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IL CASO A PAGG. 156
Rilevanza dell'incapacità di fatto
Ferma restando la capacità legale di agire (sulla base dell'indicata valutazione standard circa
l'idoneità a curare i propri interessi), si attribuisce limitata rilevanza all'incapacità naturale o di
fatto: a norma dell'art. 428 è causa di annullamento degli atti giuridici l'incapacità di intendere o di
volere (cioè di capire natura e contenuto dell'atto e di decidere autonomamente) che sussista, anche
per causa transitoria, al momento in cui l'atto è stato compiuto.
La nozione di incapacità di intendere e volere è stata intesa in modo molto restrittivo, perché si
inserisce in un sistema in cui il problema dell’idoneità a curare i propri interessi è volutamente
risolto con criteri standard legati all’età o all’esistenza di provvedimenti come l’interdizione,
l’inabilitazione e soprattutto l’amministrazione di sostegno.
Il quadro qui descritti riguarda gli atti giuridici (e più precisamente gli atti di autonomia), mentre
diverso è il discorso riguardo agli atti illeciti e ai meri atti materiali.
L’imputabilità degli atti illeciti
Quanto agli atti illeciti, il criterio per riferire l’atto al soggetto, così da accollargliene la
responsabilità (imputabilità), è la pura capacità di intendere e di volere sussistente al momento in
cui l’atto è compiuto (art. 2046): questo vale per il minore, l'interdetto legale e talvolta anche per
l'interdetto giudiziale (in quanto non è detto che l'infermità mentale, pur “abituale”, implichi
necessariamente una continua ed ininterrotta incapacità di intendere o di volere).
5. La posizione del minore. La potestà dei genitori.
Potestà dei genitori
La posizione del minore è anzitutto quella definita dall’art. 316: il figlio, fino all’età maggiore, è
soggetto alla potestà dei genitori. La potestà dei genitori comprende:
un complesso di prerogative che riguardano la cura della persona del figlio: si tratta del
• diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.), tenendo conto delle
loro capacità, dell’inclinazione naturale, delle aspirazioni;
un potere-dovere di amministrazione dei beni , dei quali i figli minori siano titolari (art. 320);
• un potere di rappresentanza legale (sostituiscono il minore nel compimento di tutti gli atti
• civili, come da art. 320)
l’usufrutto legale sui beni del figlio (in base all’art. 324 non sono soggetti ad usufrutto
• legale i beni acquistati dal figlio con i proventi del proprio lavoro; i beni lasciati o donati al
figlio per intraprendere una carriera, un'arte o una professione; i beni lasciati o donati a
condizione che i genitori non ne abbiano l’usufrutto...).
L’art 334 afferma che i genitori possono essere privati del diritto di usufrutto e del potere di
rappresentanza nel caso di mala amministrazione, pur mantenendo la potestà sui figli.
Esercizio della potestà e controllo giudiziale
La potestà si esercita di comune accordo tra i genitori (art. 316). In presenza di un disaccordo tra
essi, una decisione provvisoria può essere presa, in caso di urgenza e nel rischio di un grave
pregiudizio per il figlio, dal solo padre (residuo della patria potestas). Ma per risolvere il conflitto
tra i genitori è previsto che ciascuno di essi possa ricorrere senza particolari formalità al Tribunale
per i minorenni; il giudice cercherà una soluzione concordata, se non ci riesce può
21decidere al posto dei genitori o affidare il potere al genitore che ritiene più idoneo a curare gli
interessi del figlio (art. 316 ultimo comma).
Amministrazione e controllo giudiziale
L’art. 320 disciplina il potere di rappresentanza e amministrazione dei genitori. L’attività di
amministrazione dei genitori è soggetta a controllo. Gli atti di ordinaria amministrazione
avvengono, per la regola, con esercizio congiunto, ma possono essere svolti, con regola più
generale, da uno solo dei genitori.
L’autorizzazione del giudice tutelare è necessaria per tutti gli atti di straordinaria amministrazione e
deve essere rilasciata antecedentemente al compimento dell’atto, non potendo essere sostituita da
un’autorizzazione posteriore con efficacia retroattiva.
Decadenza della potestà
La potestà si perde per effetto di una sentenza del Tribunale per i minorenni pronunciata in caso di
violazione di doveri o di abuso di poteri da parte del genitore, che rechino grave pregiudizio al
figlio; la misura dev’essere intesa però non tanto quale sanzione per il comportamento deplorevole
del genitore, quanto piuttosto come strumento preventivo di protezione del minore. Ciò ne spiega la
revocabilità e modificabilità in qualsiasi momento e dunque l’assoluta inettitudine a passare in
giudicato (Cass., n. 20333/2005).
La tutela
Se entrambi i genitori muoiono, decadono dalla potestà o non possono esercitarla, il minore è
soggetto a tutela. I poteri del tutore sono simili a quelli dei genitori: egli ha la “cura della persona”
del minore, provvede all’amministrazione dei suoi beni e ne ha rappresentanza legale. A differenza
dei genitori è però soggetto a un più intenso controllo da parte del giudice tutelare e del tribunale
(artt. 371 e 384). In caso di cattiva amministrazione è prevista la revoca d'ufficio (art. 384).
