Estratto del documento

ESSENDO AMBEDUE PRESENTI.

8. DOPO MEZZOGIORNO (il giudice) PRONUNCI (LITEM ADDICITO) A FAVORE DEL (litigante)

PRESENTE.

9. SE AMBEDUE SONO PRESENTI, TERMINE ULTIMO SIA IL TRAMONTO DEL SOLE.

Il giudice, dopo aver valutato le prove, testimoniali, prodotte dalle parti, decide nel merito,

emettendo una sentenza (iudicatum), che è orale, senza motivazione, inappellabile.

Questi caratteri della sentenza sono destinati a permanere nel successivo processo

formulare [→ n. 2.2, sub b].

● Terzo aspetto: il processo, se giunge alla regolare conclusione della prima fase e, a

maggior ragione, se giunge a sentenza, non può essere ripetuto.

Vige infatti il divieto di riproporre l’azione fra gli stessi pf e per la stessa controversia,

quale che ne sia l’esito.

(Cfr. la massima: bis de eàdem re ne sit actio “non vi sia due volte un’azione per lo stesso

rapporto litigioso” o, più in breve, ne bis in idem “non due volte sulla stessa questione”).

La probabile spiegazione risiede nel formalismo arcaico, per il quale l’azione, essendo

un rituale solenne, ha efficacia risolutiva fra le parti.

* * *

1.3. L’azione sacramento “con giuramento” o “con scommessa”

La procedura di cognizione più antica è quella che si impernia sul sacramentum, da cui

prende il nome [testo 13].

In origine, si tratta di un giuramento, che le parti prestano agli dei a conferma delle

rispettive affermazioni: ciascuna parte invoca su di sé l’ira divina per l’eventuale spergiuro.

Ben presto, però, anche il processo si laicizza, e allora sacramentum equivale a scommessa:

così è in Gaio.

Ne sono oggetto, dapprima, animali (pecore o buoi); poi, l’equivalente in metallo o denaro,

per un importo più o meno elevato a seconda che il valore della lite sia superiore (o

almeno pari) oppure inferiore ad un certo ammontare (1.000 assi): l’oggetto della

scommessa va versato dalla parte soccombente all’erario per scopi religiosi.

[Digitare il testo]

Questa azione ha due forme: in rem per i diritti assoluti; in personam per i diritti relativi.

Tale duplice direzione (in rem, in personam [testi 10-11]) sarà valorizzata dai giuristi

per classificare le azioni del successivo processo formulare.

● Meglio nota è la forma in rem, in cui la lotta violenta è stilizzata nell’incrocio

delle mani dei litiganti sul bene conteso, come si evince da Tav. VI.6:

SE IN TRIBUNALE INCROCIANO LE MANI …

Questa lotta simbolica, che in origine avviene sul posto (se riguarda, ad es., un fondo),

si svolge poi in tribunale: il bene deve essere presente o rappresentato in tribunale,

ad es., una zolla del fondo.

La lite può vertere sulla appartenenza di un singolo bene (fondo, schiavo, ecc.), o di un

complesso di beni (es.: eredità), o sulla esistenza di un diritto reale limitato (es.: servitù

di passaggio, usufrutto).

A turno i due litiganti, reggendo una bacchetta (festùca) che è simbolo di potere, afferrano

la cosa e, toccandola con la bacchetta, pronunciano le parole di rivendicazione:

“Affermo che questa cosa è mia in base al diritto dei Quiriti in base a un giusto titolo”.

Le parole poste in grassetto sono identiche a quelle pronunciate dall’acquirente nella

mancipatio.

Se a compiere la rivendicazione è una sola delle parti, il magistrato ne conferma

l’affermazione con il verbo addìco, che – come attesta una fonte non giuridica (Festo, II

secolo d.C.) – “propriamente significa dire la stessa cosa e approvare dicendo”.

Questa è la in iure cessio “rinuncia in tribunale”, che è menzionata dalle Dodici Tavole

(Tav. VI.6b: “La legge delle Dodici Tavole conferma sia la mancipatio sia la in iure

cessio”): se ne veda la descrizione di Gaio nel testo 19.

N.B. Alla in iure cessio si fa spesso ricorso, d’accordo fra le parti, per scopi negoziali:

ad es., per trasferire la proprietà di un bene (come appena esemplificato), o per

costituire una servitù prediale o un usufrutto, oppure per manomettere uno schiavo [←

Priv. I, n. 2.3], o per adottare un figlio [← Priv. I, n. 3.2].

Insomma, la si utilizza per compiere atti detti oggi di giurisdizione volontaria, e non

contenziosa.

Se, invece, entrambe le parti compiono la rivendicazione, il magistrato ordina loro di

lasciare la cosa; poi esse si sfidano al sacramentum.

Da quando esso diviene una scommessa, le parti devono dare dei garanti (praedes) per

il suo pagamento.

Chi si sottrae al sacramentum perde la lite.

Se entrambe lo prestano, il magistrato assegna il possesso provvisorio della cosa a una

delle parti, che deve dare garanti (praedes) per la sua restituzione.

La litis contestatio chiude la prima fase.

Nella seconda fase, il giudice privato, dopo la valutazione delle prove prodotte dalle

parti, dichiara quale sacramentum sia iustum, cioè conforme al ius, e con ciò risolve

la lite.

[Digitare il testo]

● L’azione nella forma in personam è poco nota, spec. a causa di una lacuna nel mano-

scritto delle Istituzioni di Gaio.

Per certo, l’azione può dirigersi contro il debitore inadempiente da sponsio e contro il ladro

non flagrante.

