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IL LEVIATANO: DELLO STATO
Causa dello stato: «diritto di fare un’azione»,
Il fondamento dell’autorità artificiale (non è il naturale ma è colui che ha il diritto assoluto di
«La causa finale, il fine o il disegno degli
fare un’azione: si tratta di un diritto positivo, in quanto costruito dal patto) del Leviatano è il suo fine:
uomini (che naturalmente amano la libertà e il dominio sugli altri) nell’introdurre quella restrizione su loro stessi (in cui li vediamo vivere negli stati) è
la previsione di ottenere con quel mezzo la propria preservazione e una vita più soddisfacente, vale a dire, di uscire da quella miserabile condizione di
guerra, che è necessariamente conseguente alle passioni naturali degli uomini, quando non c’è un potere visibile per tenerli in soggezione, e legarli, con
il timore della punizione, all’adempimento dei loro patti e all’osservanza di quelle leggi di natura esposte nei capitoli XIV e XV». Noi costruiamo il
sovrano e con lui il diritto di fargli fare ciò che vuole perché tutta questa costruzione dev’essere finalizzata alla nostra preservazione.
Coercizione: Tra le leggi di natura è quella secondo cui si devono mantenere i patti (pacta In realtà, fino ad un certo punto
sunt servanda).
nella storia questa espressione era una legge non scritta, che aveva in sé una normatività. Secondo quanto sostenuto da Paolo Prodi in Il
un volume che ricostruisce la sacralità della promessa e la sua progressiva erosione, c’è una dimensione che
sacramento del potere,
progressivamente inizia con la modernità di erosione dell’osservanza naturale di quel precetto (pacta di cui oggi viviamo
sunt servanda)
espressamente la fase decadente. Oggi viviamo in un tempo in cui a tale espressione legittimamente segua la frase “e perché?”. In un certo
«Le leggi
senso qui Hobbes, dandoci un altro argomento del fondamento di quel potere, comincia a spiegare perché l’espressione regge meno.
di natura (la l’equità, la insomma il in se stesse, senza il terrore di qualche potere
giustizia, modestia, fare agli altri quel che vorremmo fosse fatto a noi)
che le faccia osservare, sono contrarie alle nostre passioni naturali». Se succede già allo stato di natura che si arrivi a un conflitto, non soltanto con
«I patti senza la spada
gli altri, tra quello che noi siamo dentro e quella che è la realtà fuori di noi, figuriamoci nella dimensione della politica.
sono solo parole e non hanno la forza di assicurare affatto un uomo». Hobbes, contro il giusnaturalismo precedente, instaura un principio secondo
il quale non c’è nessun precetto che ci vincola se esso non implica (altro elemento di calcolo) una punizione al suo tradimento. Tant’è che uno
dei successivi capitoli del è dedicato proprio al tema dell’origine del diritto di punizione. Infatti, a quel sovrano non diamo soltanto il
Leviatano
diritto di agire, ma anche quello di punire.
Diritti del sovrano: «Si dice che uno è quando una di uomini si accorda e che
stato istituito moltitudine pattuisce, ognuno con ogni altro,
qualunque sia l’uomo cui sarà dato dalla maggior parte il la persona di loro tutti, ognuno, tanto chi ha votato a quanto chi
diritto a rappresentare favore
ha votato tutte le azioni e i giudizi di quell’uomo, alla stessa maniera che se fossero propri, al fine di vivere in pace tra di loro e di
contro, autorizzerà
essere protetti contro gli altri uomini. Da questa istituzione dello stato sono derivati tutti i e le di colui o di coloro ai quali è conferito il
diritti facoltà
potere». Da qui Hobbes comincia ad elencare le facoltà ed i diritti del sovrano, i cui primi due I sudditi non possono cambiare la forma di
e
governo, Il potere sovrano non può essere perso Nessuno può, senza ingiustizia, protestare contro l’istituzione del sovrano dichiarato dalla
(ci sono due aspetti problematici: anzitutto, Hobbes fa due tipi di oscillazioni, se in alcuni passaggi considera il Leviatano come
maggioranza
una figura, in altri dice che noi concediamo questo potere a un rappresentante o ad un’assemblea; in secondo luogo, il problema è se per far
questo noi agiamo di maggioranza o meno).
Libertà dei sudditi: «LIBERTÀ significa (propriamente) assenza di
Qui la libertà, che nello stato di natura è assoluta, trova due limiti:
opposizione (cioè assenza di impedimenti esterni al movimento: io sono libero se fuori di me non c’è nulla che mi ferma) e può essere applicata non
meno alle creature irrazionali e inanimate che a quelle razionali. Infatti tutto ciò che è legato o racchiuso in modo da non potersi muovere se non entro
un certo spazio, noi diciamo che non ha libertà di andare più lontano. […] Ma quando l’impedimento al moto è nella costituzione della cosa stessa,
non siamo soliti dire che manca di libertà, bensì del potere di muoversi, come quando una pietra sta ferma, o un uomo è costretto a letto da una
malattia. Secondo questo significato della parola, un UOMO LIBERO è colui che, in quelle cose che con la sua forza e il suo ingegno è in grado di fare,
Noi finiamo dentro uno Stato assoluto, che decidiamo ci vincoli, ma che non toglie del
non viene ostacolato nel fare quanto ha la volontà di fare».
