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Viaggi Buzzatici
Si chiede se le cronache che Buzzati presenta al Corriere della Sera presentino i temi del deserto dei tartari e viceversa se all'interno del romanzo ci siano dei riferimenti all'esperienza giornalistica. Per questo il 1933 è un anno di grande importanza perché non solo Buzzati comincia il suo lavoro in redazione con Radius, ma viene anche inviato in Palestina. Buzzati viaggia fra la Grecia, la Siria e il Libano. Gran parte di questi posti hanno come sfondo il deserto. Le sue cronache erano ospitate in 3 pagina quindi il piglio che dà è molto diverso perché ha modo di dare più spazio al suo filo ironico e divertente di scrittura.
Paola Arrigoni '33 e '39 viaggi che Buzzati fa all'estero. Il primo viaggio in Palestina. Può confrontarsi con un contesto militare simile a quello del deserto. Questi anni hanno un ruolo molto importante nella genesi del romanzo e della sua vita. Particolare ambientazione.
È come essere abbandonati nel deserto. In grande solitudine giacciono alcuni pezzi di ricambio: un asse porta-elica, un cilindro, un ingranaggio per albero a gomito, pale d'elica, una camicia interna da cilindro, tutti di mastodontiche proporzioni. Essi vedono girare, accanto a loro, scoperti, gli assi delle eliche, con un moto liscio e paziente. E li guardano con invidia. Tutta la nave freme di vita, ma loro no. Sono condannati all'inazione, scolari in castigo, relegati dal maestro dietro la lavagna. Si consolano un po' con la maldicenza e il disfattismo. Se si ode qualche rumore anormale i pezzi di riserva si destano dal torpore, e si domandano che cosa possa essersi rotto, se finalmente sia giunta l'ora. Invece niente, sempre falsi allarmi, sempre nuove delusioni. (I misteri della motonave, "Corriere della Sera", 19 agosto 1933)
Il primo pezzo viene consegnato nell'agosto del 1933 dove racconta i misteri della motonave, che usa per andare dalla Siria e il Libano.
All'interno dell'articolo è facile trovare i temi trovati fino ad ora. Decide di inserire una puntualissima descrizione della motonave. Buzzati aveva oltre che una forte autocritica, una maniacale precisione di quello che scrive. C'è una grande puntualità e esattezza di informazione. Si concentra sulla descrizione dei pezzi di ricambio. Introduce un meccanismo narrativo che già ha utilizzato per i suoi racconti, che è quello di animare oggetti inanimati che diventano protagonisti della scena e assumono sentimenti. I pezzi di ricambio vivono quel senso di frustrazione nei confronti degli altri - che vanno avanti - che è lo stesso del romanzo (che non è ancora stato scritto a questa altezza). Nel 1933 questo è uno dei sentimenti più forti del deserto, che viene scritto nel 39. Questi pezzi che sono inanimati ci permettono di ritrovare delle spie di temi che si ritroveranno nel romanzo. Che a questo punto è.Un'idea nella mente dell'autore. Osserva le dinamiche di redazione. Solitudine, invidia, ora della grande occasione e infine sempre una nuova delusione. Tutto reso con stile semplice e chiaro e tramite metodo personificazione. Questa pagina di cronaca diventa un racconto fantastico. È il primo dei reportage.
Oltrepassato l'Antilibano, s'incontra, sempre circondata dalle montagne morte, una bella pianura con acqua, piante e coltivazioni. La piana di Ksara. Un paradiso fra tanto deserto. Ma, intendiamoci, niente di simile a quanto si trova da noi. Abbiamo visto campi di grano, orti, viti e ulivi, una cosa consolante, ma un pezzettino di prato, un angolo di prato verde da poterci sdraiare, cercate fin che volete, non lo potrete trovare. Non riusciamo a capire cosa possano fare quelle mandrie di bovini su quel monticello fatto di terra e sassi. Abbiamo osservato bene: di erba neppur l'ombra, perché certo non si possono chiamar erba certi minimi.
residui vegetali, carbonizzati dal sole, che devono risalire al tempo dei Crociati. Eppure le bestie si aggirano lentamente, strisciano con il muso al suolo, come se pascolassero. Crediamo ora di capire: le abitudini dei felici tempi in cui questa terra scoppiava di salute e buttava fuori verzura da tutte le parti si sono perpetuate di padre in figlio. Quello che faceva l'antenato, ripete il pastore d'oggi, anche se non serve più a nulla. A una cert'ora raccoglie le bestie e le mena in giro, dove un giorno si pascolava. Una nostalgica finzione. E anche i buoi, le mucche, i vitelli, per un istinto millenario, chinano per terra la fronte e fanno finta di mangiare. (Nenie dell'uomo di pietra, "Corriere della Sera", 31 agosto 1933)
Anche in questo caso il tema fondamentale è la visione di questo altopiano che sorge come un paradiso all'interno del deserto. Scrive da una sperduta località del Libano. Racconta le né terre che Buzzati attraversa,
Usi e costumi. Nel raccontare come vivono gli abitanti di questa oasi nel deserto, Buzzati trova un elemento che sarà da filoconduttore. In questo angolo non c'è la forma di erba. C'è il riferimento all'inutilità e all'abitudine che si verifica dentro la fortezza. Descrive la pianura come una pianura fertile all'interno di questo paesaggio arido. Si domanda cosa possano fare in questo angolo di pianeta le mandrie di animali e bovini e soprattutto cosa facciano là gli umani. Qual è il senso della vita. Rientra il tema della ripetitività delle azioni umane dettate da un'abitudine rigida. Ciò che rimane è solo una nostalgica finzione. Di nuovo ci accorgiamo di come questo viaggio e l'esperienza diretta del deserto abbiano avuto un ruolo particolare nella definizione delle ambientazioni del romanzo.
