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CAPITOLO 2 IL MINORE, LE FAMIGLIE E GLI OPERATORI: GLI ATTORI SOCIALI
DELL’AFFIDAMENTO FAMILIARE.
Il minore.
Solo di recente si sta cominciando a focalizzare l’attenzione sui vissuti emotivi del minore durante tutto
il percorso dell’affido e sui mutamenti nel suo mondo interno, in relazione alla sua identità di figlio e di
individuo. Innanzitutto, bisogna comprendere la qualità delle relazioni che il minore ha stabilito con le
figure genitoriali e le strategie che ha utilizzato per far fronte alle difficoltà presenti nel suo nucleo
familiare di appartenenza. È anche importante tener conto della fase evolutiva in cui il minore è stato
allontanato dai suoi genitori e inserito in una nuova famiglia.
Il bambino in affido può presentare numerose difficoltà: insuccesso scolastico, problemi relazionali
nelle interazioni con i pari o con gli adulti, comportamenti aggressivi auto diretti o eterodiretti o
comportamenti devianti. Queste difficoltà compromettono anche la percezione che essi sviluppano di sé,
infatti la maggior parte presenta bassa autostima.
I bambini per i quali viene attivato un provvedimento di affido hanno alle spalle storie di abuso e di
violenza, gravi deprivazioni di natura socioeconomica o genitori che presentano problemi psichiatrici o
di abuso di sostanze. Crescere in questi nuclei familiari disfunzionali non permette al bambino di
disporre degli adulti e del contesto familiare come luogo privilegiato in cui apprendere quelle abilità e
competenze necessarie per affrontare il mondo esterno. In età adulta, essi sono maggiormente esposti a
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disoccupazione e insuccesso scolastico, tendono a mantenere uno status sociale basso e a contare poco
sul supporto sociale.
L’esperienza con la famiglia affidataria non necessariamente riuscirà a colmare le lacune che il bambino
presenta. Al termine di tale percorso, infatti, potrà trovarsi in due condizioni: aver acquisito due
famiglie, quella affidataria capace di fornirgli le cure necessarie e quella naturale che, avendo ritrovato
le energie e le capacità di assolvere alle sue funzioni genitoriali, potrà così reintegrare nel proprio nucleo
familiare; o, al contrario, aver perso due famiglie, quella affidataria incapace di reggere alle sfide che
l’affido presenta e quella naturale in difficoltà nel risolvere le sue problematiche. Sono gli adulti che
ruotano attorno al bambino a far sì che questi possa aver acquisito o perso qualcosa grazie
all’affidamento, in quanto il minore, spesso, svolge un ruolo passivo.
L’elemento che egli subisce maggiormente è la scarsa definizione dei confini temporali dell’intera
esperienza. Questa incertezza può rendergli difficile comprendere il suo ruolo rispetto alle due famiglie.
Separazione e attaccamento esercitano un ruolo importante sullo sviluppo del minore, essendo
fortemente interconnessi fra loro: il modo in cui vengono gestite le separazioni può influenzare il
successo nella costruzione o nella ristrutturazione dei legami affettivi dei bambini. Sebbene, spesso, la
qualità delle relazioni emotive instaurate con i genitori naturali non sia ottimale ma costituisca, anzi, il
motivo principale per cui viene predisposto l’affido, tali rapporti si configurano, comunque, per il
minore come modelli relazionali attraverso cui definire il sé e anticipare l’andamento dei legami
affettivi che verranno stabiliti con altre persone significative. La reazione alla separazione dai genitori
sarà caratterizzata, probabilmente, dal timore di essere abbandonato e potrà essere vissuta come
conferma di non essere amato a sufficienza dai propri genitori, generando rabbia e forte conflittualità nei
confronti degli operatori e dei nuovi caregiver. Un’altra modalità di reazione potrebbe essere quella di
idealizzare le figure genitoriali, identificandosi come vittima di un provvedimento vissuto come
intrusivo e perturbante. Vi è, inoltre, la possibilità che il minore che ha vissuto esperienze
particolarmente traumatiche abbia costruito dei modelli di relazione molteplici e reciprocamente
incompatibili. Queste interpretazioni contraddittorie del bambino circa il sé e l’altro, che si attivano
simultaneamente o quasi in situazioni stressanti o di pericolo, ostacolano lo sviluppo di un senso di sé
coerente e integrato, capace di attribuire un significato unitario alle esperienze vissute; per questa
ragione, è molto probabile che l’esito evolutivo di tale bambino, in assenza di fattori protettivi
alternativi, sia di natura patologica.
Di fondamentale importanza sarà il modo in cui gli adulti condivideranno con il bambino la scelta
dell’affido e come lo aiuteranno ad assimilare e elaborare il distacco dalla famiglia di origine.
La famiglia d’origine.
Bisogna distinguere tra fattori di rischio prossimali e distali. I primi esercitano un’influenza diretta sul
minore, nel secondo caso, invece, gli effetti sono indiretti. I fattori di rischio ambientali sul minore si
possono dividere in 5 macrocategorie che includono sia i fattori distali che quelli prossimali:
- processi familiari, tra cui clima emotivo negativo, scarsa qualità del rapporto coniugale,…
- caratteristiche genitoriali, tra cui malattia di uno o entrambi i genitori, basso senso di efficacia,
mancanza di risorse personali e basso grado di istruzione;
- mancanza di supporto della comunità;
- pari, ossia presenza di gruppi di pari con condotte antisociali;
- vicinato, tra cui basso status socioeconomico e basso livello di istruzione degli abitanti del
quartiere, bassa qualità della scuola e problematiche inerenti il quartiere.
