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CAPITOLO CIV.
stare all’arte del lavorare in tavola.
In che modo dèi pervenire a
«Sappi che non vorrebbe essere men tempo a imparare: come, prima studiare da piccino un anno a usare
il disegno della tavoletta; poi stare con maestro a bottega, che sapesse lavorare di tutti i membri che
appartiene di nostra arte; e stare e incominciare a triare de' colori; e imparare a cuocere delle colle, e triar
de' gessi; e pigliare la pratica dell'ingessare le ancone, e rilevarle, e raderle; mettere d'oro; granare bene;
per tempo di sei anni.» CAPITOLO CXIII.
Come si dee incominciare a lavorare in tavola, o vero in ancone.
Prima vuol essere l’ancona lavorata di un
«Ora vegniamo al fatto del lavorare in ancona, o vero in tavola.
legname che si chiama arbero o vero povolare, che sia ben gentile, o tiglio, o saligaro. E poi abbi il corpo
dell’ancona, cioè i piani; e procura, se v’è groppi magagnanti, o se l’asse fusse niente unta, fa’ tagliare
tanto dell’asse che l’untume vada via; chè mai non ti potrei dare altro rimedio.
Fa’ che il legname sia ben secco; e se fusse figure di legname o foglie, che le potessi far bollire in caldaia
con acqua chiara, mai quel legname non ti farebbe cattiveria di sfenditure.
Ritorniamo pure ai groppi, o ver nodi, e altre magagne che avesse il piano della tavola. Togli colla di spicchi
forte, tanto che un migliuolo o ver bicchiere di acqua faccia scaldare e bollire due spicchi in uno pignattello,
netto d’unto. Poi abbi in una scodella segatura di legname intrisa di questa colla; empine i difetti de’ nodi, e
ripiana con una stecca di legno, e lasciala seccare. Poi con una punta di coltellino radi, che torni gualiva
piano. Va’ ancora procurando se v’è
all’altro chiovi o ferro o punta di ferro che avanzasse il piano, sbattilo
bene dentro infra l’asse. Abbi poi colla con pezzuoli di stagno battuto come quattrini, e cuopri bene dov’è
ferro: e questo si fa, perchè la ruggine del ferro non passi mai sopra il gesso. Il piano dell’ancone mai non
vuole essere troppo pulito. Abbi prima colla fatta di mozzature di carte pecorine, bollita tanto, che rimanga
delle tre parti l’una. Tastala colle palme delle mani; e quando senti che l’una palma si appicca coll’altra,
allora è buona. Colala due o tre volte. Poi abbi in una pignatta, mezza di questa colla, e il terzo acqua, e
falla ben calda. Poi con un pennello di setole, grosso e morbido, da’ di questa colla su per la tua ancona, e
sopra fogliami, civori, o colonnelli, o ciò che lavoro fusse che abbia a ingessare; poi la lascia seccare. Togli
poi della tua prima colla forte, e danne col tuo pennello due volte sopra il detto lavoro, e lasciala sempre
seccare dall’una volta all’altra; e rimane incollata perfettamente. E sai che fa la prima colla? Un’acqua che
viene ad essere men forte; e appunto come fussi digiuno e mangiassi una presa di confetto, e beessi un
bicchiere di vino buono, ch’è un invitarti a desinare. Così è questa colla: è un farsi accostare il legname a
pigliare le colle e gessi.» ai
Cennino indica addirittura dove tenere il piano, quale mano usare e così via, quindi vi è un’attenzione
dettagli.
Si tratta di un procedimento complesso:
1. livellamento e piallatura della tavola;
2. lisciatura e eliminazione di tutte le porosità;
3. intelatura;
4. ingessatura della tavola;
5. rasatura della tavola («radatura»).
DORATURA
Si tratta di una prassi complessa data prima dalla stesura del «Bolio armenico», ovvero argilla (terra
bolare) dell’Armenia, polverizzata, lavata e poi impastata e colorata in rosso, giallo o nero. L’argilla non
foglia d’oro.
conteneva colla, dunque andava unita a colla di coniglio. Dopo viene messa in opera la
TECNICA A FRESCO CAPITOLO LXVII.
Il modo e ordine a lavorare in muro, cioè in fresco, e di colorire o incarnare viso giovanile.
[…] poi,
«Principalmente comincio a lavorare in muro quando vuoi lavorare, abbi prima a mente di fare
Poi, secondo la storia o figura che de’ fare, se lo
questo smalto bene arricciato, e un poco rasposo.
intonaco è secco, togli il carbone, e disegna, e componi, e cogli bene ogni tuo’ misura, battendo prima
[…]
alcun filo, pigliando i mezzi degli spazi. Poi componi col carbone, come detto ho, storie o figure; e
guida i tuo’ spazj sempre gualivi, o uguali. Poi piglia un pennello piccolo e pontío di setole, con un poco
d’ocria, senza tempera, liquida come acqua; e va’ ritraendo e disegnando le tue figure, aombrando come
arai fatto con acquerelle quando imparavi a disegnare. Poi togli un mazzo di penne, e spazza bene il
disegno del carbone. […] Poi considera in te medesimo quanto il dì puoi lavorare; chè quello che smalti, ti
convien finire in quel dì». Libro dell’Arte
Uno dei punti di forza del di Cennino è appunto la tecnica ad affresco, una tecnica molto
perché il colore viene assorbito dall’arriccio,
resistente anche se non è brillante come la pittura a olio.
