vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
ISTITUZIONI DI STORIA DELLA LINGUA ITALIANA
CANNATA LEZIONE 2 27 febbraio 2019
Per spiegare la storia della lingua bisogna capire cos’è una lingua, capire quale è
l’oggetto di studio.
Abbiamo definito insieme che uno dei tratti caratteristici è il fatto che una lingua risiede
nella comunità dei parlanti che la condividono, ciascuno di noi possiede questo
patrimonio culturale a modo suo, ne possiede una parte e il tutto, e lo usa in modo
individuale, creativo, unico. Perché esista una lingua occorre che esista una comunità di
parlanti che la riconosce come propria perché la lingua non esiste se non in quanto
strumento per natura sua condiviso, strumento sociale. Non tutti parliamo o scriviamo
nello stesso modo ma non si può dire che ci sia una categoria della popolazione che
possiede la lingua e una categoria che non la possiede. Nella nostra esperienza
quotidiana abbiamo la percezione che il possesso della lingua avviene in modo diverso.
Non tutti sappiamo lo stesso italiano anche se per tutti è la madrelingua.
Allora, da cosa è costituito l’italiano? Abbiamo discusso di quando comincia, come è
costituita, che relazione ha con il latino, ma ora dobbiamo adottare un’ottica più
scientifica.
E’ una lingua che deriva dal latino, che è essenziale all’esistenza e definizione
dell’italiano il quale condivide, insieme a molte lingue europee, con il latino una genesi,
un’origine che ne determina le strutture, un legame culturale assolutamente
indissolubile. Il latino non è soltanto l’origine, occupa un posto ancestrale insieme al
sanscrito e altre lingue, ma soprattutto è stata la lingua scritta, di cultura, di tutta
l’Europa fino al 1000-1100. In quest’epoca non c’è altra lingua scritta
La nascita delle lingue europee moderne avviene intorno al 400/500, momento in cui
l’affermazione delle moderne lingue europee è riconosciuta. Questo avviene sia per le
lingue che hanno uno stato, come il francese e l’inglese, che sono le lingue parlate nelle
corti, sia anche per lingue che non hanno questa condizione, come l’italiano, il cui Stato
nasce nel 1861. Per la Germania, 1871: una storia politica simile, l’unificazione dello stato
alla fine del 1800, ma il tedesco nasce con la pubblicazione della traduzione della Bibbia
di Lutero all’inizio del 500. Invece l’italiano - cioè non quando si inizia ad usare il volgare
– quando comincia? Nell’800 con Manzoni è una risposta a suo modo corretta perché è
quando l’italiano diventa – per come lo intendiamo noi oggi – lingua di insegnamento
elementare, si comincia una politica attiva di diffusione capillare. Manzoni è stato uno dei
principali artefici di questa politica, con i Promessi Sposi che sono stati adottati come
testo fondativo della lingua nella scuola, uno dei testi normativi. Prima di Manzoni? Nasce
con le grandi opere letterarie di Dante e Boccaccio? Forse li è stata fissata in queste
opere? 2
Ci sono due punti di vista. La lingua comincia nel 300 e riconosciamo questo inizio nelle
grandi opere letterarie di Dante, Petrarca e Boccaccio, questo è il sentire comune. In
questo caso sicuramente inizia l’italiano la cui storia è quella che noi intendiamo:
conosciamo una tradizione letteraria ben affermata che ha li le sue origini, e poi si
trasmette per imitazione e prestigio. Poi Ariosto, Machiavelli, Bembo, Marino, Alfieri,
Foscolo, Leopardi…
Ma quale era la lingua nativa di Ugo Foscolo? E’ nato a Zacinto/Zante, che però era
colonia veneziana. La sua mamma era greca, suo papà veneziano, e la sua prima lingua
era il “neo greco”, chiamato così per distinguerlo dal greco antico, come se noi
chiamassimo l’italiano il neo latino. La definizione stessa ci dà la percezione che quella è
considerata una lingua locale, inferiore, piccola: storicamente una lingua che non ha un
nome autonomo, non è una lingua dotata di prestigio culturale. E infatti la storia del
greco è interessante perché dà la percezione che le lingue non esistono ontologicamente,
cioè una lingua c’è se viene riconosciuta, se nella percezione comune esiste, altrimenti
non esiste. È questo un fatto che spesso non viene notato, cioè che l’oggetto lingua è
determinato dalla percezione sociale, in termine sincronici (oggi quale è l’italiano che è
riconosciuto come tale, e culturale, in termini sociali (oggi cosa intendiamo come
italiano).
Per italiano intendiamo quella lingua che noi conosciamo attestata dal 300 in poi, e
testimoniata sul piano della storia culturale dalle grandi opere e anche dal punto di vista
storico come lingua costruita su quelle strutture linguistiche, perché se leggessimo diari
dell’ambasciatore della repubblica di Venezia erano scritti in veneziano, anche esso
lingua di prestigio che certo noi oggi non chiameremmo italiano. In alcuni centri (per es.
Venezia, Friuli, Italia meridionale) i dialetti sono ancora molto vivi mentre nei grandi centri
urbani e nell’Italia centrale lo sono di meno, scivolano un pochino nel gergo.
Per definire l’italiano abbiamo la necessità di usare la parola “dialetto” e quando
proviamo a definirlo abbiamo identificato nella nostra percezione comune quella lingua
che parte da Dante. Ma non è che prima non fosse parlato.
