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IL NEW DEAL
La crisi del ’29 ha avuto origine dagli Stati Uniti, ma si è estesa anche in tutto il mondo.
In risposta agli effetti cumulativi della crisi, i diversi paesi adottarono politiche restrittive all’insegna
di un unico comune denominatore.
In Italia, ad esempio, per salvare banche e industrie in crisi, lo Stato acquistò il loro capitale di
rischio diventando così di fatto imprenditore.
In altri casi entrò nell’uso comune il concetto di politica economica, ovvero la pianificazione di
interventi statali mirati a correggere le distorsioni del mercato.
Il New Deal fu soprattutto un nuovo schema teorico a fondamento di una politica che non riuscì ad
ottenere risultati particolarmente eclatanti perché nel frattempo il mondo fu travolto da una nuova
guerra. L’efficacia del New Deal si manifestò pienamente nel secondo dopoguerra.
Nel momento del crollo della borsa di Wall Street, il presidente degli Stati Uniti era Herbert Hoover.
Anche se cercò di concedere finanziamenti per agricoltori, imprese e banche, aumentò le imposte
senza riuscire a contrastare la crisi.
Applicò provvedimenti restrittivi al commercio internazionale, alzando il tasso di sconto.
Ebbe la responsabilità politica di aver incoraggiato la speculazione prima della crisi e quella di
averne acuito gli effetti dopo.
Le elezioni presidenziali del 1932 furono vinte dal democratico Roosevelt, che fu il presidente
ricordato per il New Deal.
Roosevelt chiamò a raccolta un gruppo di esperti per elaborare un programma di intervento
federale in economia, capace di arrestare la crisi. Già questo fu un primo segnale di cambiamento.
La novità del New Deal fu la combinazioni di misure volte a sostenere l’offerta, quindi i produttori, e
di politiche a sostegno della domanda e quindi dei consumatori.
Il New Deal tentò sì di agire dal lato dell'offerta, con il controllo della produzione e le norme dirette
a ristabilire la fiducia nel sistema bancario, ma soprattutto, dal lato della domanda, mirò a
sostenere l'attività industriale e l'occupazione con la realizzazione di numerosi lavori pubblici,
anche a costo di gravi deficit di bilancio.
Si arrivò a questa determinazione, anche grazie alla cosiddetta rivoluzione kaynesiana, a cui si
ispirava il New Deal.
La crisi, studiata a fondo da Keynes, era invece uno shock da sovrapproduzione, cioè l’offerta si
era spinta molto oltre rispetto alla domanda.
La nuova teoria elaborata da Keynes sosteneva invece che fosse la domanda a trainare l’offerta.
Per stimolare la domanda era necessario ridurre la disoccupazione.
In questo modo sarebbe aumentato il reddito delle famiglie, che sarebbe stato utilizzato per i
consumi, i quali a loro volta facevano da stimolo per la produzione delle imprese.
Inoltre Keynes sosteneva che in situazioni come quelle create durante la crisi del ’29
(sovrapproduzione) lo Stato avrebbe dovuto spendere in disavanzo, cioè di più rispetto a quello
che le entrate consentivano.
I primi cento giorni della presidenza Roosevelt rimasero famosi perché il Congresso, stimolato dal
governo, approvò una quindicina di leggi fra cui alcune delle principali misure del New Deal.
Ci fu un vasto programma di aiuti ai ceti più colpiti dalla crisi economica, attraverso la creazione di
enti appositi.
Il principale provvedimento per le industrie fu il NIRA (National Industrial Recovery Act), che mirava
a provocare l'aumento dei consumi attraverso la lievitazione controllata di prezzi e salari.
Si dimostrò però un parziale fallimento, dal momento che non riuscì a rilanciare l'economia, ma
favorì soltanto il processo di concentrazione dei grandi gruppi industriali a discapito delle piccole
imprese.
La principale misura di politica agricola fu Agricultural Adjustment Act, con cui si cercò di ridurre la
produzione di beni alimentari il cosiddetto stoccaggio, ovvero la riduzione dell’offerta.