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Duchamp iniziò a sperimentare sul movimento, pensando la dislocazione di figure e spazio diversamente dai cubisti.
La decomposizione è pensata in maniera temporale, non spaziale: non lo interessa la deformazione che nasce dal
pensare simultaneamente un oggetto da ogni suo punto di vista, ma la persistenza della situazione, l’appiattimento
visibile del corpo demoltiplicato, trasformazione continua delle apparenze. In Yvonne e Magdalene a brandelli 1911,
le fisionomie delle sorelle diventano un intreccio di sagome e profili orientati gli uni verso gli altri, in una
molteplicità di direzioni, con un ritmo orizzontale che indica la durata; due narrazioni diverse per le sorelle e una
temporalità raccontata in parallelo al presente. In Dulcinea, una stessa figura femminile, sia nuda che vestita, viene
ritratta in cinque posizioni differenti. In questi dipinti prevale la costruzione di sole linee tracciate velocemente, come
anche in *”Giovane triste in treno e Nudo che scende le scale n.1”*. Il “Macinio da caffè” 1911, introduce nelle
ricerche del periodo il tema della macchina che diventa da allora una possibilità per azzerare la fisionomia di oggetti e
figure, riducendoli a ingranaggi e funzioni. Questo quadro mostrava le diverse fasi della macinatura del caffè e
indicava il movimento della manovella attraverso una specie di cronofotografia delle diverse posizioni nella direzione
indicata da una freccia e da una linea tratteggiata: è il primo quadro nella storia dell’arte in cui il movimento è
suggerito concettualmente. Duchamp inizia ora a sperimentare la riduzione estrema di linee, colori e figure, per
concentrarsi sul movimento come funzione che produce trasformazione. Scomponendo oggetti e figure cerca di
mettere in movimento la staticità dell’immagine: la tecnica della demoltiplicazione (deformazione, scomposizione,
frammentazione, riduzione, azzeramento della fisonomia e della riconoscibilità) viene usata per indicare una
trasformazione, un passaggio. Si libera della rappresentazione del vero e delle fisionomie per inserire il tempo
nell’immagine al fine di ottenere la rappresentazione statica del movimento.
L’attenzione per il movimento era anche una possibilità per considerare un oggetto o una parola non per quello che
sono, ma attraverso una processualità che individua il loro divenire. “Giovane triste in treno” (gioco di parole “tr”) è
in realtà una prima versione di “Nudo che scende le scale n.1”, sperimentazione che continua con il n.2: i punti di
partenza erano ancora una volta
la lacerazione delle figure e il movimento che imprimeva una tensione all’interno della rappresentazione statica.
Questi nudi sono pensati in maniera inedita: non è precisato il sesso ma il titolo indica solo l’azione. Furono rifiutati
al Salone dell’Indipendenza, e Duchamp non cedette a cambiarvi titolo rifiutando così il suo riconoscimento non solo
nel cubismo ma anche tra gli altri artisti del periodo.
Duchamp sperimenta l’idea che oltre la linea, il piano e il volume ci sia una quarta dimensione, un’ulteriore
possibilità dello spazio. Il passaggio dal volume alla figura a quattro dimensioni avverrà per parallelismo elementare
in quanto operazione geometrica che esige una conoscenza intuitiva del continuo a 4dim. In tal modo Duchamp
inserisce, oltre al principio della casualità, anche una componente di variabilità, indeterminatezza, che talvolta
coincide con le emozioni o con le passioni. Da uno stato all’altro della materia avvengono passaggi paralleli, ma non
unidirezionali: ogni corpo 3dim.le è la prospettiva proiettata da numerosi corpi 4dim.le nel campo 3dim.le. Duchamp
arriva così a considerare l’infinito geometrico come un continuo le cui dimensioni sono considerate nella loro
indefinitezza.
Il Grande Vetro, o “Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche”, non era stato creato per essere guardato con occhi
estetici: era accompagnato da un testo di letteratura cosicché, vetro per gli occhi e testo per le orecchie, dovevamo
complementarsi l’un l’altro senza assumere una forma estetico a plastica o letteraria. Il Grande Vetro fu concepito dal
1912 (ricerca di un linguaggio) al 1915, anno in cui Duchamp si trasferì in America e iniziò l’effettiva realizzazione
di quest’opera che lo impegnò per otto anni. A Monaco realizza molti disegni che costituiscono le prime fasi del
Grande Vetro: la Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, con sottotitolo Modestia meccanica; Il passaggio dalla vergine
alla Sposa. Poi si dedica alla figura della Sposa, attraverso la giustapposizione di elementi meccanici e forme
viscerali. Da Vergine n.1 a Vergine n.2, si nota come la rappresentazione statica del movimento non era più sufficiente
per Duchamp, che pensa ora il movimento accanto alla durata: la dimensione temporale diventa ciò in cui si produce
il passaggio. Nella Sposa il riferimento al femminile è affrontato come culmine di una trasformazione, inter
soggettiva e rappresentabile solo come ingranaggio in funzione.
La Scatola verde fu pubblicata nel 1934, ma la stesura di appunti, note e disegni risale al 1912. In essa sin trovano
descrizioni per il Grande Vetro, con parole e disegni.
L’ironia, accanto alla paradossale invenzione di nuovi accostamenti di oggetti, frammenti del reale e
dell’immaginario, dava luogo in questo periodo ad una trasformazione del linguaggio artistico. Nel 1913 si apre per la
prima volta a New York l'International Exhibition of Modern Art, nota come Armony Show: i critici fecero capire che
l’innovazione consisteva nella deformazione e nell’assenza di naturalismo e figurazione, nell’intensità estrema dei
colori e nella libertà d’esecuzione.
