vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Cybercondria: l’ipocondria ai tempi di Dr. Google
Sommario:
1. Introduzione…………………………………………………………………………………….1
2. Online Health Search………………………………………………………………………….1
3. Lo studio di White e Horvitz…………………………………………………………………..2
4. Un esempio positivo: l’Health On the Net Foundation……………………………………..3
5. Conclusioni……………………………………………………………………………………..4
6. Bibliografia………………………………………………………………………………………4
1. Introduzione: con il termine “cybercondria” si fa riferimento ad un infondato incremento
dello stato di preoccupazione, nei confronti di sintomatologie comuni, basato sui risultati
forniti dai motori di ricerca e sulla letteratura online. Si tratta di un neologismo, derivato
dall'unione delle parole “cyber” ed “ipocondria”, utilizzato per la prima volta nell’aprile del
1
2001 sul sito BBCnews e in un articolo pubblicato sul quotidiano britannico The
2
Independent .
Ci sono due tipi di cybercondriaci: quelli che pensano di essere malati e non lo sono, e
quelli che sono malati ma dopo aver cercato i propri sintomi su internet decidono di avere
3
qualcosa di molto più serio .
Lo scopo di questa breve trattazione è quello di approfondire il tema della cybercondria
individuandone le cause tra le modalità di ricerca online e suggerendo una possibilità per
migliorare la situazione.
2. Online Health Search: Internet si presenta come uno strumento dalle potenzialità
enormi nella divulgazione di materiale informativo di natura medica. Per cercare di chiarire
quanto e in quale modo la popolazione americana sfrutti internet per la propria salute, dal
2006 è partito il progetto Online Health Search del Pew Research Center, che riporta
4
annualmente i risultati di un sondaggio. Nel 2006, lo studio rivelò che :
L’80% di chi utilizzava internet ricorreva alla ricerca online per informazioni di carattere
• medico;
Una tipica ricerca di informazioni mediche online comincia da un generico motore di
• ricerca (67%) ed include la visualizzazione di numerosi siti;
Il 75% di coloro che intraprendono una ricerca di questo tipo non controllano la fonte e la
• data delle informazioni consultate.
Per quanto riguarda lo stato d’animo conseguente alla ricerca, gli intervistati scegliendo a
risposta multipla tra una lista di otto possibilità, di cui quattro positive e quattro negative si
sono dichiarati generalmente: 1
74% rassicurati di poter compiere le 25% schiacciati dalla mole di
• •
scelte appropriate sulla propria salute informazioni trovate
56% fiduciosi verso la possibilità di 22% frustrati per la mancanza di
• •
parlare con il loro dottore informazioni o l’incapacità di trovare ciò
56% rasserenati o confortati dalle che stavano cercando
• informazioni trovate 18% confusi
•
51% desiderosi di condividere le nuove 10% spaventati
• •
" conoscenze con altri
Lo studio è proseguito costantemente negli anni e gli ultimi dati disponibili, risalenti al
5
gennaio 2013 , confermano all’incirca le percentuali di 7 anni prima. Un dato importante
evidenziato nel 2013 è che solo il 53% di chi ha compiuto una ricerca sulla propria
sintomatologia ha poi contattato un medico. Di questi il 41% ha ricevuto conferma della
propria autodiagnosi.
Nell’ultimo anno, inoltre, è emerso il frequente desiderio da parte dei pazienti di
confrontare la propria esperienza con quella di altri utenti: il 16% di chi usa internet ha
affermato di aver cercato casi simili al proprio ed il 26% ha letto o seguito online la storia
clinica di qualcun altro.
È evidente che lo scenario descritto dai risultati di queste ricerche rende il web
particolarmente attrattivo per coloro che già mostrano una predisposizione all’ipocondria.
3. Lo studio di White e Horvitz: la preoccupazione per questa condizione in costante
crescita ha portato, nel novembre 2008, al primo studio specifico sul tema della
cybercondria. Si intitola “Cyberchondria: Studies of the Escalation of Medical Concerns in
6
Web Search” ed è stato condotto per la Microsoft Research da Ryen W. White e Eric
Horvitz.
