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Entrambi gli artisti hanno una preparazione che ha origine a Firenze, sono quasi contemporanei
e trattano degli stessi argomenti ma con diverse prospettive. Cennino è un pittore, Leon Battista
oltre ad essere un pittore è anche un intellettuale. Cennino descriveva le ricette per creare i colori
e le sostanze, Leon Battista ritiene ciò inutile, in quanto si impara con la pratica, egli piuttosto
scrive cos'è la pittura: linguaggio visivo con la stessa dignità del discorso. Inoltre Alberti fa del
denari un elemento centrale (e utile) anche nell'arte. Avendo vissuto la povertà e il dolore è
convinto che anche l'artista deve scendere a patti con la vita, facendosi commissionare opere a
pagamento. La sua vita sarà infatti costruttiva e piena in funzione della vita ben vissuta. Fa della
CULTURA un concetto che rispecchia l'essere vivi e il partecipare alla vita (concetti di
Umanesimo e Rinascimento), un'esigenza per "fare". L'idea si era espansa violentemente nella
Firenze Rinascimentale, in un progresso di persone che ragionano con entusiasmo vitale.
Filippo Brunelleschi
Filippo Brunelleschi non è autore di alcun trattato, ma scrive di lui il critico Manetti nel 1480.
Manetti cita brevemente la vita, e aggiunge lo svolgimento dei rapporti fra artisti di inimicizia e
rivalità (in primis con Ghiberti). L'elogio a Brunelleschi è soprattutto per la sua eccezionalità nel
trovare soluzioni che nessun'altro trovava ("dileggio dei più e stupore degli altri"). La sua
personalità è descritta come sdegnosa e isolata, nessuno lo comprendeva, e lui non voleva essere
aiutato da nessuno.
Brunelleschi è il destinatario del testo "De Pictura", in quanto il completamento della cupola di
Santa Maria del Fiore era immagine di entusiasmo. Nel libro I, Alberti accenna agli esprimente
eseguiti da Brunelleschi sui fasci di luce per l'esecuzione delle sue opere: inventava e costruiva
congegni visivi (scatole ottiche) per risolvere i problemi con le luci, e studiarne i fenomeni. Le
scatole ottiche (descritte nell' "Autobiografa" di Alberti), sono congegni all'interno dei quali è
possibile vedere un'immagine attraverso un foro, grazie a degli specchi posizionati in maniera
strategica. Questo è un esempio di come l'occhio è capace di vedere l'intera natura nella sua
ampiezza smisurata all'interno di uno spazio chiuso e ristretto come una scatola. Tutte le persone
esperte e non credevano di vedere un paesaggio reale all'interno della scatola, come se in realtà il
foro affacciasse sul paesaggio vero (notturno con le stelle o diurno con lo sviluppo di fenomeni
16 Agnese Nicolini
atmosferici); lo spettacolo era talmente bello che ingannava: dei navigatori vedendo nel foto
l'immagine di un paesaggio marino, riuscivano a fare pronostici su una tempesta che
probabilmente sarebbe arrivata a giudicare dal cielo, se solo questo non fosse dipinto, e dunque
non reale. Capacità smisurata nel dipingere il cielo e i fenomeni atmosferici in movimento
(sembrano veri da ingannare). Nella "Biografa" di Brunelleschi viene affermato che egli è lo
scopritore della prospettiva; descrizione di come le sue opere perfettamente prospettiche
venivano realizzate: su una piccola tavoletta in legno rappresenta ciò che vede fuori dall'interno
del battistero di Firenze, il tempio di San Giovanni, in tutta l'ampiezza del campo visivo (tutto
ciò che riusciva a vedere l'occhio stando fermo in un punto), seguendo la prospettiva Albertiana.
La tavoletta veniva bucata con un foro piccolissimo "dove lo sguardo mirava", cioè al centro
dell'immagine in modo che l'occhio potesse vedervi attraverso; davanti alla tavoletta veniva
messo uno specchio che rifettesse la pittura presente sulla tavoletta; Brunelleschi mettendosi
nello stesso punto in cui avevo dipinto il disegno e togliendo lo specchio da davanti all'occhio, la
differenza non esisteva tra l'immagine specchiata e la realtà. L'incredibile esperimento era dato
anche dallabilità con cui Brunelleschi ha dipinto il cielo: non azzurro ma "argento brunito". come
fosse uno specchio, in modo che le nuvole reali vi si specchiassero davvero e il cielo sembrasse
reale.
Lorenzo Ghiberti
Lorenzo Ghiberti è maggiormente conosciuto come uno scultore illustre da Firenze vissuto nel
Quattrocento, morto nel 1455. Nella vita era a capo di una bottega molto grande nella quale
lavoravano artisti illustri. Vive nella ricchezza e nella fama fno alla morte. Dedica la sua vita a
grandi attività quali il concorso (vinto poi da Brunelleschi) per la decorazione della porta del
battistero a Firenze, la decorazione di porte di altre chiese quali quella di San Michele, San
Giovanni Battista, San Matteo, composizione di alcune opere per Santa Maria del fore e lavori
di orefceria. Autore di alcuni trattati teorici (sente l'esigenza di render conto del suo lavoro),
Ghiberti non era analfabeta, ma del resto nemmeno uomo di cultura, in quanto non conosceva il
latino (a differenza di Alberti).