Esige però un lavoro organizzatissimo nella struttura della bottega ed esistevano le cosiddette giornate,
nella stesura dell’affresco in un giorno e che erano
ovvero le campiture di lavoro che venivano organizzate
il lavoro giornaliero che veniva calcolato dalla bottega, esse dunque erano determinanti.
ovvero la preparazione dell’affresco, che sono
Interessante per Cennino è anche il discorso delle sinopie,
sostanzialmente il momento vivo del disegno di un affresco, che poi viene coperto dal colore, ma che è
possibile staccare.
USO E FORMAZIONE DEI COLORI
che sanno poco dell’arte:
«Questo è un modo di quelli ma tieni questo modo, di ciò che ti dimosterrò del
colorire; però che Giotto, il gran maestro, tenea così. Lui ebbe per suo discepolo Taddeo Gaddi fiorentino
anni ventiquattro; ed era suo figlioccio; Taddeo ebbe Agnolo suo figliuolo; Agnolo ebbe me anni dodici:
fresco che non fe’
onde mi mise in questo modo del colorire; el quale Agnolo colorì molto più vago e
Taddeo suo padre».
Altra cosa interessante sono i colori. Oltre alla foglia d’oro nella bottega si lavoravano materiali
preziosissimi per produrre i colori, come i lapislazzuli che davano il blu, quindi vi era bisogno di un ordine
all’interno della bottega, in modo tale che nessuno rubasse o che non vi si sprecassero. Cennino richiama
sempre Giotto, Taddeo e Agnolo, la linea prima di lui.
CAPITOLO XXXVI.
Come ti dimostra i colori naturali; e come dèi macinare il negro.
«Sappi che sono sette colori naturali; cioè quattro propri di lor natura terrigna, siccome negro, rosso, giallo
e verde: tre sono i colori naturali, ma voglionsi aiutare artifizialmente, come bianco, azzurro oltremarino, o
della Magna, e giallorino». il bianco, l’azzurro e il giallo.
I colori in totale sono sette, di cui tre sono naturali: Cennino racconta come
questi colori vengano realizzati attraverso terre o pietre preziose.
CAPITOLO LXII.
Della natura e modo a fare dell’azzurro oltramarino.
«Azzurro oltramarino si è un colore nobile, bello, perfettissimo oltre a tutti i colori; del quale non se ne
potrebbe nè dire nè fare quello che non ne sia più. E per la sua eccellenza ne voglio parlare largo, e
dimostrarti appieno come si fa. E attendici bene, però che ne porterai grande onore e utile. E di quel colore,
l’oro insieme (il quale fiorisce tutti i lavori di nostr’arte), o vuoi in
con muro, o vuoi in tavola, ogni cosa
risprende».
L’azzurro oltramarino è in particolare uno dei colori più importanti e qui Cennino ci spiega come si deve
realizzare. CAPITOLO LXXXVIII.
Il modo del ritrarre una montagna del naturale.
«Se vuoi pigliare buona maniera di montagne, e che paino naturali, togli di pietre grandi che sieno
e ritra’ne del naturale, t’acconsente».
scogliose e non polite; dando i lumi e scuro, secondo che la ragione
Cennino dice che per raffigurare una montagna bisogna prendere dei sassi piccoli, metterli su un piano e
disegnarne le ombre e luci, infatti l’astrazione che noi vediamo nei paesaggi di queste opere trecentesche
in realtà è determinata dalla trasformazione in grande di elementi piccoli.
CAPITOLO LXXXVII.
Come si de’ colorire i casamenti, in fresco e in secco.
«E tieni a mente, che quella medesima ragione che hai nelle figure dei lumi e scuri, così conviene avere in
questi, e da’ a’ casamenti per tutti questa ragione: che la cornice che fai nella sommità del casamento, vuol
pendere da lato verso lo scuro in giù; la cornice del mezzo del casamento, a mezza la faccia, vuole essere
ben pari e ugualiva; la cornice del fermamento del casamento di sotto, vuole alzare in su per lo contrario
della cornice di sopra, che pende in giù».
Dietro il capitolo 87 sono presenti le prime indicazioni (empiriche) della prospettiva, non geometrica, quindi
umile e pratica. Dunque, già prima del Quattrocento e dei grandi teorici in realtà i pittori si erano posti il
problema della rappresentazione dello spazio in tre dimensioni, Giotto è infatti uno dei primi che tende a
costruire delle composizioni che suggeriscano la presenza profonda degli spazi nella bidimensionalità del
supporto che è costretto a usare. L’idea empirica di trattare in un senso o in un altro con piccoli tratteggi è
sorprendente per certi versi nella sua semplicità.
RAFFIGURARE IL VOLTO CAPITOLO LXVIII.
Il modo di colorire un viso vecchio in fresco.
Un’altra cosa interessante è la raffigurazione dei volti, la distinzione tra i volti giovani e quelli anziani.
Libro dell’arte
Il ci dà anche degli spunti sulle competenze che il pittore doveva avere, ovvero di tipo
artistico, ma anche tecnico, come nella preparazione delle colle o nel lavorare i materiali preziosi, era
necessario che arrivasse a lavorare l’oro chi lo sapeva realmente lavorare. Chi arrivava a fare questi lavori
doveva inoltre essere al cento per cento fidato e sicuro.
Libro dell’arte
Riassumendo, potremmo dire da un lato che il è un ricettario, perché appunto ci fornisce
delle ricette, ad esempio su come fare il blu oltremare; tuttavia, come abbiamo già detto, non è un semplice
ricettario, perché è stato pensato con una struttura e dunque tutte le prassi sono ricostruite
sistematicamente. Un altro elemento fondamentale è che ci troviamo difronte ad un libro in volgare,
quindi non viene scritto in latino, ma in un italiano della fine del Trecento che noi capiamo perfettamente.
Cennino scrivendo in v