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Il linguaggio di Kafka crea dei
un saggio su Kafka, scritto da Walter Benjamin, in cui scrive che ci sono molti modi
per avvicinarsi all’opera di Kafka, c’è il modo esistenzialista, che interpreta l’uomo
cui l’esistenza è male; c’è il modo religioso, perché
come soggetto perdente, secondo
Kafka non accetta la perdita di fede dell’ebreo assimilato, che è suo padre, e ricerca le
radici dell’ebraismo autentico, e cerca di trovare un’identità di scrittore ebreo; c’è un
approccio psicanalitico, specialmente per i testi ermetici, poiché i testi di Kafka
seguono una logica onirica, la logica dei sogni, lavorano per associazioni simboliche.
Ma secondo Benjamin tutte queste interpretazioni sono sbagliatae, poiché lasciano
sempre delle domande in sospeso, poiché l’obiettivo dell’opera di Kafka è quello di
confrontare l’essere umano con il problema dell’interpretazione. Secondo Kafka
l’interpretazione è un bisogno umano, ma non contiene mai una verità, e perciò
l’umanità è condannata a vivere nel linguaggio. Per Kafka la lingua è una condanna,
poiché l’uomo fonda la sua forza sull’approccio razionale al mondo. Kafka colpisce il
lettore, rendendolo partecipe dell’impossibilità di esaurire il mondo attrverso il
linguaggio, perché il linguaggio è ciò che ci separa dalla verità, perché è esposto
all’interpretazione. L’unico mondo in cui la verità esiste, è il mondo dei dogmi
religiosi, ma un altro problema di Kafka è quello della religione, poiché il mondo non
religioso, il 900 non ha più fede, Kafka scrive “io sono figlio di un ebraismo
è più
occidentale”, cioè di un mondo laico che non hanno più la percezione religiosa del
mondo.
Ein Landarzt
Kafka scrive “ein Landarzt” nel 1917, cioè 2 anni dopo le Metamorfosi, e viene
scritta proprio mentre Kafka si ammala di tubercolosi. Gia il titolo fa pensare ad una
malattia, anche se non tratta direttamente della tubercolosi.
Anche questo racconto viene pubblicato da Kurt Wolf, in una raccolta di racconti,
intitolata “Ein Landarzt”.
Questo racconto è un racconto misterioso, quasi fantastic; c’è un inizio realistico, con
un finale fantastico. imprecisato, il protagonista è un “landarzt” (in
Si svolge in un paese, in un tempo
italiano ci sono due possibili traduzioni: un medico di campagna, oppure un medico
condotto, medico della mutua). Il medico viene chiamato durante la notte, poiché il
paziente sta peggiorando. Il medico prende dei cavalli per arrivare alla casa del
malato, ma questi cavalli sono “magici”, arrivano in un batter d’occhio a
destinazione. Il medico entra in casa del malato, ma la situazione non è chiara, il
malato è a letto, ma non sembra malato, finchè il medico non scopre una ferita.
Il medico capisce che non può salvare il malato, si stende al fianco del paziente.
Il medico va via con la carrozza, ma i cavalli lo riportano di nuovo dal malato, e non
tornerà più indietro.
Il modello per questo racconto è individuabile in una leggenda cassidica (cassidismo=
corrente mistica dell’ebraismo), un amico di Kafka, Martin Buder, ha pubblicato
alcune di queste leggende, e proprio in una di queste lo ha ispirato per la scrittura di
“Del potere del medico”, ma al contrario del
Ein Landarzt. Questa leggenda si chiama
racconto di Kafka, in questa leggenda c’è un lieto fine.
Il medico viene chiamato da un ragazzo morente, che gli dice “in ogni medico c’è un
angelo, e gli angeli possono salvarmi”, quindi il malato non viene guarito attraverso
la medicina, ma attraverso la fede. Il medico di Kafka ha perso la fede
Lezione 10/11
Un medico di campagna
Baioni afferma che Kafka deve essere studiato attraverso le immagini che propone,
poiché Kafka oppone all’argomentazione logica un altro tipo di discorso, un discorso
per immagini.
Fussli è un pittore svizzero, famoso per il quadro nightmare, del 18 secolo che
affronta una delle tematiche del romanticismo, cioè il sogno. Il dipinto “nightmare”
raffigura una donna addormentata, osservata da un demone, e da un cavallo. Chi ha
studiato il testo di Kafka ha trovato un collegamento tra Kafka , il dipinto e la
mitologia (sia quella classica che quella nordica) perché il cavallo è un simbolo molto
presente nell’immaginario collettivo ( termine coniato da Jung, secondo il quale
esistono delle “immagini” presenti nell’immaginario individuale, come ad esempio
l’archetipo dell’acqua), il cavallo quindi è uno dei simboli archetipici, ed è anche un
simbolo ambivalente. Nella mitologia pagana nordica il cavallo ha un valore positivo,
poiché i cavalli sono i mezzi di trasporto delle Valchirie (dee del mondo mitologico
nordico, che raccolgono le anime degli eroi caduti in battaglia e le trasportano nel
Vahalla, l’aldilà pagano nordico presso il trono di Odino). Nella mitologia pagana
classica invece il cavallo è un simbolo negativo, che rimanda agli inferi, poiché il
cocchio di Ade è trainato da 4 cavalli.
