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Studi recenti hanno permesso di localizzare il focolaio di partenza
nel cuore del regno mongolo nella regione del lago Balkhas da dove,
seguendo la via della seta, avrebbe raggiunto Samarcanda e quindi
la Crimea. Qui il suo passaggio documentato con certezza dalle
vicende della colonia genovese di Caffa, assediata dai Tartari, i quali
avrebbero catapultato in città cadaveri di appestati attuando così
una sorta di guerra batteriologica. Nel giugno del 1347 la peste e a
Costantinopoli. Nel giro di pochi giorni la peste raggiunge la Sicilia
la Sardegna e la Corsica una delle poche città risparmiate fu Milano.
Da allora la peste non abbandonerà l’Occidente fino a 700.
Le guerre e le compagnie di ventura
un altro flagello di dimensioni pressoché generali si abbatte
sull’Europa nel corso del trecento: la guerra. Incursioni di Ungari,
Vichinghi e Saraceni ed episodi di violenza avevano reso agitata la
vita nell’alto medioevo.
Le prima esserne coinvolte furono le regioni dell’Italia meridionale in
particolare la Sicilia, la Calabria e parte della Campania, teatro della
cosiddetta guerra del Vespro che scoppiò nel 1282 durata
novant’anni ebbe una forte incidenza sull’economia e sulla società
delle regioni a causa dell’accanimento violento con cui fu condotta.
Le imprese degli Almugàveri in Italia meridionale non restarono
isolate: una guerra combattuta soprattutto da milizie mercenarie e
volta ad annientare l’avversario attraverso la distruzione delle sue
risorse rappresentavano così deciso superamento degli eserciti
feudali. A ciò è da aggiungere che i componenti dell’esercito erano
ancora legati alla concezione della guerra come avventura e di
esibizione destrezza essendo completamente estranea alla
mentalità cavalleresca la lunga guerra distruttiva, fatto di rapide
incursioni ma anche di assedi e di sistematica distruzione delle
risorse del nemico.
Un modello alternativo a quello feudale era fornito dagli eserciti
comunali italiani che diedero buona prova di sé al tempo delle lotte
contro Federico Barbarossa. Essi però entrarono in crisi quando
all’interno dei comuni cominciarono a stringersi e spazi di
democrazia e quindi di partecipazione, di qui il progressivo disarmo
del popolo e lo smantellamento di quelle società delle armi che
svolgevano nelle lotte politiche interne un ruolo importante.
La necessità di far fronte a spese militari sempre crescenti costrinse
gli Stati ad aumentare la pressione fiscale.
Tra le compagnie che operavano in Italia le più note sono: tra quelle
straniere ,la compagnia del bretone Giovanni di Montreal che
saccheggia negli anni 1353-1354 la Toscana, la Romagna e l’Umbria
e che secondo il cronista fiorentino Matteo Villani era formata da
7000 cavalieri; la grande compagnia del tedesco Guarnieri di
Urslingen che operò tra il 1342 e il 1351 in Toscana e in Romagna;
tra quelle italiane ricordiamo quello di San Giorgio fondato nel 1379
dal conte Alberico da Barbiano che fu considerato un caposcuola
immenso delle più famosi condottieri italiani il romagnolo Muzio
Attendolo Sforza e Andrea Braccio da Montone.
Rivolte contadine e tensioni sociali
guerre carestie contribuirono a far esplodere rivolte contadine e
tensioni sociali. Due linee interpretative distinte:
da una parte c’è chi considera le rivolte come fatti accidentali
- legate a eventi ben individuabili come le carestie e la
pressione fiscale;
dall’altra c’è chi mette l’accento sui presupposti
- socioeconomici delle rivolte riconducendole alle condizioni di
vita dei ceti rurali
Tra le rivolte più famose c’è la jacquerie francese che esplose nel
maggio del 1358 prendendo nome da Jacques Bonhomme partì
dall’Ille de France e si estese rapidamente in una vasta area
trovando anche l’appoggio del ceto mercantile di Parigi, il cui
principale esponente, Etienne Marcel, perseguiva il progetto di
ridurre privilegi e quindi il potere politico della nobiltà.
Anche la rivolta inglese del 1381 ebbe nei contadini l’elemento
propulsivo ma coinvolse in seguito operai salariati e artigiani
trovando perfino una copertura ideologica in non pochi esponenti
del mondo ecclesiastico.
Una realtà diversa è quella della catalogna dove, tra XII e XIII
secolo, circa un quarto della popolazione si era venuto a trovare in
condizioni di servitù della gleba. La situazione esploderà in una
rivolta generale nel 1462 trovando il sostegno della monarchia.
Le rivolte degli operai dell’industria tessile
nell’Italia centro-settentrionale ci sono caratteristiche peculiari, in
alcune città c’era stato un forte incremento dell’artigianato è uno
sviluppo industriale nell’ambito del settore tessile. Essi erano
riconducibili alla progressiva riduzione del numero delle vecchie
botteghe artigiane e all’emergere della figura del mercante
imprenditore il quale adottava un tipo di organizzazione che
consentì di evitare il sorgere di grandi opifici con numerosi
lavoratori.
A rendere inquieti questi lavoratori contribuivano anzitutto la
mancanza assoluta di ogni forma di tutela sindacale non essendo
loro consentito di organizzarsi in associazioni di mestiere così come
avveniva invece per il loro datore di lavoro riuniti nelle Arti.
