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ALVINO
Il piccolo Michelino, battendo i denti, leggeva un libro di fiabe, preso in prestito alla
bibliotechina della scuola. Il libro parlava d’un bambino figlio di un taglialegna, che usciva
con l’accetta, per far legna nel bosco. «Ecco dove bisogna andare», disse Michelino, «nel
bosco! Lì sì che c’è la legna!» Nato e cresciuto in città, non aveva mai visto un bosco
neanche di lontano.
Detto fatto, combinò coi fratelli: uno prese un’accetta, uno un gancio, uno una corda,
salutarono la mamma e andarono in cerca di un bosco.
Camminavano per la città illuminata dai lampioni, e non vedevano che case: di boschi,
neanche l’ombra. Incontravano qualche raro passante, ma non osavano chiedergli dov’era un
bosco. Così giunsero dove finivano le case della città e la strada diventava
un’autostrada.
Ai lati dell’autostrada, i bambini videro il bosco: una folta vegetazione di strani alberi
copriva la vista della pianura. Avevano i tronchi fini fini, diritti o obliqui; e chiome piatte
ed estese, dalle più strane forme e dai più strani colori, quando un’auto passando le
illuminava coi fanali. Rami a forma di dentifricio, di faccia, di formaggio, di mano, di
rasoio, di bottiglia, di mucca, di pneumatico, costellate da un fogliame di lettere
dell’alfabeto. «Evviva!» disse Michelino, «questo è il bosco!» […]
L’agente Astolfo della polizia stradale era un po’ corto di vista, e la notte, correndo in moto
per il suo servizio, avrebbe avuto bisogno degli occhiali; ma non lo diceva, per paura
d’averne un danno nella sua carriera.
Quella sera viene denunciato il fatto che sull’autostrada un branco di monelli stava
buttando giù i cartelloni pubblicitari. L’agente Astolfo parte d’ispezione.
Ai lati della strada la selva di strane figure ammonitrici e gesticolanti accompagna Astolfo,
che le scruta a una a una, strabuzzando gli occhi miopi. Ecco che, al lume del fanale della
moto, sorprende un monellaccio arrampicato su un cartello. Astolfo frena: «Ehi! Che fai lì,
tu? Salta giù subito!» Quello non si muove e gli fa la lingua. Astolfo si avvicina e vede che è
la réclame d’un formaggino, con un bamboccione che si lecca le labbra. «Già, già!» fa
Astolfo, e riparte a gran carriera.
Dopo un po’, nell’ombra di un gran cartellone, illumina una triste faccia spaventata. «Alto
là! Non cercate di scappare!» Ma nessuno scappa: è un viso umano dolorante in mezzo a
un piede tutto calli: la réclame di un callifugo. «Oh, scusi» dice Astolfo, e corre via.
Il cartellone di una compressa contro l’emicrania era una gigantesca testa d’uomo, con le
mani sugli occhi dal dolore. Astolfo passa, e il fanale illumina Marcovaldo arrampicato in cima,
che con la sua sega cerca di tagliarsene una fetta. Abbagliato dalla luce, Marcovaldo
si fa piccolo piccolo e resta lì immobile, aggrappato a un orecchio del testone, con la sega
che è già arrivata a mezza fronte.
Astolfo studia bene, dice: «Ah, sì: compresse Stappa! Un cartellone efficace! Ben trovato!
Quell’omino lassù con quella sega significa l’emicrania che taglia in due la testa! L’ho
subito capito!» E se ne riparte soddisfatto.
Marcovaldo cerca di comprendere la realtà cittadina che lo circonda. C’è un confine labile
(=debole) tra la realtà percepita e la realtà che i bambini interpretano. La loro
interpretazione si concentra sui segni della città, i quali vengono concepiti come segni
naturali in quanto non hanno gli strumenti necessari per fare altrimenti. Essi infatti non
conoscono la natura in quanto nati e cresciuti in città. Nella parte finale si mostra come la
realtà sia interpretata al contrario. L'occhio umano integra involontariamente, a causa della
mancanza di strumenti, la figura di Astolfo, il quale è presente in un cartellone
pubblicitario. Ciò mostra come per Calvino si possa analizzare e percepire il reale
attraverso la letteratura.
La pubblicità è un oggetto, uno strumento materiale che può essere usato nella
quotidianità dell'uomo.
[I. C , Luna e GNAC, in Marcovaldo, ovvero le stagioni in città]
ALVINO
La notte durava venti secondi, e venti secondi il Gnac. Per venti secondi si vedeva il cielo
azzurro variegato di nuvole nere, la falce della luna crescente dorata, sottolineata da un
impalpabile alone, e poi stelle che più si guardavano più infittivano la loro pungente
piccolezza, fino allo spolverio della Via Lattea, tutto questo visto in fretta in fretta, ogni
particolare su cui ci si fermava era qualcosa dell’insieme che si perdeva, perché i venti
secondi finivano subito e cominciava il Gnac.
Il Gnac era una parte della scritta pubblicitaria Spaak-Cognac sul tetto di fronte, che stava
venti secondi accesa e venti spenta, e quando era accesa non si vedeva nient’altro. La luna
improvvisamente sbiadiva, il cielo diventava uniformemente nero e piatto, le stelle
perdevano il brillio […]
Marcovaldo cercava di insegnare ai figlioli la posizione dei corpi celesti.