tutto la libertà, perché essa coesiste col potere del sovrano. Questa libertà diventa di nuovo priva di alcun vincolo quando dobbiamo difendere
«quando il nostro rifiuto di obbedire rende vano il fine per cui è stata ordinata la
il nostro corpo (la nostra vita→diriPo di resistenza), perché:
sovranità, non c’è allora libertà da rifiutare; in caso contrario sì». «silenzio della legge. Nei casi in cui il
Ma la più grande libertà dei sudditi sta nel
sovrano non ha prescritto una regola, il suddito ha la libertà di agire o di astenersi dall’agire a sua discrezione». Hobbes sta parlando di uno Stato
positivo in cui noi, rispetto alla libertà come impedimento dall’esterno, non la perdiamo perché non siamo fermati da qualcosa di esterno
«Come gli uomini, per conseguire la pace e per conservare con
contro la nostra volontà (perché quel potere lo vogliamo noi), ma la vincoliamo.
essa se stessi, hanno fatto un uomo artificiale, che chiamiamo stato, così hanno fatto anche delle catene artificiali, chiamate che essi, con
leggi civili,
mutui patti, hanno attaccato per una estremità alle labbra di quell’uomo o assemblea di uomini cui hanno dato il potere sovrano e per l’altra estremità
alle proprie orecchie». La nostra libertà non viene eliminata anzitutto perché noi stessi abbiamo costruito tale catena, quindi non c’è
impedimento esterno, in secondo luogo perché non siamo tolti di mezzo. La prova ulteriore è data dal fatto che riguadagniamo la libertà
quando il sovrano rischia di tradire il suo mandato (attacca la nostra vita) e quando, su alcuni terreni, non ha deciso nulla come legge.
Proprietà: «La distribuzione dei materiali di questo nutrimento è la costituzione del del e del vale a dire della in ogni genere
mio, tuo suo, proprietà;
di stato appartiene al potere sovrano. Infatti dove non c’è stato, c’è la guerra perpetua di ogni uomo contro il vicino e perciò ogni cosa è di chi
l’acquista e la tiene con la forza e ciò non è Nel Locke è fortemente critico nei confronti di Hobbes e una
proprietà». Secondo trattato sul governo
delle critiche è esattamente questa: Hobbes dice che non c’è proprietà fuori dallo stato, una tesi molto forte perché nega che ci sia una
qualche proprietà legata all’individuo, ma soltanto alla dimensione politica. Secondo Hobbes la proprietà è legata all’artificio del patto, mentre
secondo Locke la proprietà c’è già nello stato di natura e la politica nasce per difenderla, non per definirla o stabilirla. A suo avviso la proprietà
c’è nel momento in cui il mio sudore bagna l’oggetto su cui sto lavorando.
Politica/religione: «A differenza di Machiavelli, Hobbes associa la filosofia alla politica in modo nuovo ma del tutto cogente. La sua non è una
deduzione della politica dalla filosofia, ma l’intrinseca e originaria politicità della filosofia moderna, strutturata intorno a un’unica questione che la
forma, e che forma sia la filosofia che la politica: la questione dell’ordine; una questione alla quale viene ridotta tutta la politica, ridisegnando lo spazio
politico e semplificandolo Hobbes, insomma, fa della politica l’altro volto della filosofia, e di entrambe fa da risposta a un problema
more geometrico.
concreto: una risposta non spiritualistica come quella di Cartesio, né trascendentale come quella di Kant, ma nata dalla domanda stessa; se il problema,
il punto di partenza, è il disordine (la materia in movimento senza un fine), allora la risposta di Hobbes consiste nell’individuare i movimenti che
vanno verso una possibile, benché transitoria, soluzione stabilizzante. Quel movimento (il disordine) è lo stato di natura; quella pausa (stabilizzante) è
lo Stato» (Carlo Galli, La costruzione di un ordine pacifico è la base dello sviluppo del in due parti: nella
All’insegna del Leviatano). Leviatano
prima Hobbes si interroga su come sia possibile costruire un ordine pacifico che sia relativo alla vita prima della morte, cioè a quel bene che è
la conservazione della vita; come è possibile costruire un ordine pacifico tra individui che hanno come bene primario il conservare la propria
vita? Dall’altra parte, Hobbes si sofferma a riflettere sul come sia possibile costruire un ordine pacifico sul terreno di un bene, che è
propriamente quel bene di cui si occupano le religioni, che è il bene della vita dopo la morte (rappresentato dalla vita eterna). Mentre nella
prima parte ci muoviamo in un ambito in cui è più facile trovare e riconoscere un interesse comune, un ambito in cui il riconoscimento
dell’interesse comune non soltanto è un’operazione rispetto al quale la nostra ragione ha competenza (ci può aiutare), ma anche rispetto a cui
(a fianco della ragione) si colloca l’efficacia della coercizione: su questo terreno il potere ha efficacia, valore, riesce a mettere ordine. Invece,
nell’ambito dei conflitti religiosi (tra quelle visioni del bene che hanno come bene la prevalenza della vita eterna su quella terrena) succede
innanzitutto che ci si muove tra aspirazioni ad un bene che non possiede la propria condizione nece