L'Armony Show aveva la funzione di imprimere nel panorama americano, ripetitivo e influenzato da modelli europei,
una profonda svolta. “Duchamp espose Nudo che scende le scale n 2”, che portò l’effetto desiderato: portava non
solo scandalo, essendo considerato un’opera decente e immorale, ma anche curiosità. Questi fatti indirizzarono l’arte
americana verso un nuovo rapporto con l’arte la cultura europea che non si sarebbe più interrotto.
Attraverso il disegno Duchamp prende le distanze dalla pittura retinica e trova il mezzo che gli consente di pensare
diversamente la linea, il piano e le figure nello spazio: sperimenta così la possibilità di ridurre le forme e i mezzi della
pittura per arrivare a ciò ne oltre il visibile e l’apparenza costituisce l’idea. Disegno che si accorda alla parola, usata
al posto del colore. La perdita di fisionomie si traduce in una smaterializzazione degli oggetti, che è
rimaterializzazione del meccanismo o azione del linguaggio.
La ruota di bicicletta, assieme alla Macinatrice di cioccolato, si muove verso una concezione totalmente nuova
dell’oggetto. Duchamp sperava di raggiungere una totale dissociazione tra parola scritta e immagine disegnata per
poter espandere il significato di entrambi.
Anche con Avere l’apprendista nel sole Duchamp sperimenta la dissociazione tra parola scritta e immagine disegnata,
per poter espandere il significato di entrambi. Il salire del ciclista etico, lungo una linea obliqua, ricorda
simbolicamente il salire dei celibi verso la sposa nel grande Vetro. La Macinatrice di cioccolato girerà nella parte
inferiore del Vetro, così come le ruotare della bicicletta sulla quale il ciclista è piegato. Duchamp stava quindi
cercando di ridurre i mezzi, l’aspetto visivo della pittura, per spostare l’attenzione verso la semplice linea senza
spessore. Cercava di andare oltre la fisionomia delle cose, per trovare la distanza mentale tra l’occhio l’oggetto,
ponendo il problema della distanza tra rappresentazione dell’oggetto e presentazione del suo dispositivo concettuale:
usare il disegno per cercare non la trasposizione del reale, ma la figurazione di un possibile.
Scultura musicale è un’opera composta estraendo a caso delle note da un cappello, per venticinque volte: i suoni
derivati erano mesi insieme su un canto a tre voci. Questo per dimostrare come una nota musicale non è più la stessa
se si fa intervenire la casualità. Duchamp tenta poi con altri esperimenti di condurre l’arte ad un processo di
fabbricazione, ovvero ad un’articolazione di i di azioni verificabili che chiunque avrebbe potuto ripetere. Seguendo
questa ipotesi egli prende tre pezzi di filo della lunghezza di un metro e uno alla volta li lascia cadere orizzontalmente
su tavolette di vetro dall’altezza un metro, fissandoli poi nelle posizioni assunte a terra. Ognuno dei tre fili
modificava cadendo, una volta a terra, la misura iniziale. Tale nuova misura era il metro diminuito, il risultato tra la
lunghezza di un metro e l’intervento del caso (caso in conserva: linguaggio che pone il possibile e lo sperimentabile
come nuovi paradigmi conoscitivi). Duchamp vuole dimostrare che niente è certo e che ogni oggetto o parola può
mutare forma e funzione a seconda delle circostanze d’uso: l’imperfezione, l’errore e l’imprevedibile, sono parte del
processo creativo.
È nel 1913 che Duchamp colloca una “Ruota di bicicletta” con la forcella capovolta su uno sgabello da cucina: non
vi era alcuna intenzione di farne un’opera arte né di esporlo; era solo interessato a guardare il movimento della ruota.
Un gesto che avrebbe sottoposto alla riflessione estetica gli interrogativi più radicali: è arte? È bello? È utile? È
unico?. Il 1913 è la data acquisita per l’azione in cui Duchamp avrebbe nominato un oggetto come ready made, già
fatto: preso da un contesto ordinario e modificato con un minimo intervento
“I baffi di Monna Lisa e Rose Sèlavy. Dada e Duchampi”
il primo readymade ( ruota di bicicletta) anticipava con gesti e ricerche lo spirito provocatorio del Dada. Nel 1919 a
Parigi Duchamp incontra Picabia, tornato acnhe lui dallìAmerica. Picabia è in stretto contato con il dada di Zurigo ,
città dove Hugo Ball e sua moglie avrebbero dato origine alle azioni dadaiste che avrebbero confluito nell'attività del
Cabaret Voltaire n.1. La prima mostra dada viene organizzata alla galleria Montaigne, ma Duchamp preferisce non
parteciapere. In quel periodo realizza il readymade, “L.H.O.O.Q.” 1919, una riproduzione (manifesto) della Gioconda
di Leonardo da Vinci su cui Duchamp aggiunge un paio di baffi e una barbetta. Il titolo era un gioco di parole, in
francese Elle a chaud au cul ( lei ha caldo il culo). Il suo intendo è del tutto provocatorio mette un paio di baffi a
un'opera esemplare del'arte, con ciò voleva dimostrare che anche la storia dell'arte poteva essere usata come
readymade. Nel 1919 realizza altre due re