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Arnauld, Nicole e Massillon

Da questi autori poté per la prima volta avvicinarsi ad una dimensione più profonda della vita superando il materialismo della filosofia illuministica. Di fronte al problema della lingua da usare nel romanzo Manzoni esito più volte e alla fine si trovò a scrivere in un linguaggio ibrido, privo di effettiva presenza realistica e di accettabile intensità espressiva. Esisteva a quei tempi un vocabolario milanese-toscano elaborato dal Cherubini. Si rese conto che nella composizione l'unità del linguaggio è sicuramente l'elemento più importante e che quindi la necessità primaria, unica, incondizionata in fatto di lingua era la interna coerenza di tutti i suoi elementi. La lingua è un organismo vivente e le parole si richiamano l'una all'altra e le forme espressive debbono possedere un'unica logica. Bisogna costruire un linguaggio interno ed omogeneo, ma vivo e reale.

lontano da ogni ricostruzione personale da ogni apporto del passato, libresco e privo di vivacità. La scelta di risiedere per qualche tempo a Firenze gli permise di prendere appunti, di stabilire relazioni personali che avrebbe poi continuato per lettera. Egli intendeva rintracciare uno stile unico per il proprio romanzo, prendendo come base una lingua viva, L'esistenza di una lingua letteraria, del tutto diversa parlata. dalla lingua parlata, gli sembrava quanto mai inutile e inconcludente. Al tempo stesso era assai lontano dall'idea che la letteratura dovesse rappresentare con forte passione i sentimenti del popolo giungendo persino ad usare il dialetto. D'altra parte il dialetto fiorentino non poteva essere la soluzione linguistica del problema del romanzo. Manzoni cercava soltanto uno stile unico che fosse a un tempo né dialettale, né troppo letterario ma fosse vivo, vero, concreto. La vera grande conquista del romanziere fu nell'inseguire un

risultato linguistico unitario, del tutto coerente con la tradizione italiana ma al tempo stesso lontano dalle forme retoriche e dagli apporti di altre nazioni. Il lavoro durò almeno 10 anni. Attraverso un processo lungo e faticoso Manzoni ottenne finalmente una frase armoniosa e piana, una prosa capace di esprimere un ritmo interno serrato e compatto. Mutando con dignità e rigore il discorso narrativo precedente riuscì così ad ottenere una prosa curata, poetica e al tempo stesso salda ed efficace. Probabilmente l'opera alla quale può essere accostata e il Paradiso perduto di Milton. Come Leopardi, anche Manzoni avvertiva la lingua italiana scritta di quegli anni come se era essenzialmente una lingua morta. Capitolo 21

Giacomo Leopardi e il problema di una lingua italiana moderna

I grandi esempi di Platone, di Luciano, di Cicerone, di Erasmo spinsero nel 1824 Leopardi a tentare una strada già progettata parecchi anni prima: scrivere dialoghi di

forte impronta satirica grazie ai quali avrebbe potuto deridere le illusioni e i falsi valori del mondo, facendo così della satira un formidabile sostituto della lirica. I dialoghi che il poeta chiamò Operette morali sono spesso molto brevi, e privi di una intensa discussione filosofica che invece sembrava assai più rilevante nelle pagine dello Zibaldone e dei Pensieri. Forse nell'antichità solo Luciano di Samosata aveva saputo cogliere con un linguaggio schietto e tagliente, le amare considerazioni intorno all'uomo e al suo destino. La sua prosa è quella di un letterato finissimo, di un filologo che conosce tutti i valori semantici della lingua scritta e che sa muoversi con agilità mettendo da parte gli arcaismi inutili. Leopardi si convinse ben presto che gli scrittori del 500 presentavano una lingua molto più completa formata di quella del 300. Con grande intelligenza si rese conto della necessità di aggiornare una lingua, di

renderla cioè vicina alle esigenze culturali del tempo. La lingua italiana era rimasta una lingua poetica, al massimo presente nel teatro e nell'epica ma del tutto arretrata rispetto alla lingua della filosofia moderna. Leopardi dimostra così di aver compreso in piedi i limiti di tutta la discussione sulla lingua letteraria italiana: occorreva rompere la vecchia sintassi, mettere da parte i giochi retorici, superare completamente le regole dell'accademia, ponendosi finalmente in ascolto del popolo e cogliendo le infinite occasioni che la vita quotidiana sa offrire ad un osservatore attento e giudizioso. Naturalmente influì molto sulle sue scelte la posizione filosofica di completo scetticismo e pessimismo cui era pervenuto. Si convinse pertanto di non avere altra scelta che quella di trovare la miglior forma possibile, usando una lingua morta della letteratura italiana. Con grandissima audacia ed intelligenza egli capì che l'italiano è incapace

di uno stile che abbia due qualità ripugnanti e contrarie essenzialmente. Egli ricordò che neppure Galilei è riuscito a combinare insieme i due requisiti fondamentali di uno stile moderno, diretto ed efficace. Si trattò di una lingua molto studiata, elegante ma non imitativa come la prosa del classicismo, combinata attraverso un gioco sottile di accostamenti e di opposizioni non sempre di facile comprensione. Leopardi non possedeva la pietas verso il lettore che fu propria di altri autori a lui contemporanei. Gli piacque sempre costruire un pensiero sofisticato, ricco di continue allusioni, ellittico di molti passaggi, del tutto lontano dalle concezioni usuali della cultura contemporanea e soprattutto privo di una vera conclusione. In questo probabilmente anticipò di molti decenni la grande letteratura straniera della fine dell'800 e del secolo ventesimo.

