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Il primo risultato sul quale riflettere è la tendenza all'abbassamento del livello sociale delle famiglie d'origine degli insegnanti.

Questa tendenza si riscontra in tutti i paesi per i quali vi sono ricerche analoghe alla nostra. Non si tratta quindi di una specificità del caso italiano, ma di un fenomeno che denota la scarsa desiderabilità sociale della professione di insegnante.

Con altre parole, soprattutto i figli (ma ormai anche le figlie) delle classi dirigenti percepiscono la prospettiva di diventare insegnanti come una forma di declassamento e quindi tendono a scartare questa opportunità.

Uno degli effetti di questa tendenza è la riduzione della distanza sociale tra docenti e studenti provenienti dalle classi medio-basse (con possibile riduzione dello "svantaggio culturale" di questi ultimi) e, invece, un aumento della stessa distanza tra docenti e studenti di classe medio-alta (con conseguente possibile "minorizzazione" dell'importanza dell'istruzione per quest'ultima categoria).

rispetto" dei rampolli delle classi alte nei confronti dei loro insegnanti). Questa tendenza si ripercuote anche sul "mercato matrimoniale" dove l'insegnante (soprattutto se maschio) risulta scarsamente appetibile come partner da coloro che si collocano o ambiscono arrivare ai vertici della scala sociale. Questa tendenza è probabilmente irreversibile in quanto è connessa alla diffusione dell'istruzione di massa. Ciò non vuol dire che il processo non possa essere efficacemente frenato, attraverso le leve di una politica di riqualificazione professionale degli insegnanti e di sostegno della loro immagine pubblica. Su questo tema torneremo nei punti successivi.

Collegato al punto precedente è il fatto che una quota consistente di insegnanti percepisce una caduta del prestigio della propria professione e un numero minore, ma sempre cospicuo, pensa che questa tendenza non si arresterà in futuro. Tra gli insegnanti serpeggia il pessimismo.

Anche questo non è un fenomeno soltanto italiano, ma probabilmente da noi la tendenza è accentuata per lo scarso riconoscimento sociale del valore della professione in termini di ricompense sia materiali sia simboliche. Il pessimismo riguardante la propria professione si proietta sul mondo circostante, un mondo nel quale gli insegnanti vedono affermarsi "valori" che essi dicono di non apprezzare, mentre i valori nei quali essi dichiarano di credere appaiono in declino. Si conferma quindi il quadro valoriale improntato al pessimismo che era stato messo in luce nell'indagine dei primi anni '90. Da questa "sindrome" risultano, almeno in parte, esenti le insegnanti delle scuole materne e, ma in misura minore, i docenti elementari. Il pessimismo sulla condizione e sull'evoluzione del prestigio della professione non impedisce che molti insegnanti rifarebbero la stessa scelta professionale e non hanno intrapreso nessuna azione per cambiare mestiere.

Nonostante le espressioni di disagio, vi sono anche segnali di soddisfazione professionale al punto che viene il sospetto che il pessimismo rifletta una sorta di atteggiamento stereotipato in base al quale non ci si sente a proprio agio nelle relazioni tra parenti, amici, colleghi se non ci si lamenta delle cose che non vanno. Gran parte degli insegnanti intervistati si sentono degli impiegati, mentre vorrebbero essere dei professionisti, o almeno dei funzionari, se non propri degli operatori impegnati nel sociale. Emerge un divario molto marcato tra essere e dover essere della professione, divario che tuttavia rivela anche una domanda di professionalità particolarmente accentuata. Il sentirsi parte di un organismo burocratico che impedisce lo sviluppo della professionalità risulta essere una delle maggiori fonti di frustrazione del corpo docente. Considerando il livello di vocazionalità (inteso come valorizzazione delle caratteristiche non acquisitive della professione),quali lo spirito di sacrificio, la sensibilità d'animo, l'amore e l'essere d'esempio per gli alunni) e il livello di impegno nel proprio lavoro (inteso come grado di motivazione e coinvolgimento nella professione) emerge che il gruppo più "problematico" (composto da coloro che sono nello stesso tempo "non vocazionali" e "non impegnati") costituisce nelle elementari e nelle medie il gruppo numericamente più3ristretto, mentre nella secondaria superiore assomma ad un terzo del totale ed è il tipo di maggioranza relativa. Una delle componenti del complesso di cause che spiegano il disagio degli6. insegnanti e il vissuto di "declino sociale" della professione è, almeno per il caso italiano, la consapevolezza di non aver ricevuto una vera e propria rigorosa "formazione professionale". Che "valore" può avere una professione per la quale fino ad epoca recente non si riteneva.necessaria una formazione professionale specifica, soprattutto in un mondo dove sembrano contare sempre più le competenze fondate su un sapere specialistico? La mancanza di formazione professionale si aggiunge al fatto che molti insegnanti sanno di essere entrati nella scuola senza una rigorosa selezione all'ingresso. Che "valore" può avere una professione che non filtra adeguatamente coloro che aspirano a praticarla? La carenza di formazione professionale è avvertita non tanto (o non solo) per quanto riguarda i contenuti disciplinari specifici della materia insegnata, quanto piuttosto in riferimento ai problemi educativi, pedagogici e, soprattutto, didattici. Gli insegnanti della scuola superiore, in particolare, sembrano denunciare difficoltà relazionali nei confronti degli adolescenti e dei giovani che popolano le loro classi, anche se, rispetto alla situazione rilevata dieci anni fa, sembra esserci stato qualche miglioramento. All'assenza di

