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Riassunto esame Istituzioni di storia della lingua italiana, Prof. Cannata Nadia, libro consigliato Storia linguistica dell'Italia unita (Capitoli 2 e 3), Tullio De Mauro Pag. 1 Riassunto esame Istituzioni di storia della lingua italiana, Prof. Cannata Nadia, libro consigliato Storia linguistica dell'Italia unita (Capitoli 2 e 3), Tullio De Mauro Pag. 2
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La diacronia dell'Italiano dal '300 all'800

Una caratteristica della diacronia dell'Italiano dal '300 all'800 è la sua staticità, causata dalla tradizione prevalentemente scritta. Le sole innovazioni fonologiche sono state in rapporto alla grafia, e le innovazioni lessicali e morfologiche sono derivate dal latino, in quanto lingua di cultura al pari dell'italiano.

Un'altra caratteristica che deriva dall'uso scritto dell'italiano è la ridondanza morfologica e lessicale, ovvero la presenza massiccia di sinonimi e diverse forme flessionali (fo, faccio, vo, vado, etc.). Da qui l'impressionante ipertrofia fraseologica: per esprimere lo stesso concetto si usano molte frasi diverse.

Il fatto che l'italiano non fosse parlato dal popolo ha anche portato ad una grande carenza di termini che si riferiscono alla vita quotidiana e ai mestieri; quindi, era definita dagli intellettuali "arida" o "morta". Per questo i dialetti prosperavano e si.

Mantenevano vitali, andando a sopperire alla mancanza lessicale con termini dialettali. - I dialetti avevano uno status sociale, dato che erano usati indifferentemente dal popolo e dai ceti alti, dai letterati e dalla chiesa. Anche Vittorio Emanuele lo usava coi ministri. Alle soglie dell'unità il dialetto stava per soppiantare l'Italiano anche nell'uso scritto, grazie alla nascita di tradizioni letterarie dialettali ad opera di intellettuali illustri. La lingua italiana non era alla portata di tutti, ma andava conquistata con studi e applicazione, un privilegio che in pochi potevano permettersi.

Nello studio dell'istituzione scolastica bisogna distinguere tra la storia e i problemi della scuola elementare e quelli della scuola media e superiore. - La scuola media superiore fu introdotta solo con la dominazione napoleonica e resistette solo in Piemonte e nel Lombardo-veneto grazie agli sforzi della borghesia.

Altrove le classi dirigenti si sforzarono di reprimere l'istruzione popolare. Come conseguenza, al momento dell'unificazione quasi l'80% della popolazione era analfabeta. Il restante 20% non conosceva perfettamente l'italiano (fatta eccezione per Roma e Firenze). Molti di loro sapevano appena 'disegnare' il loro nome e pochi sapevano leggere e scrivere. Per abbozzare una percentuale preunitaria ci si può basare sull'inchiesta di Corradini: molti maestri erano abituati a tenere le lezioni in dialetto, e la loro conoscenza dell'italiano era scarsa, come la loro preparazione generale e la disponibilità di materiale. L'inchiesta Matteucci fornisce informazioni sulle condizioni scolastiche postunitarie: la frequenza scolastica era molto bassa e le scuole non erano in grado si svolgere le loro funzioni per i motivi presenti nell'inchiesta Corradini. L'insegnamento dell'italiano, soprattutto nelle province, era

molto difficoltoso. - Solo in Toscana, grazie alla somiglianza col dialetto, la lingua nazionale era adoperata. La causa dell'inefficienza va ricercata nell'impreparazione dei maestri e nella carenza di strutture. Quindi l'alfabetismo di ritorno, per coloro che frequentavano solo le elementari, era un dato di fatto. Chi frequentava la scuola media e superiore era meno dell'1% della popolazione. Non è pensabile che tutte queste persone possedessero una competenza sufficiente dell'italiano, ma stime propendono per circa l'8 per mille della popolazione. - Fanno eccezione Roma e Toscana, con una percentuale maggiore: ai 160.000 italofoni di altre regioni, si aggiungono i 400.000 toscani e i 70.000 romani. - Alla fine, gli italofoni totali erano circa il 2,5%. Grazie agli sforzi politici e dei letterati l'italiano non era più una "lingua morta", ma il suo uso non era ancora spontaneo e non veniva ancora appreso nella socializzazione primaria.

