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Goodman: La concezione tradizionale della verità come corrispondenza sembra informata al cosiddetto «mito intellettualistico», secondo il
quale le funzioni conoscitive sono circoscritte ad un ambito di pensiero che rappresenta o rispecchia fedelmente la «realtà». Alla base di
questa concezione vi è la metafora visiva che domina l'epistemologia occidentale che descrive la conoscenza come «onniveggente», in quanto
tenta non solo di rappresentare la realtà, ma anche di «percepire se stessa nella sua osservazione del mondo», estendendosi così in uno
sconfinato «potere di riflessione». Il monopolio dell'attività rappresentazionale che è alla base della teoria corrispondentista appare a
Goodman inadeguato a spiegare la verità, poiché «dove una rappresentazione non rappresenta alcunché non ci può essere questione di
somiglianza con ciò che rappresenta», né di corrispondenza. Per Goodman, la teoria della somiglianza deve essere rigettata, poiché non è in
grado di «specificare che cosa debba essere copiato. A suo avviso, non esiste «un’unica, preconfezionata, ma sfortunatamente inscopribile
realtà» che possiamo copiare o rispecchiare, poiché non esiste una realtà già bella e pronta, ma ci sono tanti modi o «innumerevoli differenti
descrizioni del mondo» che non possono essere messe alla prova confrontandole con «con un mondo non descritto» (Vedere e costruire il
«L’occhio compie la sua funzione sulla base di un’antica storia formativa, ossessionato dal suo passato e da vecchie e nuove
mondo).
insinuazioni dell’orecchio, del naso, della lingua, delle dita, del cuore e del cervello. Funziona non da solo, come uno strumento dotato di
potere proprio, ma come il membro deferente di un organismo complesso e capriccioso… Esso seleziona, respinge, organizza, discrimina,
associa, classifica, analizza, costruisce. Non tanto rispecchia, quanto raccoglie ed elabora» (I linguaggi dell’arte).
Quine: Nell’elaborare il suo approccio deflazionistico alla concezione della verità come «devirgolettatura», Quine avanza alcune sostanziali
obiezioni contro l’idea che la verità sia una questione di corrispondenza tra le parole e il mondo. Al riguardo, egli osserva: «ciò che ha senso
non è dire quali sono gli oggetti di una teoria, parlando in modo assoluto, ma come una teoria di oggetti è interpretabile o reinterpretabile in
un’altra». Per Quine, infatti, è insostenibile l’idea che un enunciato è vero se e solo se corrisponde a un poiché non è possibile chiarire la
fatto,
natura di corrispondenza tra entità costitutivamente diverse. Nonostante le sue espresse argomentazioni anti-corrispondentiste e il suo
olismo, alcuni interpreti sostengono che Quine, non riuscendo ad abbracciare fino in fondo il deflazioniamo, ricada in qualche forma di
corrispondenza. Per Quine, però, la concezione che la verità sia corrispondenza con la realtà è «vaga o vacua»; infatti si chiede: «Che cosa
dovrebbe corrispondere a che cosa, fra enunciati veri e realtà?». Ne segue che la concezione della verità intesa come corrispondenza tra le
parole e il mondo o tra gli enunciati e i fatti non possa essere presa sul serio, poiché comporta la postulazione di «elementi intangibili
intermedi» (il significato dell’enunciato e il fatto) che rendono in qualche modo la teoria della corrispondenza una «beffa». In una prospettiva
corrispondentista, infatti, se cerchiamo una corrispondenza parola per parola, non facciamo altro che «scimmiottare» la realtà con una
quantità enorme di «oggetti astratti» creati in modo artificioso e fittizio. Se invece optiamo per un tipo di corrispondenza tra rappresentazioni
e fatti, la verità di un enunciato deriva dall’esistenza del fatto che essa riporta. «Ma qui, ancora una volta, riempiamo di sostanza una dottrina
vuota». E continua chiedendosi: «Il mondo è pieno di cose, variamente correlate; ma che sarebbero, in aggiunta a tutto ciò, i fatti?». Essi
vengono postulati solo per salvaguardare la corrispondenza. Infatti, la verità di «la neve è bianca» proviene dal fatto che la neve è bianca,
quindi l’enunciato vero che «la neve è bianca» corrisponde al che la neve è bianca; quindi l’enunciato «la neve è bianca» è vero è un
fatto se
fatto che la neve è bianca. La locuzione «è un fatto che» la possiamo lasciar cadere poiché è vacua: «è una fatto che la neve è bianca» si riduce
semplicemente a «la neve è bianca». Nella formulazione di Tarski, pertanto, si può propriamente dire che l’enunciato «la neve è bianca» è vero
perché la neve è effettivamente bianca. Ascrivere la verità all’enunciato equivale, per Quine, ad ascrivere la bianchezza alla neve. L’ascrizione
di verità a «la neve è bianca» rimuove soltanto le virgolette della citazione dichiarando che la neve è bianca: «verità è devirgolettatura»,
afferma lapidariamente Quine. Secondo Rorty, Quine e Sellars hanno fatto vacillare le fondamenta kantiane della filosofia analitica attraverso
la confutazione della distinzione necessario-analitico, il primo, e di quella dato-interpretazione, il secondo. In questo modo, entrambi si
pongono «al di là» di una filosofia di matrice epistemologico-analitica come quella che si basa sulle immagini dello Specchio della Natura.
