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LA CONQUISTA NORMANNA DELL’ITALIA MERIDIONALE

L’Italia meridionale tra X e XI secolo appariva caratterizzata da una forte frammentazione politica.

All’interno di quello che rimaneva del ducato longobardo di Benevento si erano sviluppate due entità

autonome, il principato di Salerno e la contea di Capua. Il superstite dominio bizantino si limitava ormai alla

Puglia e alla Calabria. Le maggiori città campane (Gaeta, Napoli, Sorrento, Amalfi) si erano rese largamente

autonome e a capo di piccole contee.

La Sicilia, in mano agli arabi da più di un secolo, soffriva delle crescenti lotte di fazione che dividevano

profondamente i dominatori musulmani.

In un contesto così frammentato, giunsero all’inizio dell’XI secolo dal ducato di Normandia numerosi

cavalieri mercenari chiamati dai principi longobardi e bizantini in lotta tra loro.

Nel giro di pochi decenni alcuni avventurieri normanni riuscirono a costruire piccoli domini quale

ricompensa per i servizi militari prestati.

Il loro insediamento nella rete dei poteri locali trasformò i mercenari normanni in signori territoriali.

Dopo aver prestato omaggio all’imperatore e avere provocato la reazione del papa, i capi normanni

strinsero con Niccolò II a Melfi nel 1059 un importante accordo che, in cambio della sottomissione feudale

al papato, conferiva a Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, il titolo di duca di Puglia e Calabria, in parte da

conquistare, e l’avallo alla conquista della Sicilia musulmana.

L’accordo di Melfi garantiva al papato un prezioso alleato nello scenario mediterraneo. A sua volta, come

vassallo del papa, Roberto il Guiscardo assicurava un’altissima legittimazione al proprio dominio.

Sotto la sua guida i normanni occuparono la quasi totalità dell’Italia meridionale, conquistando la Calabria

nel 1060 e la Puglia nel 1071.

La sua azione mise fine alle presenze longobarde e bizantine in Italia.

Roberto il Guiscardo morì nel 1085 in una spedizione contro la Grecia bizantina.

Il fratello Ruggero d’Altavilla avviò, nel 1061, la conquista della Sicilia che però si prolungò di un trentennio,

fino al 1091, scontrandosi con la resistenza delle popolazioni locali.

A differenza della conquista dell’Inghilterra, la conquista normanna del Mezzogiorno italiano dovette dare

luogo alla costruzione di una nuova monarchia.

Fu il figlio di Ruggero d’Altavilla, Ruggero II, a riunificare i diversi principati normanni, raccogliendo l’eredità

dell’ultimo duca di Puglia e Calabria.

Schierandosi con l’antipapa Anacleto II, antagonista del papa legittimo Innocenzo II, Ruggero ottenne da

Anacleto II, nel 1130, il titolo di re di Sicilia, unendo il Ducato di Puglia e la Contea di Sicilia.

Ruggero seppe regnare con saggezza, valorizzando le diversità culturali dei popoli del regno (fino 1154).

L’ORGANIZZAZIONE DEL REGNO

Il regno normanno nell’Italia meridionale di fondava su una solida organizzazione feudale e capace di

esercitare un deciso controllo sui baroni (il più basso dei titoli feudali), e si affidava a una struttura

burocratica ereditata dai musulmani e dai bizantini.

Ruggero II rafforzò gli uffici centrali e impiego appositi uffici periferici per controllare le realtà locali,

riscuotere le imposte e amministrare la giustizia. Al vertice istituì una curia feudale, composta da ministri e

consiglieri con competenze specializzate.

Intorno al 1150 fece anche stilare l’elenco dei benefici e dei diritti dei baroni del regno, il Catalogo dei

baroni.