Inoltre, poiché lo studio era prerogativa dei ceti alti, il possesso dell'italiano era un contrassegno sociale. La situazione linguistica dell'Italia unita era quindi il riflesso delle fratture tra regioni e classi sociali. 2.5 Programmi e prospettive I manzoniani proposero di diffondere l'italiano con l'impiego di maestri toscani da inviare in tutta Italia, ma non fu possibile. L'organizzazione scolastica non aveva pari intensità in tutte le regioni e in tutti gli strati sociali e l'istruzione obbligatoria non esisteva ancora. Inoltre, anche se la struttura scolastica fosse stata all'altezza, i dialetti avrebbero opposto resistenza alla diffusione del fiorentino moderno. Un altro fattore importante è rappresentato dal fatto che molti intellettuali italiani (Carducci, Settembrini) si scagliavano contro i manzoniani per ragioni di principio. Anche lo stesso Manzoni si rendeva conto della difficoltà di avere il centro.

linguistico del Paese a Firenze e quello politico a Roma, ammettendo così l'influenza di fattori extralinguistici e sociali. Gli studi dialettologici e linguistici portarono a superare la questione col riconoscimento che alla base di tutti i dialetti ci fosse il fiorentino trecentesco di Dante, integrato da apporti colti settentrionali e latini. Poi lo stile del romanzo di Manzoni era sì fiorentino, ma con influssi europei e colti (basta ricordare che Manzoni fosse milanese e con madre francese). In ogni caso la lingua italiana si sarebbe potuta diffondere solo con un cambiamento radicale nella mentalità della classe dirigente, rappresentato dall'unità politica.

CAPITOLO 3 - NUOVE CONDIZIONI LINGUISTICHE

3.1 Riflessi sociali e linguistici dell'unità

L'unificazione provocò la creazione di un apparato statale unitario. Di conseguenza, nei capoluoghi e nella capitale si creò un ceto dirigente regionale assai composito,