44. Vita di tempo di pace. Il rumore delle ultime
schioppettate chissà oramai dove è giunto; calcolata la velocità del suono, ha già compiuto 757 volte e mezzo il giro della terra. Ma qui, in mezzo al deserto, dove la natura è così nuda e potente, rimane sospesa nell'aria una vaga sensazione di inquietudine e d'avventura; quelle smisurate distese di sabbie, il ghibli, quel solo implacabile, la sete.[…] Le automobili svaniscono al nord e il camioncino dell'ufficiale si dirige verso l'oasi. In due direzioni opposte; certo non si può dire qual che sia la più bella. Certo, nella memoria del maggiore Rolle le immagini degli amici di un giorno, volti ridenti e sereni, a poco a poco si affievoliranno, perderanno i loro contorni, si confonderanno in uno solo, scialbo e destinato a svanire. Ma nessuno dei visitatori, nessuno più dimenticherà la figura di quell'ufficiale, in mezzo alle sabbie meridiane, col suo cappello d'alpino eL'inseparabile sorriso, quell'uomo limpido e definitivo, che se ne sta immobile e silenzioso e diventa sempre più piccolo nella lontananza, fermo sulla soglia del suo solitario regno. (La sentinella del sud, "Corriere della Sera", 15 novembre 1933)
Il protagonista è un militare, maggiore Rolle che va a salutare prima di partire. Si racconta della presenza militare italiana in questo luogo. Il deserto - vede sperimenta in prima persona - è questo luogo dove si ha costantemente una sensazione vaga di inquietudine. L'atmosfera del deserto si unisce alle sensazioni raccolte in redazione. Sono affrontate alcune dinamiche che poi affronterà Drogo, come se fosse un precursore del suo personaggio. Questa pagina si accosta come un ponte con alcuni appunti che Buzzati prende a Porto Said nel '39. Secondo viaggio all'estero in Africa, al seguito del contingente italiano (Poi lo vedo ancora in una strada vicina, poi in
un'altra città, o su strade sperdute, sempre in fondo in mezzo al sole misterioso e inquietante, sempre verso il sud e il centro, chiudendo una disperazione paziente e ostinata, che nessuno è riuscito a capire. Che cosa sperava? Lui come tutti gli altri suoi simili. Per quale avvenire si preparava quel ragazzo che porta una terrina piena di chissà cosa. Chi vorrebbe diventare? Non si guarda attorno? Non vede l'abiezione degli uomini grandi, le loro grinte maligne, i denti marci, la rassegnazione? Non gli fa paura l'idea di diventare come loro? Che illusione lo sostiene?) (Diario, Porto Said, 17 aprile 1939)
Annota la presenza di un giovane che ha in parte le stesse caratteristiche di Rolle e che si pone le stesse domande di Drogo. Si domanda Buzzati quale avvenire volesse. Collegamento duplice perché gli appunti si collegano alla visione del '33, ma questa figura rimane con tale evidenza e forza che a questa presenza dedicherà anche
Un racconto "Messaggero del Sud"
Tra le case pencolanti, le balconate a traforo marce di polvere, gli anditi fetidi, le pareti calcinate, gli aliti della sozzura annidata in ogni interstizio, sola in mezzo a una via io vidi a Porto Said una figura strana. Ai lati, lungo i piedi delle case, si muoveva gente miserabile del quartiere; e benché a pensarci bene non fosse molta, pareva che la strada ne formicolasse, tanto il brulichio era uniforme e continuo. Attraverso i veli della polvere e i riverberi abbaglianti del sole, non riuscivo a fermare l'attenzione su alcuna cosa, come succede nei sogni. Ma poi, proprio nel mezzo della via (una strada qualsiasi identica alle mille altre, che si perdeva a vista d'occhio in una prospettiva di baracche festose e crollanti) proprio nel mezzo, immerso completamente nel sole, scorsi un uomo, un arabo forse, vestito di una larga palandrana bianca, in testa una specie di cappuccio.
– o così mi parve – ugualmente bianco. Camminava lentamente in mezzo alla strada, come dondolando, quasi stesse cercando qualcosa, o titubasse, o fosse anche un poco storno. Si andava allontanando tra le buche polverose sempre con quel suo passo d’orso, senza che nessuno gli badasse e l’insieme suo, in quella strada e in quell’ora, pareva concentrare in sé con straordinaria intensità tutto il mondo che lo contornava. (Messaggero del Sud)
I due viaggi fanno da confine alla struttura del romanzo. Periodo particolare sia povredazionale e esperienziale. I temi e gli stili si riversano dalle pagine di narrativa e quelle di prosa. Il deserto diventa un personaggio, modalità narrativa, di riflesso anche all’esperienza dell’autore. Diventa una condizione esistenziale che si fa anche in maniera + alta e per noi una chiave di lettura per capire in che modo si fondono giornalista e autore.
45. Per me i paesaggi del deserto sono la cosa
più bella del mondo. Più bella ancora delle montagne almeno come potenza spirituale. […] perché in quelle immense vastità