Tuttavia, il controllo della feudalità e il contenimento degli sviluppi urbani, che ne mortificò le autonomie

accentuandone le differenze rispetto ai coevi sviluppi delle città comunali del centro-nord, accrebbero

tensioni che esplosero in aperte rivolte da parte dei baroni e delle città dopo la morte di Ruggero II. Queste

rivolte vennero fronteggiate dal suo successore Guglielmo I (re di Sicilia dal 1154 al 1166) per mezzo di

decise repressioni e di parziali concessioni alle rivendicazioni degli insorti > il Malo.

Alla morte di Guglielmo II (re di Sicilia dal 1166 al 1189), senza eredi maschi, la corona passo a Costanza,

figlia di Ruggero II, che avendo sposato nel 1186 l’erede al trono imperiale Enrico degli Hohenstaufen, poi

Enrico VI, portò in dote il Regno di Sicilia alla dinastia sveva.

Alla morte del conte di Lecce Tancredi d’Altavilla che i baroni siciliani avevano eletto re, Enrico VI si

impadronì del regno nel 1195, reprimendo duramente la rivolta dei nobili, e procedendo all’annientamento

del gruppo dirigente normanno che si era affermato intorno alla monarchia.

GOFFREDO MALATERRA, LE GESTA DI RUGGERO CONTE DI CALABRIA E SICILIA

Goffredo Malaterra, un monaco benedettino che scrisse una cronaca sull’origine dei Normanni in Italia,

parla in questo brano della famiglia normanna degli Altavilla.

Il Tancredi di cui qui si parla è Tancredi d’Altavilla, capostipite della dinastia degli Altavilla. Tancredi ebbe

due spose, Moriella, da cui ebbe 5 figli maschi, e Frensenda, dalla quale ne ebbe 7.

Tra i figli avuti da Frensenda si annoverano: Roberto detto il Guiscardo, poi Duca di Puglia e Calabria

(1059), e Ruggero, poi conte di Calabria e Sicilia (1091).

I figli di Tancredi e delle sue spose, giunti all’adolescenza, si dedicarono alle discipline guerresche, al fine di

diventare milites, cavalieri. Infatti, l’alta nobiltà, l’aristocrazia non era più ben definita ma stava diventando

un gruppo aperto. Chiunque riuscisse a procurarsi armi, cavallo ed addestramento aveva un’opportunità di

riuscire ad entrare nella cerchia della nobiltà (figli di mercanti). Inoltre, erano gli stessi vescovi che talvolta

fornivano le risorse per crescere nuovi cavalieri,in quanto avevano bisogno di clientele armate. La

genealogia non era più importante, lo era l’addestramento.

Tuttavia, ben presto realizzarono che i beni che prima erano stati di uno solo, divisi tra molti, in eredità,

non sarebbero bastati a nessuno per mantenere lo stile di vita a cui erano abituati.

Decisero così di andare a cercare guadagno militare in Italia meridionale come soldati mercenari. Dapprima

giunsero in Puglia, ma sentendo che si era aperta una accesa disputa tra due principi, quello di Capua e

quello di Salerno, si offrirono al capuano per guadagnare con le armi. Si accorsero ben presto però

dell’avarizia di quest’ultimo e passarono sotto il principe salernitano, che li rese fedeli con molti donativi, e

riuscirono a pacificare la zona.

ROBERT LE MOINE, STORIA GEROSOLIMITANA (1107)- RIPORTA IL DISCORSO DI PAPA URBANO II AL

CONCILIO DI CLERMONT DEL 1095.

Robert le Moine fu un monaco benedettino che fornì una cronaca della prima crociata. Partecipò al Concilio

di Clermont del 1095 durante il quale il papa Urbano II tenne un discorso di chiamata alle armi per la prima

crociata.