che corrisponde all'apice dell'emigrazione italiana, si stima che circa 600.000 persone all'anno lasciassero il paese in cerca di migliori opportunità di lavoro e di una vita migliore. L'emigrazione italiana ha avuto numerosi effetti sia sul paese di origine che sul paese di destinazione. In Italia, l'emigrazione ha contribuito a ridurre la pressione demografica e ha alleviato la povertà in alcune regioni. Tuttavia, ha anche causato la perdita di manodopera qualificata e ha creato un vuoto sociale ed economico. Nei paesi di destinazione, gli immigrati italiani hanno contribuito allo sviluppo economico e industriale. Molti italiani hanno trovato lavoro nelle fabbriche, nelle miniere e nelle industrie manifatturiere, contribuendo alla crescita economica di questi paesi. Tuttavia, gli immigrati italiani hanno anche affrontato numerose difficoltà e discriminazioni. Spesso erano sfruttati e costretti a lavorare in condizioni precarie e per salari bassi. Inoltre, dovevano affrontare la discriminazione e il pregiudizio da parte della popolazione locale. Nonostante le difficoltà, molti italiani sono riusciti a costruire una vita migliore per sé stessi e per le loro famiglie all'estero. Hanno contribuito alla cultura e alla società dei paesi di destinazione, mantenendo al contempo un forte legame con la loro patria d'origine. In conclusione, l'emigrazione italiana è stata un fenomeno di grande rilevanza nella storia del paese. Ha avuto numerosi effetti sia sul paese di origine che sul paese di destinazione, contribuendo allo sviluppo economico e sociale di entrambi.l'emigrazione definitiva incise soprattutto tra i maschi più giovani (10-30 anni), coloro in cui la lingua italiana era più diffusa, anche se sempre attraverso la scrittura. Ciò potrebbe far pensare che l'emigrazione abbia sfavorito la diffusione della lingua nazionale, perché avrebbe sottratto la parte di popolazione che la conosceva. In realtà l'emigrazione riguardo per la maggior parte regioni meridionali, dove il dialetto era più usato. - Su 100 settentrionali ne emigrarono definitivamente 17. - Su 100 meridionali ne emigrarono 38. Inoltre, la percentuale di analfabeti meridionali (dialettofoni) si mantenne quasi doppia rispetto a quella dei settentrionali. È importante anche considerare che la professione (di solito contadini con istruzione irrisoria) e il sesso degli emigrati (le donne che seguivano la famiglia avevano un livello culturale più basso degli uomini). - Si conclude che l'emigrazioneinteressò in gran parte analfabeti dialettofoni. Le conseguenze linguistiche dell'emigrazione si possono analizzare secondo tre fattori: - Il diradamento della popolazione - L'incremento delle entrate nazionali - La crescita intellettuale e culturale dell'immigrato L'emigrazione di analfabeti e dialettofoni portò ad un rapporto più favorevole tra essi e gli italofoni, rendendo più semplice il compito della scuola. Favorì inoltre la crescita dei salari nelle campagne e lo sconvolgimento delle vecchie e statiche comunità rurali. L'afflusso notevole di denaro da parte degli emigrati non poté far altro che favorire questi processi. Il fattore più importante è stato però l'accrescimento del livello di cultura dell'emigrato. - Tornava in patria istruito, poiché aveva la necessità di scrivere ai famigliari e tenere la contabilità dei propri risparmi. - La nuova

mentalità di cui era portavoce fece aumentare le iscrizioni e la frequenza alla scuola pubblica e privata. - I padri in America si rendevano conto che l'ignoranza fosse un handicap, per questo chiedevano ai figli rimasti a casa di istruirsi. In definitiva l'emigrazione portò non solo all'indebolimento dei dialetti, ma anche alla diffusione dell'istruzione e della lingua comune.

Conseguenze dell'industrializzazione:

Dall'unità in poi si assiste ad un deciso calo degli occupati dell'agricoltura, con un massiccio incremento di quelli occupati nell'industria e nei servizi. L'industrializzazione ha reso possibile la crescita dei redditi medi e la diminuzione degli orari di lavoro, consentendo alla popolazione più anziana di non lavorare e a quella più giovane di frequentare la scuola, aumentando anche il tempo libero e la capacità di consumo. L'agricoltura non offriva gli stessi redditi dell'industria,

dato che erano inferiori di quasi la metà.- La disparità si ingigantisce confrontando i redditi dei contadini meridionali con quelli degli addetti all'industria settentrionali. Questa situazione ha creato come conseguenza una massiccia migrazione interna dalle campagne ai centri industriali, soprattutto nel nord, cosa che ha portato al decadimento dei dialetti. Un altro importante fattore è stato l'immissione forzata nel lessico quotidiano di una serie di termini indicanti attrezzi, oggetti, utensili di uso comune e con identica denominazione valida per tutto il territorio nazionale, appoggiata anche dalla pubblicità. Questi termini, essendo per la maggior parte derivati da lingue straniere, hanno portato a un avvicinamento dell'italiano alle altre lingue europee e hanno avvicinato i dialetti all'italiano. 3.4 Urbanesimo e migrazioni interne L'urbanesimo ha interessato la situazione linguistica italiana per due aspetti: - Ha portato unavvicinamento di parlate differenti e ha indebolito i dialetti locali. - I centri in cui la lingua veniva direttamente propagata (teatri, cinema, scuola, ecc) erano favoriti in un ambiente.
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Publisher
A.A. 2022-2023
9 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher aeileen di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Cannata Nadia.