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Nell’opera Husserl, applicando il metodo di Brentano, cerca

Filosofia dell’aritmetica

di trovare l’origine del concetto di numero. Diversamente dal maestro, egli ritiene

che i simboli (strutture logiche che costituiscono la pensabilità dell’aggregato) non

siano rappresentazioni improprie, ma possano essere giustificate come

rappresentazioni vuote (prive di contenuto). Cercando di spiegare la genesi empirica

dei concetti logici, egli intende prendere le distanze sia dal logicismo (descrive

strutture logiche senza tener conto della loro genesi) che dallo psicologismo

(delegando tutto ad un’esperienza soggettiva cade nel relativismo ingenuo).

La terza via, intrapresa nelle è quella di una fenomenologia pura

Ricerche logiche,

che, non potendo indagare l’esistenza delle cose per non ricadere nel vissuto

soggettivo, ricerca l’intuizione essenziale, cioè come la coscienza universale, di tutti,

percepisce l’essenza della cosa. Ma il rischio è quello di cadere in un coscienzialismo,

perdendo di vista l’oggetto intenzionale (la realtà).

Fino a quando, nella Husserl non passa a parlare di un’intuizione

VI Ricerca,

sensibile, il discorso non produce alcuna conoscenza obiettiva ma si limita a

tracciare le condizioni di pensabilità (fenomenologia statica). L’oggetto intenzionale,

trascendente e altro da me, si offre a tutti nella sua essenza in una modalità che ne

permette la percezione.

Nella coscienza l’oggetto si costituisce attraverso una genesi temporale, in più

momenti ritenzionali: la ritenzione dell’oggetto nella memoria permette di

agganciare, alla percezione attuale, le esperienze pregresse e le attese.

Abbandonando i contenuti ideali della coscienza (reell→porta in sé, tavolo in sé),

Husserl comincia a parlare di come l’oggetto intenzionale costituisca un contenuto

reale (real) nella coscienza. Questo segna il passaggio ad una fenomenologia

genetica.

È quindi l’oggetto intenzionale che, offrendosi ad una coscienza passiva, va a

costituirsi temporalmente nella coscienza di tutti. Ma la percezione della cosa non

può dirsi apodittica perché deve sottostare a continui adombramenti e quindi è

sempre perfettibile.

Perché si possa parlare di una conoscenza apodittica (risolvendo il problema

cartesiano) dobbiamo distinguere ciò che si manifesta dalla manifestazione. Ciò che

è indubitabile è l’aver avuto una percezione, seppur passibile di errori, di un oggetto

(la cui esistenza va messa tra parentesi): il vissuto immanente non si adombra,

perché è sempre il risultato dell’originaria offerenza della cosa, del real, della sua

essenza. Attraverso questa svolta trascendentale, compiuta da Husserl nelle Idee 1,

egli passa a considerare una fenomenologia trascendentale.

Quando vedo un tavolo anzitutto s’imprime nei miei sensi la ‘tavolinità’, essenza che

viene colta dall’intuizione, quindi pongo attenzione su di essa ed entra così in

funzione la percezione del tavolo, infine ho il vissuto del tavolo. Per Husserl c’è

quindi una realtà cosale, che si impone alla coscienza, che rimane distinta dalla

realtà del vissuto: c’è conoscenza solo a partire dall’incontro tra la realtà cosale e la

coscienza, che la percepisce e ne costituisce un vissuto.

In Husserl critica a Cartesio e a tutte le scienze il non aver giustificato

Filosofia prima

le condizioni della veridicità (del senso). Poggiandosi alla preposizione cartesiana ‘io-

sono’, che gli sembra poter essere l’inizio del senso, Husserl sostiene che io sono

solo nel mondo delle mie esperienze interiori, all’interno di una esperienza continua.

Infatti, l’ipotesi della non esistenza di questo universo fa sparire la mia psiche

empirica ma non la mia psiche pura, che esiste per me a partire da una esperienza

pura di me indipendente dalla validità o non della mia esperienza mondana. Ciò che

resta dopo tutte le riduzioni è l’ego cogito, detto ego trascendentale o io puro, che

costituisce quindi un «residuo fenomenologico». la stessa

Nella Husserl si accorge che il concetto di senso,

Crisi delle scienze europee

significatività che io attribuisco all’ego, non può essere soltanto qualcosa che l’ego

ha creato, perché quel senso si struttura, sempre in maniera soggettiva, a partire dal

soggetto ma non da un soggetto particolare. Questo senso si è formato nella storia e

in un vissuto intersoggettivo, non soggettivo.

Nell’Appendice Husserl, compiendo un’archeologia del senso, considera l’animismo

come la prima fase della storia. Quando l’uomo comincia a trattenere i ricordi e li

trasmette alla società ha inizio un storia collettiva, si passa cioè dalla considerazione

di un tempo soggettivo alla formazione del tempo oggettivo. Dalla trasmissione

delle proprie esperienze, l’uomo comincia a condividere i miti (spiegazione razionale

degli eventi) e questo forma la tradizione: gli uomini possono condividere una stessa

visione del mondo, che Husserl definisce «umlebensewelt» (il vivere di tutti nel

medesimo mondo, che non è il mondo dell’empirico ma quello del vissuto, delle

formazioni culturali). Gli uomini greci comprendono che seppure i diversi miti danno

diverse spiegazioni del mondo, tutti hanno come unicum la medesima volontà di

spiegare, di capire, che nasce da una richiesta di un senso valido per tutti.