Nella situazione italiana si evidenzia, come motivazione preponderante dell’allontanamento del minore,
la presenza di condotte abbandoni che e/o di trascuratezza grave da parte della famiglia di origine. Le
problematiche della famiglia di origine si differenziano anche rispetto alla tipologia di affidamento che
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verrà attivato. In particolare, si preferisce l’affido intrafamiliare nei casi di tossicodipendenza o di
detenzione di uno o entrambi i genitori, in quanto di fronte a problematiche individuali, la famiglia
allargata può costituire un fattore protettivo per il minore, riuscendo a sopperire alla mancanza della o
delle figure genitoriali. Quando, invece, le difficoltà sono più di natura ambientale, come nel caso di
grave deprivazione economica, si preferisce l’affido etero familiare, dato che il contesto familiare di
appartenenza non sembra poter offrire un contributo valido, in quanto le problematiche sono
probabilmente condivise con tutta la famiglia allargata. Possiamo distinguere tra situazioni per le quali è
più facile prevedere un recupero della famiglia naturale rispetto alle sue funzioni, come nel caso di
separazioni o presenza di difficoltà lavorative ed economiche, e situazioni in cui risulta più difficile
ipotizzare un cambiamento nelle dinamiche familiari, come nei casi di violenze e abusi. Spesso la
struttura familiare, durante il percorso di affido, subisce importanti cambiamenti: altri figli possono
essere allontanati perché è stato disposto un ulteriore affidamento o perché è stata dichiarata la loro
adottabilità, i figli più grandi possono uscire dal nucleo familiare o la famiglia può allargarsi con un
nuovo nato. Possono anche intervenire cambiamenti all’interno della coppia, che può andare incontro a
una separazione, un divorzio e conseguenti nuove unioni. Questi cambiamenti fanno si che non sia solo
l’allontanamento del minore ad alterare gli equilibri della famiglia. Comunque, la separazione del
bambino dal suo nucleo familiare di origine costituisce per i genitori biologici un fattore fortemente
traumatico in quanto minaccia l’equilibrio, seppur patologico, che il sistema familiare aveva costruito.
Diviene necessario distinguere tra le situazioni in cui è la famiglia d’origine che decide di allontanare il
minore e quelle in cui sono gli operatori sociali a sottrarre il bambino da un contesto familiare
inadeguato. Nell’affido consensuale l’evento critico, seppur doloroso, viene anticipato dalla famiglia di
origine, che ha la possibilità di elaborare l’evento e di trovare strategie che la aiutino a saperlo
fronteggiare. In tal caso, è probabile che il nucleo familiare viva sentimenti ambivalenti che oscillano tra
il desiderio di garantire condizioni migliori al proprio figlio e la difficoltà a gestire la separazione e a
prendere coscienza delle proprie difficoltà. Nel caso dell’affido giudiziario, invece, questo costituisce un
evento critico non prevedibile, per cui diventa più difficile la sua accettazione. La maggior parte di
queste famiglie non riesce a instaurare relazioni positive con gli operatori sociali, percepiti spesso come
ostili, motivo che porta la famiglia a un isolamento e a una chiusura spesso impenetrabili. Le difficoltà
che la famiglia d’origine maggiormente vive riguardano il mantenere i contatti con il proprio figlio e il
sentirsi esclusi rispetto alle decisioni concernenti il minore. I sentimenti che spesso accompagnano
questo evento saranno caratterizzati da incredulità, rabbia, senso di impotenza o competitività con l’altra
famiglia.
La famiglia affidataria.
Il profilo delle famiglie affidatarie si configura come abbastanza simile al prototipo di famiglia ideale,
costituita nella quasi totalità dei casi da una coppia (molto spesso coniugata) con eventualmente dei
figli. C’è anche una percentuale modesta di persone singole, specialmente nei casi di affido
intrafamiliare. In genere, sono le persone più grandi e mature a dichiararsi disponibili per l’esperienza di
affido. È possibile ipotizzare che gli affidatari, specialmente quelli di sesso maschile, si sentano maturi e
pronti ad affrontare il percorso di accoglienza di un minore all’interno del proprio nucleo familiare in
una fase più avanzata del ciclo di vita, quando si è raggiunta una maggiore stabilità lavorativa e
abitativa, per cui le energie non sono più focalizzate sull’affermazione sociale del sé ma vi è anche lo
spazio per l’apertura verso il sociale. Inoltre, le coppie affidatarie hanno già alle spalle numerosi anni di
vita in comune, molte coppie hanno già dei figli, spesso abbastanza grandi da permettere ai genitori
affidatari di convogliare tutte le energie emotive sul nuovo arrivato. La presenza di “fratelli” più grandi,
inoltre, può permettere al bambino affidato di non sentirsi in competizione con i figli biologici della
coppia affidataria. Anche rispetto alle caratteristiche socioculturali, le famiglie affidatarie si configurano
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come un contesto protettivo per il minore, in quanto sono caratterizzate da un