L’attore afferma in iure l’esistenza di un credito nato da sponsio e non soddisfatto dal

convenuto, oppure sorto dall’atto illecito.

Se il convenuto nega, si procede secondo un rito simile a quello appena descritto.

Se invece ammette, confessando il suo debito, la procedura di cognizione si arresta e

si apre quella esecutiva [→ n. 1.6]. * * *

1.4. L’azione “per richiesta di un giudice o di un arbitro” (per iùdicis arbitrive

postulationem)

● Questa procedura, in personam, è più snella della precedente e anche meno onerosa,

perché non prevede il pagamento di alcuna somma per la parte soccombente.

Essa è forse introdotta dalle Dodici Tavole e serve a far valere i crediti nati da sponsio

e, poi, anche da stipulatio. In Gaio [testo 14] si legge:

Si agiva per iùdicis postulationem “per richiesta di giudice” quando lo aveva stabilito una legge,

come la legge delle Dodici Tavole per ciò che si chiede in base a una stipulatio.

L’attore reclama il suo credito nei confronti del convenuto con parole rituali:

“Affermo che tu, a séguito di promessa solenne (sponsio), mi devi dare (dare oportère) ...”.

Se questi nega, l’attore fa richiesta formale al magistrato di assegnare un giudice

che decida la lite.

Ma questa azione serve anche a dividere un’eredità fra i coeredi (Tav. V.10), o cose

comuni fra i comproprietari: si tratta di giudizi divisorî, ai quali usa aggiungere anche il

giudizio per regolare i confini (Tav. VII.2). In essi è richiesto un arbitro, e non un giudice,

perché si discute sull’entità di un diritto, e non sulla sua esistenza.

● Forse dagli inizi del II periodo, questa azione in personam può essere utilizzata anche

per risolvere controversie sulla appartenenza di una cosa.

Grazie a un ingegnoso sforzo di semplificazione, i giuristi riescono a evitare le complessità

e gli oneri dell’azione in rem imperniata sul sacramentum.

A tal fine occorre che l’attore induca l’avversario a compiere con lui una sponsio,

sottoposta a condizione, rivolgendogli la domanda: “Prometti che mi sia dato un asse

[= una somma simbolica], se risulterà che lo schiavo in questione è mio in base al diritto

dei Quiriti?”, e ottenendo la risposta adesiva: “Prometto”.

Nella forma, la lite è impostata per un rapporto obbligatorio. Ma, per poter decidere

se la somma simbolica sia dovuta, il giudice deve previamente accertare se l’attore sia il

proprietario dello schiavo.

In questa applicazione, la procedura è detta àgere per sponsionem “agire mediante sponsio”.

* * *

[Digitare il testo]

1.5. L’azione “per intimazione” (per condictionem)

Questa azione [testo 15], anch’essa in personam, è la meno formale e la più recente,

essendo introdotta fra 250 e 200 a.C. da due leggi rogate.

Dapprima, lo è per i crediti di somma determinata di denaro, certa pecunia; poi anche

per i crediti di cosa determinata, certa res.

Usando le stesse parole dell’azione precedente, l’attore afferma l’esistenza di un credito

non soddisfatto, ma senza indicarne la causa (se da sponsio o da mutuo).

Al convenuto che nega egli intima (lat. più antico condìcit) di ripresentarsi dopo trenta

giorni davanti al magistrato per l’assegnazione di un giudice.

Con questa azione si dà tutela processuale anche a obbligazioni sórte da scambi non

formali, come il prestito di consumo, ora detto mutuo.

Ciò è il segno di una società economicamente più evoluta, in cui nascono nuove forme

di rapporti e scambi, e quindi nuove figure di obbligazione, spec. perché l’espansione

facilita l’infittirsi dei rapporti fra cittadini romani e stranieri.

* * * * * * * * *

1.6. L’azione esecutiva “per imposizione della mano” (per manus iniectionem)

● Passando alle due procedure esecutive, occorre anzitutto dare spazio adeguato all’azione

“per imposizione della mano”, che delle due è la più antica e rilevante (Tav. III e

testo 16).

Chi, in un processo di cognizione (accertamento), ha confessato il debito ( confessus)

o subìto la condanna (iudicatus) deve provvedere a soddisfare l’attore entro 30 giorni,

detti iusti “conformi al ius”. Altrimenti, il vincitore procede esecutivamente.

In alcuni casi si può imporre la mano come se fosse intervenuta una sentenza di condanna,

pro iudicato: ad es., in base a mores fissati nelle XII Tav. (VIII.14), può imporla il derubato

contro il ladro flagrante; in forza di una legge successiva, può imporla il garante di una

obbligazione, ossia lo sponsor, contro il debitore principale che non lo abbia rimborsato

entro sei mesi.

Il creditore-attore afferra il debitore e lo trascina in tribunale, pronunciando parole rituali,

note da Gaio [testo 16]:

“Poiché tu sei stato giudicato (iudicatus), o sei tenuto inderogabilmente (damnatus) nei miei confronti

a 10.000 sesterzi, e siccome non hai pagato, io, in rapporto a ciò, ti impongo la mano per i 10.000

sesterzi del giudicato”.

● In tribunale può intervenire un garante processuale, il vindex, che interrompe la procedura

esecutiva e assume su di sé un processo di cognizione (accertamento) per lo stesso

rapporto litigioso.

Se però non riesce a provare la illegittimità della procedura esecutiva, dimostrando

l’infondatezza della pretesa

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Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mattepu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Genova o del prof Viarengo Gloria.
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