Una specifica formazione iniziale gli attuali insegnanti hanno, più o meno volontariamente, dovuto far fronte attraverso le attività di formazione in servizio alle quale hanno massicciamente partecipato negli ultimi dieci anni. Anche se le critiche alle modalità di effettuazione delle attività di aggiornamento sono frequenti, nel complesso la maggior parte degli insegnanti ritiene di aver tratto beneficio dalle stesse. Le risorse impiegate nell'aggiornamento saranno state in parte "sprecate". E' vero che lo scarso sviluppo delle scienze dell'educazione fa sì che nel nostro paese sia difficile trovare anche chi sappia insegnare agli insegnanti. Tuttavia, non si può negare che l'aggiornamento sia stata una risposta, sia pure parziale, ad un bisogno reale di formazione.

Alla rivalutazione del prestigio sociale degli insegnanti non giova certo che si tratti di una "carriera" regolata essenzialmente in modo burocratico.

non solo privadi efficaci filtri all'ingresso, ma priva di verifiche nel suo corso e di un articolatodisegno di progressione. Una professione che pone sullo stesso piano chi siimpegna e produce buoni risultati da chi cerca di fare il meno possibile, deludendogli "utenti", non può certo brillare in termini di prestigio. L'eccellenza si rifletteanche su chi eccellente non è, se viene riconosciuta. In assenza di riconoscimento,mancano gli incentivi elementari alla prestazione eccellente. Gli insegnanti, inmaggioranza, sono consapevoli che la riqualificazione della loro professionepassa inevitabilmente attraverso l'introduzione di strumenti di valutazionedella qualità e dell'impegno professionale. La questione, come è ben noto, èassai delicata e su di essa si è arenato il tentativo di dare applicazione ad unaccordo sindacale che, molto innovativamente nel contesto italiano, prevedeva dilegare i miglioramenti

Retributivi al merito e all'impegno. In base ai dati della nostra ricerca, si può dire che il problema non è il "se", ma il "come" dell'valutazione; la "cultura della valutazione" ha incominciato a far breccia nellascuola, anche se la strada da percorrere è probabilmente ancora piuttosto lunga. Del resto, non c'è da stupirsi se molti insegnanti sono perplessi di fronte al rischio che le modalità di valutazione siano arbitrarie e poco fair, la loro esperienza come valutatori dei propri allievi non è incoraggiante quando ci si dovesse trovare dalla parte di chi deve essere valutato. La stragrande maggioranza dei consensi si concentra intorno alle modalità 9. dell'autovalutazione (individuale da parte del singolo insegnante, oppure collettiva da parte di un team di insegnanti), mentre vi è un netto rifiuto di ogni forma di valutazione compiuta da soggetti interni o esterni al sistema.

(esperti, dirigenti scolastici, colleghi) o con metodologie considerate intrusive (visite nelle classi o video registrazioni). Nella loro pratica quotidiana molti insegnanti non hanno ancora sviluppato

l'idea che è possibile migliorare le pratiche di valutazione al fine di

aumentare il loro grado di oggettività. In assenza di una consapevolezza

profonda delle dimensioni etiche del problema della valutazione e di un'adeguata

formazione professionale sulle tecniche, molti insegnanti devono ammettere che le

loro stesse pratiche di valutazione degli allievi sono improntate o a un

dilettantismo superficiale o alla pura ricezione delle modalità tradizionali. Inoltre,

la valutazione del profitto scolastico non deve avere soltanto un significato

selettivo/sanzionatorio (per premiare i meritevoli, richiamare al dovere gli

svogliati e correggere i più manchevoli), ma deve essere un modo attraverso il

quel gli insegnanti stessi hanno sistematicamente

L'occasione di monitorare l'efficacia del loro operato. In realtà, sono gli stessi insegnanti a nutrire dubbi sull'efficacia di una valutazione "formativa". La "cultura della valutazione" richiede un atteggiamento favorevole verso i metodi empirici, una fiducia (ovviamente critica) sulla possibilità di misurare con sufficiente accuratezza le prestazioni e i rendimenti in modo da sottrarre la valutazione all'arbitrio del valutatore. Questo atteggiamento e questa fiducia non sono certo alimentati dal main stream della cultura pedagogica nazionale.

Nella pratica didattica quotidiana prevalgono ancora, anche se in misura meno marcata di dieci anni fa, e soprattutto nella secondaria superiore, le modalità tradizionali della lezione frontale, delle interrogazioni orali e dei compiti in classe. Le didattiche attive, i lavori di gruppo, le forme del cooperative learning, incominciano a comparire con maggiore frequenza nella scuola

La scuola materna ed elementare sono esperienze comuni, mentre sono ancora esperienze minoritarie a livello di scuola secondaria.

Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
8 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nadia_87 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof losito gianni.