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Interpretazioni sul testo giuridico
In un testo del giurista infatti il Kniep ritiene che alcune espressioni (sed hocconfestim non ex intervallo e non ex intervallo,sed ex continenti ) siano frutto diaggiunte giustinianee,senza le quali si desumerebbe una piena possibilità di espellerearmis chi ci aveva armis deiectio.Ubbelohde invece ritiene che il testo sia stato solo parzialmente interpolato,con lafrase “ex continenti” di provenienza Ulpianea (il resto invece era interpolato).Quindinon generale,ma particolare era l’applicazione della exceptio,limitata appunto al casosostenuto da Keller,sparendo poi perché ritenuta superflua (non si consideravadeicere la lotta armis per difendere il possesso).Cita anche Giuliano,e Ulpiano cometesti a sostegno.7Analizzando i testi (riportatici da Giustiniano in particolare Iul. 48 Dig.) si vede comeGiuliano dica che chi riprende con la forza il possesso strappatogli con la forzadurante la lotta(in ipso congressu) non possiede vi,quindi se taluno viene
espulso, poi riprende il possesso, e poi è nuovamente riespulso, può usare l'interdetto. È conciliabile questo con il regime classico da noi conosciuto? Pare di no dato che vi è la possibilità grazie all'exceptio vitiosae possessionis di una riespulsione impune immediata. Ossia se chi recupera il possesso con la forza, non possiede vi solo nell'ipotesi che il tutto avvenga ipso congressu si arriverebbe al paradosso: se A espelle B possessore, e a sua volta B espelle A ma non subito (ipso congressu), nel caso in cui fosse esperito l'interdetto non potrebbe far nulla data la exceptio vitiosaepossessionis; ma se A riespelle ancora B con violenza in ipso congressu, B non può tutelarsi e dovrebbe essere considerato possessore vizioso. Lo schema cioè dovrebbe essere considerato come avente una separazione tra la prima espulsione e le altre due considerate insieme, e sarebbe appunto un paradosso per l'età classica.realtàrecuperare con la forza il possesso tolto con la forza deve essere sempre nell’ambito di un in pristinam causa reverti,e non deve servire a possedere abusivamente con la forza.Ma se ci mettiamo nell’ottica giustinianea tutti i problemi si risolvono,la exceptiovitiosae possessionis è sparita,e vi è solo la possibilità di difendere il proprio possesso,ecco perché si parla di lotta in prosecuzione.Altra cosa importante è chiarire quanto da taluni studiosi sostenuto per il fr. 17.Si è detto che chi espelle l’invasore non faccia deiectio,ma in realtà ciò è vero solo in epoca giustinianea,mentre per l’epoca classica no,in quanto ci può essere deiectio,ma senza possessione vi, quindi una deiectio operata impune.Quindi la deiectio impune di epoca classica in Giustiniano si può avere solo negandola deiectio.In definitiva non possiamo che dedurre che in ipso congressu è frutto diaggiuntaGiustinianea.8Tornando ora al fr. 3.9 e alle frasi "sed hoc confestim, non ex intervallo" e "non ex intervallo, sed ex continenti", Ubbelhode sostiene che è concetto analogo al fr. 17 e quindi a suo sostegno. Ma essendo Giustiniano e non Giuliano come ritiene lui l'autore delle frasi, la tesi non fa che segnare un autogol. Del resto come si può ritenere solo la parte ex confestim originale e le altre interpolate (per sua stessa ammissione)? Allora la ricostruzione del testo, non deve essere quella data dallo Kniep, pur se è da considerare corretta la tesi delle interpolazioni. In realtà nel testo Ulpiano dice che il possessore non solo può resistere, ma anche espellere armis chi armis è venuto, e quindi riespellere impunemente chi avesse effettuato la deiectio. Anche in questo caso il riferimento è al requisito delle armi e quindi in questo caso se il possessore fosse stato convenuto con l'interdetto de viamata si.situazione di violenza armata. Tuttavia, è importante notare che l'exceptio non era applicabile a tutti i casi di violenza, ma solo a quelli in cui l'individuo si fosse presentato armato di armi. Pertanto, la portata effettiva dell'exceptio dipendeva dalla specifica situazione in cui si verificava. È interessante notare che questa eccezione non era inclusa nel testo dell'interdetto in modo stabile, ma doveva essere considerata caso per caso quando si presentava la circostanza. In conclusione, possiamo affermare che l'exceptio in questione non aveva una portata generalissima, ma si applicava solo in determinati casi di violenza armata.- exceptio vitiosae possessionis.
10In conclusione dunque possiamo affermare che anche nell’ipotesi di interdetto de vi armata vi era un caso nel quale poteva essere compiuta una deiectio impune, solo nell’ipotesi in cui la deiectio fosse stata compiuta nei confronti del possessore e con l’uso delle armi.
Quindi anche in riferimento del de vi armata abbiamo :
- Casi di espulsione violenta da un immobile che non erano deiectio
- Casi che erano deiectio e davano luogo al de vi armata
- Casi di deiectio armis operata impune.
Capitolo 2
Possessio e usufructus nell’epoca ciceroniana
- In epoca classica sappiamo che l’usufruttuario non viene considerato possessore e questo ci viene attestato tra gli altri anche da Gaio.