"I Commentari"
Manoscritto/memoriale incompleto e privo di ordine, trascritto in un manoscritto e reso famoso
nella seconda metà del Quattrocento a Firenze. Ne viene creata una versione integrale nel 1912
dallo studioso Schlosser, il quale dà anche il nome al testo. Si parla di commentari già dagli scritti
di Ghiberti. L'opera è in circolo a Firenze soprattutto nel Cinquecento; viene citata da Vasari
(1568) nella seconda edizione delle "Vite…". Il testo di Ghiberti è comunque signifcativo e
3 parti.
diffcile e si articola in
La storia delle arti e del loro sviluppo nell'epoca greca e romana (età dell'oro dove tutta l'arte
era bella). Descrizione delle opere degli antichi. Le fonti sono prese dagli antichi trattati, tradotti
e copiati in una struttura logica: "Naturalis Historiae" di Plinio e gli scritti sull'architettura di
Vitruvio. Ci si chiede quindi se il libro I è davvero utile visto che si tratta di testi copiati. In realtà
è molto utile, poiché Ghiberti si rifà all'antico per sviluppare il moderno: le nuove invenzioni non
sono possibili se non ricondotte all'antico. Il tutto per rendere facile il lavoro ai posteri che
leggeranno il suo trattato, attraverso il quale può tramandare conoscenza, legando generazioni
lontane. Ghiberti riprende il genere dei commentari dagli antichi: essi non essendo invidiosi del
loro sapere, scrivevano tutto ciò che scoprivano, perché le nuove generazioni potessero
apprendere e approfondire. La generosià degli artisti è tramandata attraverso la lettura (ti
cambia, ti arricchisce). Inoltre i miti antichi sono ripresi in funzione dell'esperienza personale
17 Agnese Nicolini
dell'autore attuale -> come la moda del vestiario, che riporta in voga abiti che andavano di moda
nel passato, ma li fa rivivere a nuovo con nuovi abbinamenti, migliorati ma conservando
"l'antico". Rapporto libero con l'antico. In un certo senso il lavoro di Ghiberti era legato al lavoro
di Alberti: entrambi ritenevano l'artista un uomo di cultura totale che conoscesse tutte le arti
liberali e che utilizzasse tutto il tempo a disposizione per fare arte, entrambi ritenevano
necessario che la conoscenza venisse tramandata alle nuove generazioni, e che questa fosse
elaborata in un contatto con l'antico, mantenendo comunque con essi un rapporto vivo e non di
sudditanza. Il lavor o di Ghibert i rip rende anche Cennino nel d is cors o di
ARTE=MATERIA+INTELLETTO: l'artista ha materiale da modellare, ma perché questo
materiale venga ben modellato è necessario che l'artista abbia conoscenza, usi la mente, immagini
l'opera fnita etc. Da Vitruvio Ghiberti traduce l'obiezione che afferma l'impossibilità di un uomo
a ricordare e imparare TUTTE le discipline; Vitruvio affermava piuttosto che ogni disciplina era
legata all'atra attraverso sviluppi interiori. Ghiberti scrive di come la pittura e la scultura
abbiano avuto origine: risale la prima pittura agli antichi Egizi, i quali volendo rendere perpetua
un'immagine, avevano ricalcato l'ombra di un uomo sul muro. Racconto ripreso e tradotto da
Plinio sulla prima opera di scultura e pittura: Scinio di Corinto è il protagonista, la fglia era
innamorata di un giovane che sarebbe dovuto partire (forse per sempre), così ella presa dallo
sconforto ricalca sul muro l'ombra del proflo del suo viso (desiderio e bisogno di emozioni, di
ricordare il volto dell'amato, simile ad Alberti in questo, che scolpiva i volti degli amici lontani).
Il protagonista, il quale era un vasaio, notando l'imperfezione del disegno della fglia, decide di
scolpire il volto del ragazzo, fno a farlo sembrare vero. Da qui la morale che scultura e pittura
derivano dalla necessità d'amore: la fglia ama il ragazzo, e lo dipinge, il padre ama la fglia che
ama il ragazzo, così lo scolpisce. Ghiberti approfondirà con insegnamenti sulla lavorazione della
creta. Sempre traducendo Plinio, Ghiberti parla di Prassitere e Apelle, grandi artisti capaci di
dipingere gli animi (due donne: una prostituta e una madre, la prima felice, l'altra piangente.
Diverse, ma comunque due donne), e i fenomeni atmosferici (la vita delle persone e della natura,
prospettiva del mondo), destando la MERAVIGLIA nello spettatore, invogliato a guardare
l'arte, a fare e creare senza pari. Descrive dipinti perfetti (sebbene non li avesse mai visti),
seguendo gli scritti antichi, sulla falsariga dei dipinti che conosceva. Ricostruisce ciò che non
conosce con ciò che ha già. Approfondimento sulla scultura greca e romana con doppio valore:
1) "ornamento per prolungare la vita di uomini importanti" (atleti, guerrieri), valore civico; 2)
"umanissima ambizione", che è diversa dalla pulsione narcisistica, ma è piuttosto la ricerca di un
modello perfetto di bellezza e forza fsica come rifesso. Conclude con il riassunto dell'intero
commentario. Ribadisce la grandezza degli antichi.
Resoconto/panoramica dell'evoluzione di pittura e scultura in area Toscana nel Trecento.
Scrive le biografe di tutti gli autori a partire da Giotto, per fnire con l'autobiografa e l'elenco
delle sue opere. L'antico è l'emblema di un'età dell'oro dove tutte le discipline erano eccellenti,
distrutte però dalla catastrofe del Medioevo ai tempi di Costantino, dove statue e libri antichi
venivano bruciati per impedire l'adorazione di dèi pagani. Erano impedite pittura e scultura (arte
negata), le chiese erano totalmente bianche, e rimasero così per 600 anni. Un abbozzo di rinascita
inizia dai Bizantini, che però lo fanno con rozzezza (inet