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DIRITTO SOGGETTIVO
Al diritto oggettivo, insieme di norme di condotta, si contrappone il diritto soggettivo, la facoltà di un soggetto di pretendere
dagli altri un determinato comportamento. È necessario fare una distinzione tra norme di qualificazione, che attribuiscono
una qualità giuridica a persone e cose e norme di relazione, che risolvono conflitti d’interesse. I diritti soggettivi si
distinguono in diritti assoluti e relativi. I diritti relativi sono quelli in cui il soddisfacimento di un interesse dipende solo con
la collaborazione di un altro soggetto. I diritti assoluti sono fatte valere erga omnes (verso tutti) e garantiscono il
soddisfacimento dell’interesse del titolare del diritto con un’immediata relazione con la persona. I giuristi romani non hanno
mai teorizzato la figura del diritto soggettivo, e per questo non li hanno qualificati.
DIRITTO DELLE PERSONE E DI FAMIGLIA – CAPITOLO II
I SOGGETTI DEL DIRITTO E LA CAPACITA’ GIURIDICA. LE PERSONE FISICHE
Nel diritto romano i soggetti di diritto si distinguono in PERSONE FISICHE e PERSONE GIURIDICHE. Perché si
possa dire che c’è un soggetto di diritto ci deve essere la nascita, con il completo distacco del feto dal corpo materno, e la
cessazione del soggetto di diritto avviene con la morte della persona fisica.
Per i romani l’uomo esisteva solo dopo la nascita e non durante il periodo della gravidanza. In epoca repubblicana non
esistevano istituti che registrassero le nascite; durante l’impero si impose l’obbligo di effettuare la professio dei figli
legittimi alla pubblica autorità e poi anche degli illegittimi. Anche la morte era accertata con qualsiasi mezzo.
Oggi la persona fisica è fornita di capacità giuridica che è l’idoneità di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri. Nel
mondo romano la capacità giuridica non era riconosciuta a tutti gli uomini, infatti gli schiavi erano considerati res. Per avere
la capacità giuridica il soggetto doveva essere libero, cioè godere dello status libertatis , doveva essere cittadino, cioè
godere dello status civitatis, e non soggetto alla patria potestas, cioè godere dello status familiae.
Il diritto romano non dà una definizione della capacità giuridica, ma la utilizza.. Gaio nelle istituzioni parla di capitis
deminutio come prioris status mutatio (cambiamento del precedente status), ma per Talamanca questa definizione è
troppo generica, poiché non ogni cambiamento di status determina la capitis deminuzio, i cui effetti fondamentali sono: la
recisione dei vincoli agnatizi , con cui si eliminano tutti i vincoli con la famiglia d’origine e i relativi rapporti; e la
trasmissione del patrimonio da un soggetto ad un altro.
Gaio distinse:
Capitis deminutio maxima: che comporta la perdita della libertas, ma anche della cittadinanza;
1. Capitis deminutio media: che comporta la perdita della civitas;
2. Capitis deminutio minima che comporta la perdita dello status familiae.
3.
STATUS LIBERTATIS E SCHIAVITU’
Il fenomeno della schiavitù era conosciuto in tutti i popoli antichi; a Roma lo schiavo era considerato come res ed il padrone
era detto dominus. Alle origini la schiavitù era patriarcale, non vi era una netta separazione tra liberi e schiavi, in
particolare tra filii familias e schiavi nei confronti del pater. La situazione cambiò profondamente nel 3° secolo a.C. con lo
sviluppo dell’economia e della società, poiché la schiavitù divenne essenziale come forza lavoro nello sfruttamento delle
grandi proprietà fondiarie. Le condizioni di vita degli schiavi addetti ai lavori agricoli erano pessime; migliori erano
sicuramente quelle degli schiavi urbani, destinati al servizio domestico.
Sul piano del diritto privato lo schiavo è sempre una res, sul piano del diritto civile era considerato come essere umano solo in
relazione ai vantaggi verso il proprietario. Il dominus, avendo piena disponibilità giuridica e materiale, poteva trattarlo
come voleva sino ad ucciderlo. Nel principato invece vi erano sanzioni penali per l’uccisione dello schiavo senza ragione. Se,
però, il dominus veniva trovato assassinato, gli schiavi erano sottoposti a quaestio (interrogatorio sotto tortura) e messi a
morte, se non avessero provato la loro innocenza.
L’ATTIVITA’ GIURIDICAMENTE RILEVANTE DELLO SCHIAVO
Essendo una res, lo schiavo non aveva capacità giuridica di diritto privato. La relazione sessuale tra schiavi (contubernium)
durava per volontà dei padroni; la parentela tra schiavi (cognatio naturalis) era giuridicamente irrilevante; sul piano
patrimoniale l’incapacità dello schiavo era totale. Lo schiavo poteva solo migliorare la posizione del dominus: se da un atto
dello schiavo potevano sorgere effetti favorevoli o sfavorevoli per il proprietario, si verificavano solo gli effetti favorevoli
(negozio claudicante) .
CAUSE DELLA SCHIAVITU’
Le principali cause di schiavitù erano la nascita da madre schiava e la prigionia di guerra. Nel primo caso chi nasceva da
madre schiava era schiavo dello stesso padrone. Nel periodo tardo classico si ammise che il figlio nascesse libero se la madre dal
concepimento ala nascita fosse stata libera per un periodo. Per quanto riguarda la prigionia di guerra, secondo il IUS
BELLI, tutta la popolazione nemica poteva essere ridotta in schiavitù o messa a morte. L’ordinamento romano ammetteva,
in base allo IUS GENTIUM, che il cittadino romano caduto in prigionia del nemico era in IUSTA SERVITUS. Per la
capitis deminutio maxima , il soggetto perdeva la capacità giuridica e i beni divenivano res nullius. I romani crearono
però l’istituto del postliminium, cioè se il CAPTIVUS tornava in patria, tornava libero e riacquistava tutti i suoi diritti.
