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IBRIDAZIONE CON SONDE
Allora lo schema generale per un primo approccio, quello più lineare, più semplice, diciamo quando
è possibile, è quello naturalmente di fare che
cosa? I singoli cloni devono essere analizzati con
sonde, naturalmente non si può fare questo su
una piastra Petri con l’agarosio, non è possibile
tecnicamente, quindi la stessa informazione
viene trasferita in un supporto solido, che è un
filtro, nitrocellulosa o nylon, che permette di
trasferire questo materiale genetico, replicando
in una specie di replica plating, replicando la
stessa informazione, cioè lo stesso pattern di
cloni esattamente su un supporto questa volta
solido, che può essere trattato nelle procedure
successive di ibridazione. Quindi c’è un’operazione che si chiama di lifting proprio, cioè si mette il
filtro a contatto con la superficie, dove ci sono le colonie o le placche, appunto io continuo a
considerare le due cose equivalenti, cioè si può fare l’uno e l’altro con la stessa procedura, colonie
o placche, questo filtro aderirà perfettamente, dopodiché questo filtro si tira via e qui ci sarà lo
stesso pattern che vedete qua, naturalmente con un materiale che è sempre una piccola quantità
di quello che può essere trasferito, non è importante che si sia trasferito l’80%, per avere un buon
risultato basta che se ne sia trasferito il 10%. Quindi in ogni caso questo pattern vedete è identico a
quest’altro, ma è fissato sul filtro, questo filtro verrà trattato, perché il DNA di fatto deve essere
accessibile ad un’analisi tramite ibridazione, quindi deve essere un DNA nudo, disponibile ad
ibridare, ovviamente, e siccome questo materiale che per il momento è sul filtro, o sono ancora
cellule batteriche, o sono ancora particelle fagiche, a seconda del sistema di clonaggio, ovviamente
bisognerà fare un trattamento perché questo DNA esca all’esterno e sia disponibile alle reazioni
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successive. Di solito lo si fa, ad esempio, trattando questi filtri con soda ad alta concentrazione e
questo fa che, sia che si tratti di particelle fagiche, che di cellule, provoca un dissemblamento delle
particelle fagiche o una lisi dei batteri e le molecole di DNA vengono riversate all’esterno; all’esterno
vuol dire nelle immediate circostanze, cioè rimangono in situ, non è che se ne vanno per conto loro,
rimangono qui, ma sono all’esterno, cioè sono liberate dagli involucri, che prima li contenevano. Tra
l’altro la soda simultaneamente fissa il DNA al filtro, per cui ha anche questa reazione: il DNA liberato
all’esterno, che uno può pensare che abbia delle reazioni successive in cui viene messo il liquido di
ibridazione, uno può pensare che comincia a navigare per conto proprio, rendendo impraticabile il
test; invece ha due azioni la soda: uno, libera il DNA dalla struttura sopramolecolare cellulare,
chiamiamola; poi denatura il DNA, perché la soda ha pH superiore a 12, e lo fissa al filtro, evita che
si allontani e fa sì che rimanga in situ, cioè che rispetti la propria posizione, cosa che è abbastanza
fondamentale per il risultato successivo. Quindi le operazioni successive saranno quelle di che cosa
fare? Di pescare per complementarietà delle sequenze che sono presenti all’interno dei cloni.
Complementarietà vuol dire che noi potremmo utilizzare una sonda, che è una piccola parte della
sequenza che andiamo a clonare, perché se lo andiamo a clonare vuol dire che non abbiamo l’intera
informazione, o la abbiamo parziale, o che per esempio deriva da un organismo diverso da quello
che stiamo studiando, molte volte perché si clona, avendo già una sonda di quel gene? Perché
probabilmente quel gene non è una sequenza completa, ne avevamo solo un pezzettino, vogliamo
clonare tutto il gene, oppure quel gene è un cDNA, cioè un gene maturo che deriva da una
retrotrascrizione di mRNA, in questo caso siccome noi vogliamo prendere il gene com’è in partenza
sul genoma, vuol dire che se è un gene eucariotico, questo gene ha per esempio ancora gli introni,
non solo ma ha anche tutte le zone regolative, quindi è un gene molto più complesso e grande: il
cDNA potrebbe essere 500 nucleotidi, il gene genomico potrebbe essere invece 10.000/20.000
nucleotidi, cioè una dimensione di gran lunga superiore. Però è sufficiente avere una sonda magari
soltanto di 30/40 nucleotidi per pescare una cosa anche molto grande, l’importante è che lo
contenga, che contenga questa informazione. Quindi ci sarà un uso di sonde, che sono quelle che
disponiamo o quelle che ci creeremo noi, perché vedremo che le sonde possono anche essere
costruite da noi, che dovranno essere marcate, perché quest’operazione si fa con quantità talmente
basse di DNA che l’operazione sarebbe invisibile, non potremmo se non attraverso la marcatura
identificare il fatto che una sonda, cioè una molecola, un singolo filamento di DNA o RNA, va a
ibridare sulla nostra colonia o placca. Questa interazione, questa ibridazione deve essere amplificata
il più possibile e lo si fa attraverso la marcatura; quindi le sonde dovranno essere marcate, il sistema
utilizzato in passato era con il fosforo 32 (P32), quindi con un radioattivo che emette particelle beta
ed è un sistema che funziona benissimo, però è chiaro che se uno non ha diciamo tutto quello che
gli serve per maneggiare il radioattivo e il posto giusto per farlo ci sono dei sistemi alternativi, non
radioattivi, di marcatura che funzionano molto bene. Una volta ibridato si va ad identificare i cloni
che sono positivi, quindi questo è uno schema del processo, naturalmente ogni punto avrà delle
cose critiche che noi andremo a vedere, cioè delle cose che devono essere viste un po’ più nel
dettaglio. 63
LE SONDE A DNA
1) La prima cosa è le sonde, allora come dicevo, possono essere delle sequenze che qualcuno c’ha
dato, dei frammenti di DNA già clonati e se c’è questa possibilità è la cosa migliore, perché un
frammento di DNA clonato, può essere un frammento di diverse centinaia di nucleotidi, che dà
un’informazione molto specifica; difficile pensare che un frammento di DNA, per dire che è una
sonda, di 400 nucleotidi vada a ibridarsi casualmente, cioè si andrà a ibridare in maniera specifica al
nostro gene o a dei geni duplicati o comunque, voglio dire, la possibilità di errato appaiamento, di
errato riconoscimento è ridotto al minimo in questo caso, proprio perché l’informazione è molto
lunga e molto complessa.