Sellars: È l’altro filosofo che ha contribuito a screditare il fondazionalismo empirista con il suo attacco al «mito del Dato» in Empiricism and
Influenzato dalla critica di Pierce, James e Dewey, l’antifondazionalismo epistemologico di Sellars ha contribuito,
the Philosophy of Mind.
secondo Rorty, a demolire tutti quei tentativi che richiamavano elementi di esperienza in grado di autogiustificarsi, di fondare le altre pretese
conoscitive e, per usare le parole di West, «di fungere da punti terminali di catene di giustificazione epistemica». Per Sellars, la concezione
della conoscenza fondata sul «Mito del Dato» scaturisce dal confondere la giustificazione della conoscenza con la dimensione causale empirica.
Tutte le imprese epistemiche volte a fornire una fondazione della conoscenza sono destinate a fallire disastrosamente. A suo modo di vedere,
il fondazionalismo «è fuorviante a causa del suo carattere statico. Sembra di essere costretti a scegliere tra l’immagine di un elefante che
poggia su una tartaruga (che cosa sostiene la tartaruga?) e l’immagine di un grande serpente hegeliano della conoscenza con la coda in bocca
(dove inizia?). Nessuna delle due è una buona scelta». Ed infine conclude: «la conoscenza empirica, al pari della scienza che ne costituisce
un’elaborata estensione, è razionale non perché ha un ma perché è un’impresa che si auto-corregge, capace di mettere in
fondamento,
discussione delle proprie tesi, benché non simultaneamente».
una qualsiasi tutte
Davidson: È l’altra grande figura che con Sellars e Quine ha contribuito a mettere in crisi il fondazionalismo analitico. L’attacco di Davidson
al modello fondazionale parte dal rifiuto delle distinzioni kantiane intuizione-concetto e analitico-sintetico che sottendono il «dualismo tra
schema e contenuto, tra un sistema organizzante e un qualcosa che attende d’esser organizzato» che, secondo Davidson, «non può essere
difeso né compreso» poiché è «un dogma dell’empirismo, il terzo dogma, e forse l’ultimo, perché se lo abbandoniamo non saprei dire se
rimanga qualcosa di specifico da poter chiamare empirismo», afferma risolutivamente Davidson. L’attacco davidsoniano alla dicotomia di
schema e contenuto è anche una critica all’idea di rappresentazione mentale, ossia l’idea che l’umano conoscere equivale a rappresentare
accuratamente ciò che sta fuori dalla mente, e in generale alle metafore dello specchio. Il radicale attacco di Davidson alle concezioni
tradizionali del linguaggio ha minato il paradigma fondazionalista rappresentazionale mettendo in luce l’insostenibilità della relazione tra
proposizioni e mondo nei termini di una relazione rappresentazionale. L’abbandono del «dualismo di schema e mondo» e quindi del
rappresentazionalismo ci consente, secondo Rorty, «di guardare al linguaggio non come a un tra Soggetto e Oggetto, né come a
tertium quid
un medium tramite il quale cerchiamo di formare immagini della realtà, ma come parte del comportamento degli esseri umani». L’attacco di
Davidson alla distinzione schema/contenuto riassume e sintetizza la presa in giro di Wittgenstein del proprio la critica di Quine a
Tractatus,
Carnap, e l’attacco di Sellars all’empiristico “Mito del Dato”. C’è un argomento rilevante, denominato da Barwise e Perry slingshot argument
(argomento del «colpo di fionda»), che ci offre il modo più persuasivo per rifiutare i fatti. È il «colpo di fionda» che Davidson avrebbe lanciato
contro giganti come Frege, Austin e Reichenbach: un pezzo compatto di artiglieria filosofica. Essi non sono supposti dalle più attendibili teorie
del significato. Al riguardo, Davidson afferma che non si è mai mostrato che i fatti «svolgano un ruolo utile in semantica, e uno degli argomenti
più forti a sostegno delle definizioni di Tarski è che in esse svolge il ruolo di fatti o di stati di cose». Infatti, «se noi cerchiamo di
niente
procurare una seria semantica per riferirci ai fatti, scopriamo che essi si fondono in uno, e non c’è modo di riconoscere l’uno dall’altro».
Inoltre, non c’è nulla di «interessante» a cui gli enunciati possano corrispondere. Lo dati i suoi plausibili assunti, dimostra che i fatti,
slingshot,
concesso che ce ne sia qualcuno, alla fine collassino in un solo fatto complessivo: «c’è un argomento persuasivo, che di solito si fa risalire a
Frege (in una forma) o a Kurt Gödel (in un’altra), in forza del quale ci può essere al massimo un solo fatto (il Grande Fatto)». Lo come
slingshot,
opportunamente chiarisce Davidson, non è un argomento contro i fatti in quanto entità della corrispondenza, ma è anche un
soltanto
argomento «contro ogni entità che potrebbe venir proposta come corrispondente, per esempio gli stati di cose o le situazioni». Lo a
slingshot,
suo avviso,