Viene invece considerato il rapporto dell’usufruttuario con la cosa come naturalis possessio, o mera detenzione.
E’ vero che non mancano fonti che parlano di possessio dell’usufruttuario, ma sono di epoca postclassica quando
già mancava il rigore tecnico dell'epoca classica orimaneggiati dai giustinianei. In tale epoca infatti i poteri dell'usufruttuario vengono ampliati dai giustinianei. Che ampiezza poi i giustinianei davano a questi poteri, o quali fossero, a noi non importa, sappiamo solo che esse non valgono per il periodo classico dove l'usufruttuario assolutamente non possiede. Il problema invece sorge per l'epoca antecedente, cioè l'età in cui scrive Cicerone. In particolare Keller avanzò l'ipotesi che in tale epoca l'usufruttuario fosse possessore assieme al dominus, basandosi sul passo 32.94 dell'orazione Pro Caecina, (Cesenniam possedesse propter usum fructum non negas) considerando la tutela interdettale di questi casi come sopravvivenza di questa antica concezione. A questo autore si richiamano Kniep e Dernburg: il primo intendendo il riferimento di Cicerone come riferentesi ad un possesso esclusivo, il secondo affermando che al tempo.Della repubblica era riconosciuto il possesso all'usufruttuario. Altri poi si aggiungono, sempre riferendosi al testo di Cicerone, aggiungendosi anche il Lauria che amplia i riferimenti. Egli afferma che in epoca repubblicana si ha la tutela del possesso riconosciuto gli suonomine per mezzo degli interdetti, mentre i giuristi imperiali che nedisconoscerebbero il possesso gli conserverebbero comunque il possesso. Ma qui l'interdetto non tutela il possesso come è già chiaramente spiegato in vaticana fr. 91, ma è introdotto proprio perché non applicabile quello possessorio. Lauria si occupa anche del problema del servus fructuarius, ma cmq sia non si trovano ad avviso di Nicosia altre tesi accettabili se non Pro Caec. 32.94.3. Da questo possiamo vedere come la dottrina tradizionale abbia sempre ritenuto tale passo solo come una ingombrante storpiatura, di fatto ignorando qualsiasi significato potesse avere. Alcuni sostenendo che non è da considerarsi come uno scritto.
tecnico, con una terminologia rigorosa, provenendo da Cicerone, il quale era un retore e non giurista. Qui voleva solo sostenere la relazione di fatto tra l'usufruttuario e il fondo. Altri invece sostengono che Cicerone si esprima da avvocato, così furbo che vuole sfruttare l'affermazione dell'avversario che Cesennia ha la materiale disponibilità del fondo e quindi si mantiene nel vago appositamente quando parla del possesso che in realtà era solo detenzione della cosa in quanto usufruttuaria. Nicosia però si chiede quali siano gli argomenti per sostenere la tesi che Cicerone si esprima in senso atecnico. Intanto constata come altrove sia perfettamente padrone della terminologia giuridica, e poi considera che anche se qui fosse involontariamente impreciso questo farebbe presupporre che in età repubblicana vigesse una certa confusione fuori dagli addetti ai lavori e anche tra questi circa il fatto che l'usufruttuario non fosse possessore. Anche considerandoInvece la opposta tesi (la tecnicità di Cicerone), cioè che il retoresi fosse così espresso solo per portare punti a favore della sua tesi, non possiamo essere d'accordo se partiamo dal presupposto che Cicerone si esprima tecnicamente. In realtà manca un riscontro testuale preciso a favore di queste tesi, e quindi sia opportuno cercare prove per comprendere il reale significato del passo, anche considerando il contesto in cui è inserita.
IL CASO
I protagonisti del caso sono Aulo Cecina, secondo marito di Cesennia e suo erede, e Sesto Ebuzio. L'oggetto di tale controversia era un fondo chiamato Fulciniano, confinante con un altro fondo di Cesennia, che era stato ricevuto in eredità dal primo marito, escluso l'usufrutto lasciato al figlio. Morto il figlio e messi all'asta i beni in sua proprietà, Cesennia vede l'occasione per rientrare in possesso dell'antico bene, e così incarica di comprarlo ad Ebuzio. Egli esegue.
L'incarico figurando in prima persona, a lui è fatta l'addictio, e sempre lui promette la pecunia all'argentario, ma in realtà ci dice Cicerone, era Cesennia coleiche aveva comprato. Cesennia a questo punto si risposa, con Cecina, e muore 4 anni dopo così disponendo nel testamento: il marito Cecina prende i 69/72 dell'asse, un liberto del primo marito 2/72, e Ebuzio 1/72 in riconoscimento dei servigi prestati. Ebuzio scontento allora prima contesta la capacità di Cecina di essere erede, e poi sostiene che il fondo Fulciniano non è da considerarsi parte dell'asse ereditario avendolo egli preso per sé. Cicerone chiede come mai allora per ben 4 anni a Cesennia era permesso di avere il fondo se questo in realtà gli apparteneva? Ebuzio si difende dicendo che il terreno veniva dai beni di Fulcinio e quindi a Cesennia ne spettava l'usufrutto. Si era allora pensato di usare un procedimento simbolico (vis ac deductio moribus).