2) Chiaro che in certi casi potremmo non avere a che fare con, potremmo non avere a disposizione
una sonda, per esempio, cioè fisicamente nessuno ci ha fornito un pezzo di DNA che noi possiamo
utilizzare con una sonda, ma potremmo per esempio pensare di crearla noi, perché la sequenza
almeno parziale di quel gene è nota, è stata duplicata, quindi a questo punto noi faremmo costruire
una sonda sulla sequenza nota, attraverso la produzione di sonde sintetiche, cioè che vengono
prodotte chimicamente semplicemente aggiungendo nucleotide dopo nucleotide, producendo un
oligonucleotide. Queste sonde ovviamente, siccome la resa che c’è nella costruzione di queste
sonde è piuttosto bassa, difficile fare un oligonucleotide di 400 nucleotidi, nessuno lo fa, perché
avrebbe un prezzo vicino al bilancio dello stato italiano, nel senso che la resa è bassa, per cui potete
immaginare che se la resa è il 10%, ad ogni nucleotide che aggiungete, il 10% del 10%, voi vi rendete
conto che gli oligonucleotidi che vengono fatti non superano di solito i 30 nucleotidi, perché è chiaro
che oligonucleotidi superiori sarebbe un costo troppo elevato, inferiori non sarebbero attendibili,
l’informazione sarebbe troppo corta e troppo scarsa per essere specifica, quindi una sonda di, non
so, 12 nucleotidi, ok costa poco, ma voglio dire insieme al vostro gene c’è rischio che ne riconosca
altri 70/80/100, per cui magari vi vengono 80 cloni positivi ma solo uno è quello vostro, quindi non
è consigliabile. Quindi è sempre un compromesso ovviamente; quindi bisogna utilizzare per questo
tipo di operazione degli oligonucleotidi tra i 20 e i 30, è una cosa accettabile.
MARCATURA DELLA SONDA
Torniamo alla cosa più normale cioè al fatto che ci sia un frammento di DNA già clonato, quali sono
le procedure per marcarlo? Perché questa sonda deve essere
marcata.
1) Marcare con radioattivo significa sostituire l’informazione dei
nucleotidi freddi, cioè quelli non radioattivi, della sonda, con
nucleotidi caldi, cioè radioattivi e per fare questo si deve fare
un’operazione in cui il DNA deve essere come riparato, cioè digerito
e risintetizzato, e questa è la procedura della cosiddetta nick
translation, cioè una procedura in cui viene data una DNasi, DNasi
1, che introduce dei nick casuali, quindi delle rotture a singolo
filamento, sparse casualmente sul DNA, dopodiché si dà la
polimerasi quella della duplicazione del Coli, che se vi ricordate è
capace di correggere i propri errori, cioè quando va avanti, cioè in direzione 5’-3’ sintetizza,
polimerizza, quando torna indietro, da 3’ a 5’, si rimangia quello che ha sintetizzato o comunque
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digerisce il singolo filamento di DNA, lasciando scoperto lo stampo. Quindi diciamo che la situazione
è questa: se la DNasi ha introdotto un nick qui, la polimerasi 1 che c’ha un’attività esonucleasica può
fare così; poi siccome lei ha anche attività polimerasica che cosa fa? Si mangia i filamenti, come se
facesse una specie di riparazione del DNA e in presenza di un nucleotide radioattivo, risintetizza il
DNA, questa volta inserendo nucleotidi radioattivi. Quindi nel processo di riparazione del DNA,
prima se lo digerisce, in parte, poi lo risintetizza, fa continuamente questa operazione e ogni volta
che lo risintetizza, siccome voi gli avete dato dei nucleotidi di cui almeno uno è radioattivo, per
esempio un ATP radioattivo con fosforo 32, un GTP radioattivo con fosforo 32, certo uno non li
mette tutti radioattivi non è necessario, è sempre per una praticità di costi. Ovviamente questo è il
DNA e avrà inserito, non in tutte le posizioni, non i tutti i residui, ma avrà inserito il P32. Poi che cosa
si fa? Si denatura e abbiamo dei filamenti, dei singoli filamenti, in cui una parte di neosintesi, che
sarà radioattiva, quindi questo qui che è di neos