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Rosse, a cui, dopo il ripresentarsi nel 1977, in forme più radicali, del movimento del '68, si

aggiunsero formazioni come Autonomia operaia e Prima linea.

Le BR si costituirono tra il 1969 e il 1970 da elementi provenienti dal movimento studentesco

(Renato Curcio, il leader storico, di formazione cattolica, proveniente dalla Facoltà di

Sociologia di Trento, e sua moglie Margherita detta Mara Cagol, che sarebbe morta in uno

scontro a fuoco con i carabinieri nel 1975), da ex­militanti del PCI (Alberto Franceschini e

Prospero Gallinari) e da operai (Mario Moretti, esponente dell'ala militarista e leader

dell'organizzazione dopo l'arresto di Curcio, avvenuto nel 1974 e una seconda volta, dopo

un'evasione, nel 1976, artefice principale del sequestro e dell'assassinio di Moro).

Inizialmente l'attività brigatista fu costituita dalla propaganda negli ambienti di lavoro e da azioni

dimostrative (intimidazioni, sequestri­lampo) nei confronti di dirigenti aziendali e capi­reparto,

considerati espressione del potere padronale.

Successivamente si verificò un'escalation di violenza, diretta contro esponenti del mondo

economico e delle istituzioni, ritenuti rappresentativi del potere repressivo dello Stato nei

confronti del proletariato: imprenditori, magistrati, agenti delle forze dell'ordine, uomini politici,

giornalisti, fino a coinvolgere dei sindacalisti, che furono fatti oggetto di sequestri, ferimenti

(gambizzazioni) e omicidi. Si trattava di azioni terroristiche mirate (a differenza dello

stragismo di destra, indiscriminato), dirette ad obiettivi specifici, il cui scopo era quello di

intimidire e suscitare consenso nel proletariato ("colpirne uno per educarne cento"). Tra le più

significative vi furono:

∙ il sequestro del giudice genovese Mario Sossi (aprile­maggio 1974), che aveva indagato

su alcuni terroristi di sinistra. Il rapimento del magistrato, che si concluse con la sua

liberazione, anticipò le vicende ed i dilemmi che si sarebbero ripresentati con il caso

Moro: la richiesta da parte dei brigatisti della scarcerazione di alcuni militanti in cambio

della liberazione del giudice suscitò divergenze all'interno della magistratura e del mondo

politico, anche se Sossi fu poi liberato senza condizioni

∙ l'uccisione del procuratore di Genova Francesco Coco (1976), che si era opposto alla

scarcerazione di alcuni brigatisti nel corso del sequestro Sossi, dopo che era già avvenuta

quella di due militanti dell'MSI nel 1974. Questo episodio segnò un salto di qualità

nell'azione delle BR, con l'intento di portare l'"attacco al cuore dello Stato"

∙ il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro (marzo­maggio 1978)

Il compromesso storico, la solidarietà nazionale e il caso Moro

Il contesto storico­politico del caso Moro fu quello del compromesso storico tra DC e PCI, dopo

la crisi della formula del centro­sinistra. L'accordo tra i due principali partiti fu promosso dal

leader del PCI Enrico Berlinguer, succeduto come segretario del partito nel 1972 a Luigi Longo

(che aveva a sua volta sostituito Togliatti dopo la sua morte, avvenuta nel 1964). L'obiettivo di

Berlinguer era quello dell'allargamento della base sociale del sistema politico italiano, per

assicurare un maggior coinvolgimento nelle istituzioni delle masse popolari, fino ad allora in

buona parte escluse a causa dell'emarginazione del PCI.

Berlinguer auspicava una collaborazione tra i due grandi partiti di massa (PCI e DC), tra le due

grandi forze popolari, al di là delle loro divergenze ideologiche: il compromesso storico. Tale

accordo tra il principale partito di governo e il principale partito di opposizione si rendeva

necessario per Berlinguer per promuovere una politica riformistica, respingendo i tentativi in

atto di imprimere una svolta autoritaria e consolidando le istituzioni democratiche minacciate dal

terrorismo.

Tale linea politica venne proposta da Berlinguer nel 1973, poco dopo il golpe attuato in Cile dal

generale Pinochet contro il governo socialista di Salvador Allende, che rappresentava una

possibile deriva della vita politica italiana. Oltre all'emergenza democratica l'Italia doveva

affrontare in quel frangente anche un'emergenza economica, a causa della crisi petrolifera del

1973 successiva alla guerra del Kippur (un episodio del conflitto arabo­israeliano), in seguito alla

quale i produttori arabi avevano aumentato il prezzo del petrolio come ritorsione per l'appoggio

dei Paesi occidentali ad Israele, innescando un processo inflattivo.

La svolta di Berlinguer rientrava nell'ambito di un progetto politico più ampio, consistente

nell'affermazione di una maggiore autonomia del PCI dall'URSS, della necessità di una via al

socialismo diversa rispetto al modello sovietico autoritario (brezneviano), secondo la formula

dell'eurocomunismo, promossa insieme ad altri partiti comunisti dell'Europa occidentale (quello

francese e quello spagnolo), soprattutto in seguito alla condanna della repressione sovietica della

Primavera di Praga, che prevedeva l'adesione ai principi liberal­democratici.

La proposta del compromesso storico venne accolta con favore dalla dirigenza democristiana, in

mano alla sinistra del partito (rappresentata dal segretario Benigno Zaccagnini e dal presidente

Aldo Moro) e si concretizzò dopo le elezioni del 1976, che videro la tenuta della DC (38,7%) ed

un ottimo risultato del PCI, che raggiunse il suo massimo storico (34%), mentre il PSI subì un

calo di consensi (9,6%), che esprimeva un chiaro dissenso nei confronti della politica del

centro­sinistra e provocò l'avvicendamento alla segreteria tra Francesco De Martino, succeduto a

Nenni, e Bettino Craxi.