Se però il captivus fosse morto in prigionia si avevano le conseguenze della CAPITIS DEMINUZIO MAXIMA. Nell’80
a.C. fu creata la LEX CORNELIA che stabilì che il testamento del captivus fosse valido in quanto doveva considerarsi morto
quando venne fatto prigioniero e quindi era ancora libero (FICTIO LEGIS CORNELIAE) e quindi si apriva la successione.
Le altre cause di schiavitù avevano carattere sanzionatorio. Le XII Tavole prevedevano la vendita TRANS TIBERIM del
debitore inadempiente, dell’INCENSUS e dell’INFREQUENS. Inoltre una donna che avesse una relazione sessuale con un
servo altrui diventava schiava del proprietario dello schiavo se non la interrompesse dopo 3 denunce.
L’ACQUISTO DELLA LIBERTA’ E LE MANOMISSIONI
La MANUMISSIO era un atto del proprietario che permetteva di rendere libero lo schiavo, che acquistava la libertas ex
iure quiritium, quindi la libertà e la cittadinanza. Può essere:
MANUMISSIO VINDICTA che originariamente era un’applicazione IN IURE CESSIO in cui l’adsertor
1. (liberatore) pronuncia la VINDICATIO IN LIBERTATEM. Con la fine della res publica il proprietario pronuncia
la formula liberatoria. È comunque un ACTUS LEGITIMUS.
MANUMISSIO TESTAMENTO che libera lo schiavo dopo la morte del proprietario, qquindi è una disposizione
2. testamentaria a forma vincolata, può essere sottoposta a termine iniziale e condizione sospensiva.
MANUMISSIO CENSU è l’iscrizione dello schiavo come libero e cittadino nelle liste del censimento ogni 5 anni.
3. L’iscrizione (PROFESSIO)era effettuata dallo schiavo ed era efficace se autorizzata dal proprietario.
Successivamente vennero ammesse anche manifestazioni non solenni di volontà di manomettere, come la MANUMISSIO
PER EPISTULAM (dichiarazione scritta); INTER AMICOS (davanti a testimoni); PER MENSAE ADMIBITIONEM
(durante un banchetto).
La LEX FUFIA CANINA fissava un limite in proporzione al numero di schiavi posseduto (massimo 100 per chi ne avesse
500); la LEX AELIA SENTIA 4 d.C. vietavale manomissioni di schiavi inferiori ai 30 anni o da un proprietario inferiore ai
20. Gli schiavi che avevano subito pene infamanti non acquistavano la cittadinanza romana se manomessi, ma diventavano
PEREGRINI NULLIUS CIVITATIS, i DEDITCII AELIANI , e se tornavano a Roma ridiventavano SERVI
PUBLICI. Con Diocleziano si sviluppò l’acquisto della proprietà per usucapione; con il Cristianesimo religione di stato,
venne data libertà allo schiavo in stato monacale.
I LIBERTI
lo schiavo manomesso acquista lo STATUS LIBERTATIS, ma diventa LIBERTO, non ingenuo e quindi ha particolari
incapacità e doveri verso il patrono, il proprietario che lo ha manomesso. Per quanto riguarda le incapacità: nell’età
repubblicana, al liberto è vietato l’accesso alle cariche pubbliche, nell’impero acquistano diritti ma non possono accedere
all’ORDO SENATORIUS. Non potevano contrarre matrimonio con i membri del senato; non potevano citare in giudizio il
patrono; se il liberto moriva senza figli metà del patrimonio era concesso al patrono.
CONDIZIONI PARASERVILI E ALTRE CAUSE MINORATRICI DI CAPACITA’ GIURIDICA
Nel diritto romano vi erano altre situazioni di limitazione della capacità giuridica. Ad esempio le persone in MANCIPIO,
cioè discendenti soggetti alla patria potestas del paterfamilias che li aveva trasferiti ad un altro pater con la mancipatio.
Mantenevano la libertà, la cittadinanza e la capacità giuridica, ma sul piano dei rapporti patrimoniali avevano una
condizione simile a quella degli schiavi. Altre situazioni simili si hanno per gli addicti (debitori inadempienti), per i nexi
(debitori inadempienti che si consegnavano al creditore come pegno del loro debito); auctoratus (gladiatore obbligato a prestare
la propria opera fino alla morte). Particolare importanza avevano i coloni , che erano soggetti legati alla terra che coltivavano
senza poterla abbandonare; infatti avevano lo scopo di assicurare forza lavoro necessaria alla coltivazione, nell’interesse del
fisco. Dovevano versare al signore un canone, in natura o in denaro. La condizione si acquistava per nascita da madre colona.
Se più signori avevano aspettative su figli nati da due coloni, vi era la divisione della prole. L’unico modo per liberare il
colono era concedergli in proprietà il fondo coltivato. Il colono poteva contrarre matrimonio e avere figli legittimi.
STATUS CIVITATIS: ACQUISTO E PERDITA DELLA CITTADINANZA
In rapporto allo status civitatis sono stati creati il conubium e il commercium, che permettevano agli stranieri di compiere atti
nell’ordinamento romano. Il conubium permetteva di contrarre matrimonio tra soggetti di civitates diverse, senza
cambiamenti nello status civitatis. Un romano poteva sposare una straniera con il conubium e generare figli legittimi, cives
romani, senza che lei acquisisse la cittadinanza del marito. Il commercium permetteva allo straniero di compiere gesta per aes
et libram, non semplicemente ad esercitare scambi economici. L’acquisto della cittadinanza avveniva per nascita: nel
matrimonio è cittadino roma