Il primo aspetto che emerge dal loro lavoro è che la maggior parte del materiale medico
reperibile online è di scarsa qualità. Inoltre, esporre persone prive di una preparazione
medica adeguata ad una terminologia complessa ed alle descrizioni dettagliate di
condizioni patologiche può condurre ad un elevato rischio di auto-diagnosi inaccurate e
soprattutto di pericolose misure di auto-medicazione.
Tipicamente, l’ipocondria è caratterizzata dalla paura che un sintomo irrilevante possa
indicare una malattia seria e dalla preoccupazione ossessiva per lo stato del proprio
corpo. Gli ipocondriaci tendono inoltre a dubitare delle diagnosi del proprio medico,
interpretando ogni tentativo di rassicurazione come un’eccessiva superficialità.
La cybercondria in particolare è caratterizzata da sessioni di ricerca online molto frequenti
e lunghe, con la ripetizione delle stesse chiavi di ricerca e con ricorrenti escalation 2
nell’ambito delle singole sessioni. Bastano pochi clic per innescare una spirale di ricerche
che conduce a conclusioni superficiali con conseguenze importanti di ansia e stress.
Questi climax sono facilitati dal ricorso a motori di ricerca generici, che mostrano i risultati
ordinati secondo la frequenza delle visualizzazioni. White e Horvitz hanno condotto a tal
proposito una ricerca basata sulla probabilità di menzione della causa ricercando il
sintomo con motore di ricerca generico (es: Miscrosoft’s Live Search). È risultato, per
esempio, che digitando un sintomo banale come “mal di testa”, si ha la stessa probabilità
(26%) che venga suggerita come causa l’astinenza da caffè piuttosto che il tumore al
cervello. Questo è dovuto soprattutto all’elevata sproporzione fra la quantità di articoli e
pagine che parlano, in questo caso, di tumore al cervello rispetto a quelli che parlano di
astinenza da caffeina, in relazione all’effettiva probabilità che si verifichino le due
situazioni. Si tratta sicuramente in primo luogo di una questione di interesse medico: i casi
più gravi ma meno frequenti sono spesso i più stimolanti, quelli sui quali la letteratura
medica è più ricca. La grande quantità di materiale a riguardo rende quindi più facile la
visualizzazione casuale di tali malattie fra i risultati della ricerca; nel processo di
escalation, alla lettura accidentale del nome fa seguito una ricerca specifica sulla malattia.
Questo fa sì che le pagine sulla patologia in questione vengano visualizzate ulteriormente,
incrementando la probabilità che compaiano nei risultati di una ricerca futura (un circolo
vizioso da cui si genera sempre più ansia per il paziente).
Inoltre, generalmente vengono citati quadri clinici estremamente rari, inseriti soprattutto
per completezza. In aggiunta, spesso gli articoli sono accompagnati da immagini molto
forti, che possono risultare sgradevoli o addirittura traumatizzanti per un lettore
impressionabile. Queste immagini non hanno alcuna utilità ai fini dell’autodiagnosi,
specialmente perché di solito rappresentano casi estremi o avanzati.
Il livello d’ansia raggiunto è spesso tale da provocare interruzioni continue nelle attività
quotidiane e lavorative, con un impatto notevole sulla vita del cybercondriaco.
4. Un esempio positivo: l’Health On the Net Foundation: per garantire a chi cerca
materiale online l’attendibilità delle informazioni trovate, l’organizzazione non-profit HON
7
ha pubblicato una Carta dei Diritti , con otto punti ai quali un sito deve attenersi per
ricevere la certificazione HON. Il raggiungimento di tale certificazione richiede la verifica
della scientificità dei contenuti espressi nel sito riguardo le fonti cliniche e bibliografiche dei
testi presentati. Tra gli otto principi da seguire è previsto che le informazioni provengano
da esperti qualificati, che incoraggino le relazioni tra paziente e medico, che le fonti siano
esplicitate e che sia chiaramente indicato un indirizzo email al quale rivolgersi per chiedere
8
ulteriori dettagli o supporto. La fondazione ha inoltre creato MedHunt , un motore di 3