Non partecipò alla crociata e non si recò mai in Oriente. Il suo racconto si basa ed è elaborazione di una

cronaca normanna sulla prima crociata, i Gesta francorum, scritta da un anonimo, che Robert integra con

testimonianze di altri partecipanti. L’opera di Robert le Moine ebbe una grande diffusione ed è ritenuta

molto importante per analizzare come un contemporaneo colto interpretasse la crociata. Il suo testo,

sebbene storicamente pregnante, è ritenuto per certi versi troppo drammatico, caratterizzato da

un’esagerazione retorica che però è tipica di questo tipo di documenti.

Scrive poco tempo dopo la partenza dei crociati.

Il racconto riferito del discorso di Urbano II al Concilio di Clermont potrebbe anche essere non interamente

vero in quanto Robert non era presente ma riporta quello che altri gli riferiscono; in altri documenti le

parole di Urbano II sono differenti.

Il brano si apre con una esortazione ai Franchi: “Popolo dei Franchi, ..., eletto ed amato da Dio (...) per

l’osservanza della fede cattolica e per l’onore prestato alla Santa Chiesa (...)”.

L’appello dunque non si rivolge a tutta la cristianità ma solo al popolo dei Franchi, che comprendeva il

territorio della Francia, la parte germanica e tutta l’area di cultura, tradizione militare, politica franca.

Il brano prosegue con: “Vogliamo che voi sappiate quale lugubre motivo ci abbia condotto nelle vostre

terre”, facendo riferimento ai turchi Selgiuchidi, famosi per l’estrema crudeltà. Pare che Alessio I,

imperatore bizantino, avesse richiesto aiuto presso Urbano II perché sotto espansione e conquista dei

Turchi dall’Anatolia.

Si fa poi riferimento nel brano alle varie torture, profanazioni dei luoghi di culto e stragi che “i Persiani”,

ovvero i turchi Selgiuchidi, perpetravano nell’Impero bizantino e in Terra santa > regno dei Greci.

Spetta ai Franchi riscattare il Regno dei Greci perché a loro più che alle altre genti sono state concesse da

Dio la gloria nelle armi, la grandezza d’animo, l’agilità di membra e la potenza d’umiliare; questi sono i

valori a cui si fa riferimento per mobilitare i Franchi, non tanto ecclesiastici ma militari, all’azione.

Il brano continua con una rilettura della storia franca, citando antenati come Carlo Magno e i Pipinidi in

generale, i quali si erano impegnati a difendere ed espandere la cristianità a discapito dei pagani. Si fa

dunque un appello alla memoria storica dei Franchi.

Dopo di che è il tempo di un accorato invito ai soldati, tuttavia qui il termine risulta sbagliato perché coloro

a cui ci si sta rivolgento sono i milites. I milites, nel latino del XI secolo sono i cavalieri, la stessa categoria a

cui faceva riferimento Malaterra. Erano dunque combattenti a cavallo, grandi aristocratici ma anche

esponenti delle medie e piccole aristocrazie rurali e cittadine, legati alla cultura aristocratico-cavalleresca.

Si fa dunque un appello ad uno specifico ceto sociale.

Successivamente si fa riferimento alla gloria degli antenati e si esortano i milites ad essere all’altezza di

questa gloria, un valore prettamente aristocratico.

La crociata comportava anche un grande investimento per la cristianità; alcuni potevano addirittura

vendere i loro beni per finanziarla.

Successivamente, nel brano si fa riferimento agli odi e alle guerre intestine ma questa potrebbe essere una

interpretazione di Robert le Moine della società franca. Secondo il monaco le lotte intestine derivavano dal

fatto che nei c’era una sovrappopolazione e una mancanza di risorse tali da condurre a guerre gli uni contro

gli altri.

Secondo Robert, Urbano II cerca di rivolgere la violenza tipica della società verso l’esterno, riversare

l’energia militare, la ricerca di gloria nella lotta contro i pagani, gli infedeli per riconquistare i sacri luoghi

della fede.

Gerusalemme è descritta

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Publisher
A.A. 2017-2018
56 pagine
3 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lunardiangela di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di storia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Poloni Alma.