Ugo Foscolo, uno degli autori a cavallo fra 700 e 800, romantico, patriota, grandissimo
padre della lingua italiana, l’italiano l’ha imparato a 16 anni. A Zacinto nella
comunicazione quotidiana parlava neo greco e veneziano, però quando Venezia ha perso
la Dalmazia, è tornato a Venezia, ha imparato insieme latino, greco e italiano che sono le
lingue che lui riteneva le lingue della sua patria, della sua tradizione culturale, le lingue
identitarie per lui. Dunque le lingue sono identitarie anche senza che tu le conosca.
Altro caso è il Manzoni, che per sua diretta ammissione, non sapeva per niente il
fiorentino. L’italiano per come lui ce lo ha insegnato, lui non lo conosceva. Parlava
francese con sua mamma (Giulia Beccaria, donna molto raffinata, con legami con Parigi)
e con suo padre (il conte Manzoni) parlava milanese. Non sapeva parlare ma sapeva
scrivere. Leggendo i suoi testi, si vede che lui usa delle odi per le quali è difficile di fare la
parafrasi. Le si capisce ma si consideri che capire “ei fu siccome immobile…” è molto più
difficile che “per me si va nella città dolente…”. 3
Intanto va detto che le lingue non procedono in maniera progressiva, dal difficile al facile,
ma vanno a giro, perché ogni lingua elabora i suoi modelli che non sono necessariamente
contemporanei. Capiamo molto meglio Dante che Machiavelli, che era sempre di Firenze
ma è vissuto 250 anni dopo, perché il modello linguistico di Dante è il nostro mentre la
lingua di Machiavelli è vicino al fiorentino contemporaneo, il cosiddetto “fiorentino
argenteo” per distinguerlo da quello “aureo”. Lui si fa un punto d’onore di ammodernare
la lingua che lui ha ereditato dalla tradizione.
Bembo ha fatto questo. È quel teorico che nel 1525 ha pubblicato un trattato le prose
della volgar lingua che ha funzionato come testo di riferimento grammaticale della lingua
fino a Manzoni. Dunque è uno di quelli che hanno contribuito in maniera sostanziale allo
standard della lingua letteraria.
Bembo diceva che l’italiano andava trattato come gli umanisti hanno trattato il latino:
hanno fatto rivivere la sua grandezza e la sua bellezza nel 400 scegliendo un paradigma
fondato sugli autori migliori: Cicerone per la prosa e Virgilio per la poesia. Seguendo quel
modello, si è sicuri di scrivere come si deve il neo latino, cioè il latino moderno. Il fatto
che l’eccellenza in letteratura si fondi sull’imitazione dei grandi modelli è un principio
dell’umanesimo e del rinascimento va esteso, secondo Bembo, anche al volgare e lui
fonda l’”umanesimo volgare” che è una contraddizione in termini perché l’umanesimo
disprezza il volgare. Quindi secondo Bembo se vogliamo che il volgare possa raggiungere
le vette del latino, dobbiamo fare la stessa cosa, cioè offrire un paradigma che possa
servire da modello per tutti gli scrittori. I modelli secondo Bembo sono due: Petrarca per
la poesia e Boccaccio per la prosa. La loro è la lingua da seguire. Nel primo libro del suo
trattato dice che la lingua volgare nasce come evoluzione del latino, contrariamente a
quello che diceva Dante e alcuni suoi contemporanei ancora credevano e perciò è la
decadenza del latino e non ne ha il livello culturale. Il secondo libro identifica i due
modelli. Nel terzo elenca le forme che sono accettabili e quelle che non le sono. Dunque
Bembo fonda l’umanesimo volgare ma anche quello che noi chiamiamo lo standard.
Bembo era veneziano e non sapeva il fiorentino. Lui era nobile di Venezia e il veneziano
era la lingua di comunicazione primaria per lui, ma aveva anche molto girato, era
cardinale, era stato a Roma e le prime cose che scrive sono in prosa strettamente
boccacciana ma di assai difficile comprensione perché si vede proprio la fatica di scrivere
in una lingua straniera. Come se noi scrivessimo un romanzo in inglese perché abbia
circolazione in tutto il mondo. Bembo neanche parla di “italiano” ma di “volgare lingua”.
Dunque siamo arrivati a dire che identifichiamo l’italiano come una lingua di tradizione
letteraria che ha origine con Dante e assestamento definitivo in epoca contemporanea
con Manzoni. Quindi ogni lingua o disciplina è legata, prende la forma della lente
attraverso la quale la guardiamo. La storia di una disciplina inevitabilmente definisce
l’oggetto di studio.
Quando parliamo di italiano, dobbiamo introdurre i termini: latino, dialetto, volgare.
Altrimenti non si può dire cosa sia l’italiano. 4
In Italia si parlano anche i dialetti (l’ISTAT dice che il 25-27% degli italiani usa ancora il
dialetto nelle comunicazioni private. I dialetti si dividono in tre grandi aree, grosso modo
settentrionale, centrale e meridionale, con poi molte differenze interne).
Alcuni dei grandi padri della lingua italiana dell’800 non avevano l’italiano come lingua
materna. Quindi parliamo di una lingua che si è affermata largamente grazie a persone
che la lingua non conoscevano.
Ariosto ha scritto forse l’opera che ha bellezza senza confini, che ha insegnato a leggere
e scrivere a mezzo mondo. Era di Ferrara: il ferrarese è un dialetto italo settentrionale,
che si situa al di là di quella che è conosciuta come “la linea g