– Quello è il Gran Carro, uno due tre quattro e lì il timone, quello è il Piccolo Carro, e la
Stella Polare segna il Nord.
– E quell’altra, cosa segna?
– Quella segna ci. Ma non c’entra con le stelle. È l’ultima lettera della parola cognac. Le
stelle invece segnano i punti cardinali. Nord Sud Est Ovest. La luna ha la gobba a ovest.
Gobba a ponente, luna crescente. Gobba a levante, luna calante.
– Papà, allora il cognac è calante? La ci ha la gobba a levante!
– Non c’entra, crescente o calante: è una scritta messa lì dalla ditta Spaak.
– E la luna che ditta l’ha messa?
– La luna non l’ha messa una ditta. È un satellite, c’è sempre.
– Se c’è sempre, perché cambia di gobba?
– Sono i quarti. Se ne vede solo un pezzo.
[…]
Era l’ultimo quarto, quando gli elettricisti tornarono a rampare sul tetto di fronte. E quella
notte, a caratteri di fuoco, caratteri alti e spessi il doppio di prima, si leggeva Cognac
Tomawak, e non c’erano più luna né firmamento né cielo né notte, soltanto Cognac
Tomawak, Cognac Tomawak che s’accendeva e si spegneva ogni due secondi.
In questo testo, la pubblicità impedisce ai protagonisti di poter godere pienamente della
natura. “Luna” (metonimia ad indicare il mondo naturale) e “gnac” (sinestesia che richiama
il mondo della pubblicità) sottolineano l’antitesi tra questi due mondi.
Già all'inizio vi è una contrapposizione netta. La pubblicità “gnac” va a scandire il tempo
del racconto, il quale è quasi aulico. Sceglie di contrapporre tutto ciò che rappresenta il
mondo naturale (linguaggio aulico e alto) a ciò che rappresenta il paesaggio urbano
(visione prosastica e ironica legata alla pubblicità). Calvino passa da uno stile rarefatto ad
uno stile ironico a causa dell’appiattimento causato dallo “Gnac”. Qui il neon rende
impossibile godere delle bellezze naturali mentre Marcovaldo cerca di spiegare la
posizione dei corpi celesti ai figli. Calvino mostra che questo tentativo di mostrare la natura
è fallimentare. Michelino rompe allora con una cerbottana le lettere del Cognac, ma gli
elettricisti posizionano una scritta maggiore che si accende e spegne ogni due secondi,
oscurando definitivamente la luna. Non si può quindi tornare allo stato primitivo di natura.
[P. L , In fronte scritto, in Vizio di forma, 1971]
EVI
Si tratta di una nuova tecnica di promozione. Se accetta, lei resterà libero di comportarsi e
di pensare come le pare, anche smentendo il suo messaggio: insomma, lei ci vende o ci
affitta la sua fronte, e non la sua anima. […]
Entro un anno la pubblicità frontale diventerà un segno di originalità e di prestigio
personale, come il distintivo di un club […]
Robusto e bello, ma, inesplicabilmente, portava scritto sulla fronte “O MOGENEIZZATI
C ”.
AVICCHIOLI
Primo Levi sceglie di compiere un’analisi particolare della società che lo circonda.
Egli propone delle “Profezie serie”, ovvero una gamma di possibilità che si possono
verificare in relazione alla società contemporanea. Levi profetizza, in maniera molto
verosimile, la realtà futura con una serie di racconti che Calvino definisce come
fantabiologici.Egli nel suo brano prevede che noi potremmo affittare, in futuro, il nostro
corpo per fare pubblicità. Due fidanzati che vogliono sposarsi ma non hanno abbastanza
soldi cercano un impiego. Vedono un annuncio di lavoro: offrire la propria fronte per un
messaggio pubblicitario, una cosa fantascientifica. I due ragazzi credendo però di poter
rimanere liberi. L’avvento della pubblicità è un evento fortemente mediatico con delle
conseguenze. I due ragazzi non riusciranno a cancellare questo tatuaggio, ma non solo:
essi avranno un figlio che sulla fronte avrà scritto “omogeneizzati Cavicchioli”. La
pubblicità si trasmette.
SCRITTORI PRESTATI ALLA PUBBLICITA'
La pubblicità cambia anche i mestieri legati alla scrittura. Le aziende assolderanno “penne
celebri” per reclamizzare (=diffondere) i propri prodotti.
Il primo esempio di fine ‘800 è quello di Lorenzo Stecchetti, direttore della Biblioteca di
Bologna, assoldato dalla ditta di acque di Corticella per scrivere una pubblicità.
Chiare, fresche e dolci acque
Un dì vanto ed onor di Corticella
La vostra secolar fama rinacque
a fortuna novella.
Così per chi vi prova
rinasce il fior della salute nova.
E per gli altri c’è un fior di vino puro
Chiaro e fresco anche lui, ve l’assicuro!
[L S per Acqua di Corticella]
ORENZO TECCHETTI
Egli propone un oggetto consumistico, associandolo al “Chiare, fresche et dolci acque” di
Petrarca.
Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
[…]
Da’ be’ rami scendea
(dolce ne la memoria)
Una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo;
et ella si sedea
humile in tanta gloria,
converta già de l’amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le trecce bionde,
ch’oro forbito et perle
eran quel dì, a vederle;
qual si posava in terra, et qual su l’onde;
[F. P , Canzoniere, 126, vv. 1-3 e 40-50]
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Il verso di P