La nuova obbligazione industriale era finalizzata alla produzione di
grossi quantitativi di panni destinati in gran parte all’esportazione.
La prima città nella quale scoppiò una rivolta aperta a Perugia dove
nel 1371 le case dei mercanti imprenditori vennero incendiate. Il
risultato della sollevazione popolare fu soltanto la presa del potere
da parte dei nobili.
La prima delle rivolte urbane del trecento scoppiò invece a Firenze
ai primi di luglio del 1378 ad opera dei Ciompi, gli operai
dell’industria tessile perché sempre unti, imbrattati e mal vestiti in
conseguenza del lavoro che svolgevano. La novità del tumulto
consistette nel fatto che i rivoltosi non si limitarono a chiedere
aumenti salariali concessioni di portata limitata ma si proposero di
modificare in maniera definitiva le loro condizioni di vita e i rapporti
di potere all’interno della città. Chiesero perciò la creazione di
un’arte di operai tessili che li tutelasse dalle pretese dei padroni e
la loro partecipazione al governo cittadino. La strategia di rivoltosi
deve all’inizio i frutti sperati si attende perciò sia la creazione di
nuove arti sia la presenza paritetica di tutte le arti all’interno del
priorato, la massima magistratura cittadina. I datori di lavoro
ricorsero allora alla serrata e poi alla riduzione della produzione
facendo sparire la materia prima e la loro corporazione fu
soppressa.
Depressione economica o riconversione?
Questa crisi generale dell’industria tessile non ebbe in tutti i settori
la stessa gravità ad esempio la produzione di panni di lana di
qualità era in declino verso la fine del trecento a Firenze e nel città
fiamminghe ma contemporaneamente era in forte crescita alla
produzione di tessuti meno costosi in altri centri come le Fiandre, la
Lingua D’Oca, la Catalogna, Lombardia e Toscana. Nella stessa
Firenze, alla crisi della manifattura laniera corrispose l’incremento
dell’industria serica. Inoltre i secoli finali del medioevo videro un
forte incremento delle industrie metallurgiche soprattutto in
Lombardia alcune centri mercantili crebbero come il caso di Venezia
che acquistò il dominio assoluto del commercio delle spezie in
seguito al declino di Genova Barcellona e Marsiglia. Un caso limite
di ridistribuzione della popolazione rappresentata dalla Sicilia, dove
vi fu un notevole calo demografico nella zona occidentale in una
crescita nella parte orientale e soprattutto nelle zone interne nelle
quali si formarono grossi centri carattere rurale definiti da qualche
studioso <<agrocittà>>.
Anche la scarsità di moneta circolante operò per frenare la ripresa
economica, si ridussero anche i dazi di importazione sui metalli
preziosi e il loro contenuto nelle monete.
La crisi del trecento
il dibattito sulla crisi del trecento è iniziato nell’ottocento ad opera
di pensatori che miravano a elaborare modelli teorici permettessero
di capire l’evoluzione complessiva delle società umane e di quella
europea in particolare. Il punto di partenza è rappresentato dal
Saggio sul principio di popolazione, pubblicato nel 1798 dall’inglese
Malthus il quale non t’ho che mentre la crescita della popolazione
avviene in progressione geometrica quella dei mezzi di sussistenza
si muove in progressione aritmetica; la conseguenza è che a un
certo punto si chiama sfasatura tra risorse e bocche da sfamare che
fa scattare dei freni repressivi come carestie, epidemie, guerre le
quali provocando un’alta mortalità ristabiliscono un equilibrio con
risorse alimentari disponibili.
A questa teoria ancora oggi si ispirano alcuni storici come Marx il
quale nella sua opera principale, il Capitale pubblicato nel 1867
elaborò una teoria per spiegare il passaggio dal feudalesimo al
capitalismo, come premessa per capire il problema della transizione
del capitalismo e socialismo che costituiva il nucleo centrale del suo
pensiero storico filosofico economico. Marx negava i fattori
demografici potessero essere determinanti per lo sviluppo storico,
considerandoli piuttosto come riflesso delle strutture sociali. Il punto
di partenza della sua riflessione è rappresentato dalla convinzione
che nel corso della storia si sono succeduti quattro modi
fondamentali di produzione dei beni economici (asiatico,
schiavistico, feudale, capitalistico-borghese) ai quali corrispondono
altrettanti tipi di rapporti tra le classi sociali. Il passaggio da un
modo di produzione all’altro avviene attraverso i conflitti sociali che
si generano al loro interno determinandone il crollo. In questa
prospettiva la crisi del Tre-Quattrocento si configura come l’inizio
della crisi del modo di produzione feudale al quale sarebbe
subentrato il sistema di produzione capitalistico.
Marx definiva modo di produzione feudale quello che oggi gli storici
chiamano abitualmente regime signorile, vale a dire
quell’organizzazione delle campagne che consentiva al proprietario
signore non solo di appropriarsi del pluslavoro del contadino
dipendente ma anche di gestire alcune attività in regime di
monopolio.
Come Marx stesso ammetteva, né le rivolte del trecento nello
sviluppo dei commerci avevano determinato la scomparsa del modo
di produzione feudale ma ne avevano solo avviat