Limiti della soggezione
In realtà il potere di indirizzare il comportamento del minore e di decidere riguardo ai suoi interessi
ha un’estensione sempre minore, e soprattutto modi di esercizio sempre meno gerarchici, man mano
che il minore cresce ed acquista una capacità di discernimento e di valutazione autonomi.
Aspetti di capacità del minore
Questo graduale acquisto di libertà da parte del minore fa risultare la sua condizione ormai ben
lontana da quella di una persona totalmente incapace. Ed è proprio valorizzando la presenza
sistematica di tali deroghe legali al limite della maggiore età - unito al valore simbolico della
presenza di principi analoghi sanciti in importanti documenti internazionali (art. 12 Convenzione di
New York sui diritti del fanciullo; art. 24.1 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea) – che
è stata sostenuta l'esistenza di una diversa regola generale riconducibile all'art. 2 Cost., in virtù della
quale ogni soggetto dotato di sufficiente maturità di giudizio dovrebbe essere considerato
pienamente capace di esercitare i propri diritti personali e perciò di porre in essere attività giuridica
a contenuto personale.
Capacità di lavoro
Lo stesso art. 2 prevede che se il minore entra in un rapporto di lavoro (come può avvenire dopo i
15 anni), acquista automaticamente la capacità di esercitare i diritti e le azioni che dipendono dal
contratto di lavoro.
Nella conclusione del contratto di lavoro, i genitori (pur essendo necessari ai fini della validità dello
stesso in virtù della regola sulla rappresentanza legale del minore nel compimento di attività
negoziale) avrebbero una mera funzione di assistenza, mentre necessario è il consenso del minore.
Atti familiari e personali
Il minore può contrarre matrimonio, con l’autorizzazione del Tribunale per i minorenni, a 16 anni
(art. 84); alla stessa età può riconoscere un proprio figlio naturale (art. 250) e può dare il consenso
ad essere riconosciuto da un genitore naturale (art. 250).
Altri atti minori sono previsti dalla legge e dalla prassi commerciale. Riguardo l’interruzione della
gravidanza per la donna minore, la richiesta di interruzione deve provenire dalla stessa minore.
Occorre anche l’assenso di chi esercita la patria potestà o la tutela. Ma nei primi novanta giorni, per
seri motivi, il difetto di assenso può essere superato con un provvedimento del giudice tutelare;
dopo, in caso di necessità, la posizione della minore è equiparata a quella della donna maggiorenne.
Anche per l'adozione, il minore che ha compiuto quattordici anni deve dare il suo consenso e a
dodici anni “sentito” (art. 7 l. n. 184/1983).
Atti della vita quotidiana
Teniamo poi presente che un incapace legale può sempre compiere atti giuridici come procuratore
di un soggetto capace d’agire, purché abbia la capacità di intendere e di volere adeguata alla natura
e al contenuto dell’atto (art. 1389). Con una procura tacita dei genitori si spiega, anche secondo la
visione più tradizionale, come mai i minorenni vanno in autobus, pagano col bancomat, vanno al
cinema...
L’emancipazione
Infine, il minorenne che si sposa acquista lo status di minorenne emancipato (art. 390). Secondo
l’art. 394, il minore può compiere gli atti di ordinaria amministrazione; può, con l’assistenza del
curatore, riscuotere i capitali sotto la condizione di un idoneo impiego e può stare in giudizio sia
come attore che come convenuto; per gli atti di straordinaria amministrazione serve il parere del
curatore e l’autorizzazione del giudice tutelare.
Se l’altro coniuge è maggiorenne è lui il curatore, altrimenti il giudice fa solitamente ricorso ai
genitori (art. 392). Secondo l’art. 397 il minore emancipato può esercitare un’impresa commerciale
senza l’assistenza del curatore, se autorizzato dal tribunale, previo parere del giudice tutelare e
sentito il curatore; il minore emancipato che è autorizzato all’esercizio di una impresa commerciale
può compiere da solo anche gli atti di straordinaria amministrazione che non hanno a che fare con
l’impresa.
6. L' interdizione, l'inabilitazione e l'amministrazione di sostegno
Questi tre istituti sono disciplinati dal titolo XII, l’amministrazione di sostegno dal capo I, gli altri
due dal capo II. Con la legge 6/2004 sono entrati in vigore gli artt. 404-413: le norme erano già
presenti nel nostro codice, ma sono state in parte modificate. Il problema ha origine negli anni ’70,
quando sono stati aboliti i manicomi e si è dovuto pensare a cosa fare delle persone con problemi
psichici.
L’art. 414 regola l’interdizione, l’art. 415 l’inabilitazione.
L’interdizione giudiziale
Presupposto è un’abituale infermità di mente, tale da rendere l’infermo incapace di provvedere ai
propri interessi (art. 414). Tale situazione è accertata dal giudice con un esame all’interdicendo ma
senza obbligo di perizia psichiatrica (art. 419).
La perdita della capac