Il PCI, anche per il suo accresciuto peso elettorale, diventava il principale ed imprescindibile

interlocutore della DC, mentre il PSI era relegato ad un ruolo marginale.

Si formò così un governo monocolore dc, presieduto da Giulio Andreotti (1976­79), che ottenne

l'astensione di tutti i partiti dell'arco costituzionale, PCI compreso, con la sola esclusione

dell'MSI, secondo la formula della solidarietà nazionale, ritenuta indispensabile per

fronteggiare la crisi economica e l'offensiva terroristica contro l'ordine democratico.

Il governo assunse alcune misure economiche improntate al rigore, approvate dal PCI e dai

sindacati, che svolsero un ruolo di mediazione nei confronti dei lavoratori, e promosse un

ampliamento dei poteri delle forze dell'ordine contro il terrorismo, che nel 1977, in concomitanza

con un inasprimento delle tensioni sociali, aveva intensificato la sua azione.

Fu in questo contesto che avvenne il sequestro di Moro, presidente della DC, uno dei principali

artefici e sostenitori del compromesso storico, al quale le BR si opponevano, in quanto

esprimeva la definitiva rinuncia da parte del PCI ad una prospettiva rivoluzionaria, rispetto alla

quale le BR volevano proporsi come alternativa antagonista e rivoluzionaria.

La mattina del 16 marzo 1978, giorno in cui in Parlamento sarebbe dovuto cominciare il

dibattito sulla fiducia ad uno dei governi di solidarietà nazionale presieduto da Andreotti e a cui

il PCI avrebbe votato la fiducia pur non partecipandovi con propri ministri, un commando delle

BR rapì Moro in via Fani a Roma, uccidendo gli uomini della sua scorta.

L'evento sconvolse l'opinione pubblica, in quanto colpiva uno degli esponenti più autorevoli

dello Stato e costituiva un attacco frontale alla stabilità delle istituzioni democratiche.

I brigatisti sottoposero ad un processo il leader dc, accusandolo di essere il principale esponente

dello Stato repressivo e imperialista, e cercarono di avviare una trattativa con lo Stato, emettendo

una serie di comunicati in cui si avanzava la richiesta della scarcerazione di alcuni terroristi in

cambio della liberazione di Moro.

Il mondo politico e l'opinione pubblica si divisero in due schieramenti: il fronte della fermezza

(la maggioranza della DC, il PCI, il PSDI, il PRI e l'MSI), contrario alla trattativa, che avrebbe

legittimato politicamente le BR e significato la resa dello Stato dinanzi al terrorismo, e il fronte

della trattativa (una parte della DC, i radicali e i socialisti, i quali cercavano in questo modo

anche di riconquistare un ruolo politico di rilievo, interpretando il sentimento di una buona parte

dell'opinione pubblica), che riteneva prioritarie le ragioni umanitarie rispetto alla ragion di Stato.

Tale spaccatura fu acuita dalle lettere di Moro fatte pervenire dalla prigionia (secondo alcuni

ispirate dai brigatisti e non attendibili in quanto condizionate dallo stato di detenzione), in cui

egli accusava i compagni di partito di volerlo sacrificare per scopi politici.

Nel frattempo le autorità erano impegnate nelle indagini per scoprire il luogo della prigionia,

caratterizzate da inquinamenti, ritardi e depistaggi, che lasciano tuttora alcuni punti oscuri circa

il caso­Moro e ne fanno uno dei tanti misteri d'Italia. Ciò ha fatto sorgere il sospetto circa un

interesse alla scomparsa dalla scena politica di Moro, in quanto principale promotore del

compromesso storico, da parte di forze avverse a questo progetto e di cui alcuni denunciano lo

scarso impegno o addirittura ipotizzano un coinvolgimento attivo nel caso­Moro: parte della DC,

i servizi segreti americani, militari ed esponenti delle forze dell'ordine legati alla P2 (di cui nel

1978 non si conosceva ancora l'esistenza), che furono designati tra i responsabili delle indagini

durante i 55 giorni del sequestro.

La mancata accettazione delle condizioni poste dalle BR e la prevalenza della linea della

fermezza condussero alla condanna a morte e all'esecuzione di Moro, il cui corpo venne fatto

ritrovare il 9 maggio (poi istituito come Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e

delle stragi) 1978 nel bagagliaio di una R4 rossa in via Caetani a Roma, a metà strada tra Piazza

del Gesù (sede della DC) e via delle Botteghe oscure (sede del PCI).

Il caso­Moro fu l'acme dell'offensiva terroristica delle BR, che intensificarono le loro azioni

nel triennio successivo, ma segnò anche la sconfitta del loro progetto rivoluzionario.

L'escalation di violenza provocò infatti una reazione di condanna, indignazione e riscatto civile

da parte della società italiana e mostrò l'illusione di ottenere attraverso la lotta armata l'adesione

del proletariato alla rivoluzione. Il consenso nei confronti delle BR diminuì drasticamente, anche

presso quella parte dell'opinione pubblica che inizialmente le aveva sostenute o aveva

simpatizzato per loro, collocandosi in una sorta di posizione equidistante tra lo Stato e le BR ("né

con lo Stato né con le BR").

Uno degli episodi più significativi che segnarono definitivamente la rottura tra le BR e

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A.A. 2016-2017
19 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher LeleAlbo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Fistetti Francesco.