Anche nella mitologia classica le anime degli eroi vengono trasportate da carri
ma mentre nella mitologia nordica il carro tende verso l’alto, in
trainati da cavalli,
quella classica tende verso il basso, e cioè verso gli inferi.
Quindi Kafka assume nel suo testo la tradizione della mitologia classica, dove i
cavalli rimandano ad un mondo infero, e proprio secondo uno studio di Giuliano
Baioni accanto alla fonte iconografica che ha ispirato Kafka, e cioè il dipinto di
Fussli, esiste anche una fonte letteraria, ed è una leggenda Chassidica. Il Chassidismo
è una corrente mistica dell’ebraismo, e un amico di Kafka (Wuber), che viveva a
Praga era un grande appassionato di leggende chassidiche, e siccome era amico di
Kafka è molto probabile che abbia letto una raccolta di leggende Chassidiche
pubblicate da Wuber, con il titolo “von der Mart des Artzes”. Questa storia è
raccontata da un rabbino a un discepolo, e racconta a sua volta di un rabbino, vissuto
in un lontano medioevo ebraico, il quale era anche una specie di medico di corte del
Re di Prussia (poiché la Prussia era stata l’unico regno aperto all’immigrazione degli
ebrei) la comunità di ebrea si rivolge al rabbino perché è preoccupato per la salute di
un ragazzo. Il rabbino arriva alla stanza del malato, e constata che per il ragazzo non
c’è nulla da fare, ma non riesce ad andare via perché la famiglia e la comunità lo
trattengono dicendo che egli può guarire il ragazzo, e il ragazzo stesso dice al rabbino
che può guarirlo. Il rabbino può guarire il ragazzo non grazie la suo sapere
scientifico, ma grazie alla fede religiosa. Alla fine del racconto il rabbino narratore
dice al suo ascoltatore che ogni medico è accompagnato da una angelo custode grazie
al quale riesce a guarire il malato. Baioni dice che Kafka rovescia la fonte, perché ci
presenta un mondo senza fede, un medico impotente, e cavalli inferi al posto di angeli
divini.
Ci sono anche altre due fonti un po’ più lontane nel tempo: una è il mito dell’auriga,
in un dialogo intitolato Fedro il mito dell’auriga. L’auriga è
Platone espone
un’allegoria dell’anima, poiché è divisa tra due parti, che corrisponde alla lotta tra un
cavallo nero e un cavallo bianco, quello bianco tende verso l’alto, mentre quello nero
basso. L’auriga però domina i due cavalli, e questo rappresenta la
tende verso il
ragione dell’uomo.
L’altra fonte è però successiva al racconto di Kafka, ed è un testo di Freud, che
s’intitola “l’io e l’es” (1922), che parla dell’anima, che divide in 3 parti: il super io,
l’io e l’Es . l’Io è dilaniato tra l’Es e il super io: l’Es è la soddisfazione immediata dei
bisogni, e il super io invece è la coscienza morale, quindi l’io deve riuscire ad
equilibrare queste due forze. Quindi Freud afferma che il più grande problema della
civiltà è la potenza dell’Es, che l’umanità ha represso per molto tempo.
Quindi alcuni studiosi dicono che Kafka anticipa il testo di Freud.
La simbologia notturna invade tutto il testo.
La fonte iconografica: nell’iconografia classica, l’immagine che popone Fussli è
molto presente.
Un mitologo amico di Thomas Mann, Kereny, in un testo intitolato “gli dei e gli eroi
della Grecia” scrive che quando si vede una donna o un uomo stesi in un letto, e una
testa di cavallo che si affaccia alla finestra, si tratta di un contesto di morte.
Noi non sappiamo di cosa soffre il malato, sappiamo solo che vuole morire, e che
dice questa cosa solo al medico, ma i familiari non lo sentono.
Rosa è un personaggio molto enigmatico e molto studiato, Rosa rimanda al colore,
che sarà anche il colore con cui viene descritta la ferita. Ma anche il rosso è un colore
molto presente: con il morso che le da lo stalliere, e con il sangue intriso su un
asciugamano. Quindi c’è un collegamento sia tra Rosa e la ferita, che tra Rosa e il
sangue.
Rosa è una figura femminile pura, innocente, di cui il medico si preoccupa.
Se questo racconto viene interpretato come un sogno, allora lo stalliere è l’alter ego
del medico, che viola la purezza di Rosa (nell’ “interpretazione dei sogni di Freud,
del 1900, egli analizza il meccanismo del sogno, e dice che il sogno filtra il desiderio,
la spinta che viene dall’Es attraverso una censura).
Rosa è collegata alla ferita, poiché ad un certo punto il medico scopre sul corpo del
ragazzo la ferita, che è rosa. Rosa è collegata alla ferita, poiché la ferita può essere la
ferita di un’anima che non riesce a sanare dal peccato originale. Queste
interpretazioni sono esterne al testo, poiché il testo non ci da delle chiavi per
sciogliere questi enigmi, si possono dare solo delle interpretazioni.
Alcune interpretazioni moderne hanno notato che sia rosa che la ferita sono dei segni:
la ferita è un segno (stimmate= segno in greco), Rosa essendo un nome proprio è
anch’esso un segno, il nome proprio non rimanda a nulla di esistente, è un segno
puro, non è denotativo di nulla; Questa purezza del segno del nome proprio è stato
messo in relazione con la stimmate, cio&egra