Diversamente da Hegel, per il quale la logica è ontologia, per Husserl il senso

precede la logica, che rimane aristotelicamente uno strumento per dare

strutturazione, forma al pre-logico, al pre-teoretico. Noi produciamo formazioni

spirituali pure se non siamo consapevoli del fatto che a fungere è un senso, una

passività che agisce ed influenza la donazione di senso.

Il mondo della vita ci dà la possibilità della significazione, tuttavia anch’esso è una

struttura di senso: non dà significato ma produce senso. Produce senso perché nel

momento in cui noi lo significhiamo, esso resta come orizzonte di ogni nostra

ulteriore significazione. È l’incontro tra cosa e coscienza, tra donazione di senso e

mondo della vita che dà la possibilità alla formazione del senso. Quando noi

formiamo il senso, esso si va a stratificare nel mondo della vita, ad iscrivere in

questo orizzonte che, a sua volta, ci restituisce la significatività come condizione del

nostro poter nuovamente formare.

Il senso, che è pre-logico, non ha alcuna determinazione, non ha logica e sta in una

necessità che non ci riguarda più. Secondo Husserl, bisogna mettere una parentesi a

quella necessità, a quel senso che non ci interessa, perché ci è utile unicamente

considerare come senso l’incontro tra mondo della vita e donazione di senso, la

presa d’atto di aver ricevuto un qualcosa.

Per Husserl l’errore hegeliano sta nell’aver considerato tutta la realtà come qualcosa

che viene a formarsi nella mente, cioè come uno sviluppo logico: infatti dà spazio al

pre-logico, al passivo, che ci deriva dalla cosa. Per Husserl la cosa non si riduce alla

mia esperienza, non è una mia donazione di senso, ma è portatrice di senso.

3. J. DERRIDA

Nell’opera Derrida sostiene che il problema di Husserl sorge

Il problema della genesi,

quand’egli si propone di parlare del telos e di una teleologia. Per entrambi i filosofi,

se vogliamo parlare della storia delle idee dobbiamo subito porci il problema della

generazione, del senso di questa storia. Infatti, le idee si sono formate in relazione

ad un telos: da dove ha origine questo senso? i filosofi

Nella storia, Derrida rintraccia questo telos in tutte le formazioni filosofiche:

hanno a suo avviso espresso l’idea teleologica della filosofia, cioè il suo essere l’idea

finale di ciò che è valido in sé. Ma com’è stato possibile che questo senso si

esprimesse inconsapevolmente?

Derrida, poggiandosi alla dialettica hegeliana, sostiene che il cominciamento

dev’essere dialettico, ma non inteso come continuo superamento. Egli vuole

conciliare la validità del trascendentale husserliano con la dialettica hegeliana,

riportare il primum su un piano mondano, esistenziale (→Heidegger) e non ricadere

nell’esito metafisico della fenomenologia. Per Derrida, il guadagno da salvare delle

esperienza reale,

filosofie di Hegel e Husserl è l’aver capito che la genesi è sintesi,

che cioè tiene conto dell’incontro intenzionale e storico tra cosa e coscienza.

La genesi non è costituita dall’ego in quanto anteriore ad ogni costituzione attiva;

possiamo parlare di una genesi passiva in quanto abbiamo la presentazione di un

senso che ci permette la sua significazione, cioè di poter dire cos’è questo senso.

Nell’opera Derrida vuole far convivere il

Introduzione all’origine della geometria

e il «tempo del suo riempimento». Il tempo della forma non è

«tempo della forma»

altro che la storia del senso, mentre l’altro è costituito dai riempimenti di tipo

storico-soggettivo. Ma da dove ha origine la forma? Qual è la sua generazione?

Derrida risponderà parlando di una contaminazione tra oggettivo e soggettivo, che

convivono all’interno di una stessa dimensione e quindi in due tempi che si

confondono.

Come per il suo maestro Jean Hyppolite, anche per Derrida il fine è quello di

individuare un «campo trascendentale», della forma, in cui la scrittura (il segno

grafico) si manifesta.

È nella scrittura, in quanto luogo della permanenza delle idealità (della parola

“idea”), che la parola permane, al di là della mia significazione, in un suo tempo.

Il punto di partenza de è la considerazione che il segno può

La voce e il fenomeno

essere «espressione», cioè uno strumento linguistico che permette al soggetto di

esprimersi, o «indice», cioè indicare esso stesso qualcosa, avente una funzione

simbolica.

A suo avviso, Husserl si è concentrato sull’espressione, sul significato, perdendo così

molto della potenza del segno; non ha cioè colto il valore del segno come simbolo:

restando dietro alla significazione, il segno grafico può avere una vita propria

rispetto alla logica, in quanto può essere detto in modi diversi indipendentemente

dal soggetto che lo significa.

Nel segno grafico ritroviamo qualcosa che ha un corpo proprio: c’è una «differenza»

radicale, interna al linguaggio

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
11 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/01 Filosofia teoretica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher pexolo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia teoretica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Perugia o del prof Ghigi Nicoletta.