Capitolo 22

La prosa del Risorgimento

Uno dei temi ricorrenti di tutta la letteratura italiana è

stato nel corso dei secoli l'attacco al mondo delle concezioni e della visione della vita religiosa cattolica. Gran parte della storia civile non solo dell'Italia ma dell'intera Europa è stata determinata dalla volontà di erigere steccati e barriere nei confronti di Roma e del suo magistero non solo religioso ma anche politico e culturale. Le posizioni fortemente anticlericali, massoniche e iperlaiche presenti in Italia nella seconda metà dell'800 allorché la maggior parte dei pensatori sviluppò la convinzione che l'ostacolo primo ad ogni possibile soluzioni di indipendenza e autonomia nazionale era rappresentato dalla presenza del papato nella nostra nazione. Non si teneva contro di un elemento culturale innato nel mondo civile italiano ad ogni livello. Come Niccolò Tommaseo seppe ben dimostrare, il cattolicesimo era presente in Italia e non era possibile pensare di eliminarlo per decreto. Il popolo italiano aveva nel sud e nel

Nel nord dell'Italia c'era una profonda fede nella Madonna e nei santi; ignorare tale condizione significava allontanare completamente dal processo di rinnovamento politico culturale di tutte le masse. Questo fu l'errore madornale di gran parte degli attori principali del Risorgimento italiano: ritenevano la fede una superstizione da combattere in maniera decisa per estirparla dal contesto civile. Tommaseo fu l'unico a comprendere che un Risorgimento senza la presenza diretta della Chiesa sarebbe rimasto un compromesso privo di sostanza civile. Il suo ingegno era altissimo ma gli mancò la forza di penetrare nella vera cultura italiana. In verità fra il 1830 e il 1848 furono moltissimi gli intellettuali che scrissero, fecero proseliti, si batterono con forza per il trionfo dell'iniziativa cattolica nel Risorgimento. In tale direzione si mosse innanzitutto Vincenzo Gioberti, il cui temperamento rivoluzionario e la cui ardente fede nelle idee di Mazzini erano accompagnati.

dalla consapevolezza che l'unificazione del territorio nazionale era la conclusione necessaria di un processo politico e militare da condurre a termine ad ogni costo. Con grande fermezza e con forma rapida ed essenziale, il Gioberti spiega le cause del fallimento dei moti risorgimentali. In primo luogo indica con un grande senso storico gli errori e le contraddizioni del mondo dei gesuiti. Poi riconosce i limiti dell'azione politica di Pio IX e contemporaneamente di tutto il movimento cattolico all'interno della questione patriottica. Con fine intuitivo politico sa individuare i veri responsabili del fallimento, nella eccessiva spinta municipale del Piemonte e delle altre regioni e nella radicalizzazione delle posizioni anticlericali del Risorgimento stesso. Sul piano linguistico e stilistico si mossero Cesare Baldo, Giacomo Durando e Massimo d'Azeglio e Leopoldo Galeotti. Ben robusta fu l'opera dei due pensatori più stimati: Raffaele Lambruschini fu un prete.intelligentee attivo, pronto ad affrontare i problemi educativi a cui dedicò gran parte della propria vita. Egli ritene possibile la fusione della fede religiosa nelle aspirazioni del Risorgimento, perché solo in tal modo sarebbe stata effettuata la vera unificazione dello spirito italiano. Gino Capponi, fu un ottimo studioso di pedagogia ed un'interessante esponente del cattolicesimo liberale, egli cercò di spiegare quanto fosse importante ai fini di un coinvolgimento effettivo del popolo e quindi di una vera proficua rivoluzione nazionale, la presenza di un cattolicesimo aperto e vicino alle istanze più importanti della politica del tempo. Ben presto il clero e la gerarchia ecclesiastica in Italia si trovarono in una condizione di forte arretratezza rispetto allo sviluppo delle idee del positivismo, del darwinismo, dei scientisti, della razionalismo radicale, che trovavano poi sicuro rifugio nell'aumento moderata degli addetti alle società.segrete di chiaro stampo massonico e di ancor più sicuro intento anticlericale. La pubblicistica di quel periodo risentì decisamente di questa opposizione fra cattolici e liberali, i cattolici intransigenti da un lato e il laicismo ad oltranza dall'altro. Il mondo cattolico continuò ad esprimersi con una convinta ostilità nei confronti delle idee liberali. D'altro canto la cultura laica ed anticlericale non risparmiò i propri colpi contro l'oscurantismo, di cui finiva per macchiarsi una gran parte del mondo cattolico. In questo assai confuso panorama di idee e di iscritti contrapposti la decisione del Papa Pio IX di pubblicare nel 1864 la lista di 80 dottrine che la Chiesa condannava quali manifestazioni di ateismo, apparve ben presto eccessiva ed inutile. La lunga lista papale dava l'impressione di una condanna definitiva, priva di appello di tutto il pensiero degli ultimi secoli, come se il cattolicesimo si arroccasse all'interno.

Delle mura pontificie, chiudendosi completamente nella venerazione del passato e nel rifiuto totale del mondo contemporaneo. Certamente si trattò di una scelta inopportuna ed inefficace e lasciò tracce negative sul cammino della cultura.

Dettagli
Publisher
A.A. 2010-2011
27 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ninja13 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Didattica della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli o del prof Mastrocola Silvio.