alba:
Io riconobbi il ragazzo alato;
Ma chi eri tu, O felice, felice colomba?
La sua fedele Psyche!
O ultima nata e la più meravigliosa visione
Di tutta la svanita gerarchia dell’Olimpo!
Più bella di Phoebe (Diana) nelle sue regioni di zaffiro,
O di Venere, l’amorosa lucciola del cielo;
Più bella di loro, anche se tu non hai un tempio,
Né un altare ammassato di fiori;
Né un coro di vergini che deliziosamente piangono
Nelle ore della mezzanotte;
Né una voce, né un liuto, né un flauto, né un incenso dolce
Che è scosso dalla catena dell’incensiere;
Né un santuario, né un bosco, né un oracolo, né il calore
Della pallida bocca di un profeta che sogna.
O più splendente di tutte! Seppure tu sia nata troppo tardi per gli antichi voti,
Troppo, troppo tardi per la lira appassionata,
Quando ancora le foreste erano infestate (abitate da creature mitologiche),
Quando ancora l’aria, l’acqua e il fuoco erano sacri;
Anche in questi giorni (in cui scrive Keats) così lontani
Da queste felici pietà, i tuoi ventagli lucenti (le tue ali),
Svolazzano tra gli svaniti abitanti dell’Olimpo,
Io vedo, e canto (te), ispirato dai miei stessi occhi.
Quindi lasciami essere il tuo coro, e lascia che io pianga
Nelle ore della mezzanotte;
La tua voce, il tuo liuto, il tuo flauto, il tuo dolce incenso
Che fuma scosso dall’incensiere;
Il tuo tempio, il tuo bosco sacro, il tuo oracolo, il calore
Della pallida bocca del profeta che sogna.
Si, io sarò il tuo sacerdote, e costruirò un tempio
In una qualche inesplorata regione della mia mente.
Dove ramosi pensieri, appena nati con piacevole dolore,
Invece dei pini mormoreranno nel vento:
E lontano, lontano macchie oscure di alberi
Impiumeranno i crinali selvaggi dei monti vetta per vetta;
E là i venti, i ruscelli, gli uccelli e le api,
Le Driadi coricate nel muschio saranno cullate nel sonno;
E nel mezzo di questa ampia quiete
Io adornerò un santuario rosato
Con i tralicci ghirlandati di un cervello che lavora,
Con fiori, campane e con selle senza nome,
Con tutto ciò che la fantasia di un giardiniere potrà mai immaginare,
(Immaginazione) che coltiva fiori e non ne genera mai due uguali:
E là ci sarà per te ogni tipo di diletto
Che l’ombroso pensiero ti può conquistare,
Una fiaccola luminosa, e una finestra aperta nella notte,
Per lasciare che il caldo Amore entri!
ODE TO A NIGHTINGALE – Ode a un usignolo
Il mio cuore duole, e un torpore sonnolento affligge
I miei sensi, come se avessi bevuto della cicuta,
O come se avessi svuotato fino in fondo una coppa di oppio
Un minuto è passato, e già sono sprofondato verso il fiume Lete (verso l’oblio):
Non è per invidia della tua felice sorte,
Ma perché sono troppo felice della tua felicità, -
Che tu, Driade dalle ali leggere degli alberi
In qualche melodiosa radura
Di faggi verdi, e di innumerevoli ombre,
Canti dell’estate a squarciagola.
O, per un sorso di vino! Che è stato
Rinfrescato per lungo tempo nelle profondità scavate della terra,
Dal sapore di Flora e della campagna verde,
Dal sapore di Danza, e di canzone provenzale, e di allegria bruciata dal sole!
O per una coppa ricolma del caldo Sud,
Pieno del vero, dell’arrossito Ippocrene,
Con bolle perlate (che imperlano) i bordi di questa coppia,
E una bocca macchiata di porpora;
Così che io possa bere e lasciare questo mondo non visto,
E possa svanire insieme a te nella foresta oscura:
Svanire molto lontano, dissolvermi e dimenticare completamente
Ciò che tu tra i rami non hai mai conosciuto,
La stanchezza, la febbre e la foga
Qui, dove gli uomini si siedono e ascoltano i lamenti gli uni degli altri;
Dove la paralisi fa tremare pochi, tristi, ultimi capelli grigi,
Dove la giovinezza diventa pallida, e sottile come uno specchio, e muore;
Dove l’atto stesso di pensare significa essere pieno di dolore,
E gli occhi pesanti come il piombo si disperano,
Dove la Bellezza non può mantenere brillante il suo occhio,
Né il nuovo Amore struggersi per più di un giorno.
Via! Via! Perché io volerò verso di te,
Non sul carro di Bacco e dei suoi leopardi,
Ma sulle ali invisibili della Poesia,
Anche se la mente offuscata perplime e ritarda:
Già con te! Tenera è la notte,
E felicemente la Regina Luna è sul suo trono,
Circondata tutto intorno dalle sue fate Stelle;
Ma qui non c’è alcuna luce,
Se non quella che dai cieli è soffiata con la brezza
Attraverso la verde oscurità e i tortuosi sentieri di muschio.
Non riesco a vedere quali fiori sono ai miei piedi,
Né quale dolce incenso aleggia tra i rami,
Ma, in questa balsamica oscurità, intuisco ogni dolce (profumo)
Con cui il mese propizio arricchisce
L’erba, il boschetto, e gli alberi da frutto selvaggi;
Il biancospino e la pastorale eglantina;
Le violette che appassiscono velocemente coperte di foglie;
E la figlia più grande della metà di Maggio,
La rosa muschiata in boccio, piena di vino di rugiada,
E il mormoreggiare del rumore delle mosche nelle sere d’estate.
Nell’oscurità io ascolto; e medito sul fatto che per molto tempo
Io sono stato mezzo innamorato con la confortante Morte,
Ho chiamato (la morte) con nomi soavi e in molte meditazioni in rima,
Le ho chiesto di portare nell’aria il mio tranquillo respiro;
Ora più che mai mi sembra qualcosa di arricchente morire,
Cessare in questa ora di mezzanotte senza dolore,
Mentre tu stai riversando il tuo canto perso
In questa estati meravigliosa!
Tu continueresti a cantare, ed io ad avere orecchie invano -
Divenuto ormai terra, per il tuo requiem intenso.
Tu non fosti nato per la morte, Uccello immortale!
Nessuna generazione affamata ti potrà mai calpestare;
La voce che ho ascoltato in questa notte passata fu ascoltata
In tempi antichi dall’imperatore e dal giullare:
Probabilmente la stessa canzone è la stessa che ha trovato una via
Attraverso il cuore triste di Ruth, quando, con nostalgia di casa,
Stava in lacrime in mezzo al grano straniero;
La stessa canzone che spesso
Ha incantato finestre magiche, che si aprirono su schiume
Di spumosi mari, in fatati luoghi abbandonati.
Dimenticato! Questa stessa parola è come una campana
Che mi riporta indietro al mio solo sé (a me stesso, alla mia condizione)!<