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PARTE QUARTA
Questa parte è nota come quella del ciclone amoroso ed è molto diversa dalle altre. È parte dei tempi e dei fatti che
cambiano anche all’interno della famiglia..la vittima di tutto ciò è Concetta, vittima che alla fine si autocondanna. Non
sceglierà Cavriaghi In tempi di realismo e neorealismo i detrattori sparano molto su questa parte in quanto si differenza
dal piano intellettuale del resto del romanzo.
Un critico come Montale nota che qui c’è il trapasso delle generazioni, il declinare delle nobilita feudale che rientra
perfettamente nella struttura del romanzo le circostanze si riflettono nella mente del principe
Osservazione di Francesco Orlando: quasi in tutto il romanzo
(non in quella del narratore) vi è una DISCONTINUITÀ sotto questo punto di vista perché è nella mente di Tancredi
che tutti si riflettono. Arrivo di Cavriaghi con la speranza di far innamorare Concetta. Tancredi è una figura ambiziosa ≠
principe
“Bisogna che tutto cambi….” è un’espressione di Tancredi che perché viene smentito dai fatti perché in realtà le cose
per Tancredi cambiano. Tancredi subisce il fascino di Angelica.
Tancredi si vuole veramente allontanare da Concetta?
Visite frequenti di Tancredi (è sempre ben accolto). Tancredi cerca di allontanarsi però da Angelica. Francesco Orlando
lo individua non come allontanamento amoroso (le 3 ore che passano insieme sono viste come scandalo) ma si
allontana feudalmente? ?? nel ricalco e nel percorso del palazzo e delle stanze vuote. Nel personaggi di Tancredi (che
qui è personaggi riflettore) c’è una volontà di potere che si manifesta nella grandezza del palazzo. Ma dall’altra parte c’è
un gioco erotico sfumato.
Di nudità erotiche nel palazzo di Donnafugata non era il caso di parlare, ma vi era copia di esaltata sensualità tanto piú acre quanto
maggiormente rattenuta. Il palazzo dei Salina era stato ottant'anni prima un ritrovo per quegli oscuri piaceri nei quali si era
compiaciuto il Settecento agonizzante; ma la reggenza severa della principessa Carolina, la neoreligiosità della Restaurazione, il
carattere soltanto bonariamente arzillo dell'attuale don Fabrizio, avevano fatto persino dimenticare isuoi bizzarri trascorsi; i diavoletti
incipriati erano stati posti in fuga; esistevano ancora, certamente, ma allo stato larvale, ed ibernavano sotto cumuli di polvere in
è stato un palazzo sede di piacere. Tancredi sa che può sedurre Angelica ma
chissà quale soffitta dello smisurato edificio.
decide di non farlo perché sa quello che vuole > il gioco rimane infatti molto sottile. Vedono le stanze della santità e le
scoperte che vanno verso un Settecento elegante, un modo di ritrovare quel colore della storia che si riflette nelle mura
domestiche. Qui, volendo mostrare la ricchezza di Salina, Tancredi ne offre anche il passato. Il tutto è inframezzato da
una nota ironica
Tancredi ebbe paura, anche di sé stesso: Andiamo via, cara, qui non cè niente d'interessante. Richiusero bene la porta, ridiscesero
in silenzio la scala, rimisero a posto l'armadio; e tutto il giorno, poi, i baci di Tancredi furono lievissimi, come dati in Sogno ed in
il ciclone
espiazione. Dopo il Gattopardo, a dire il vero, la frusta sembrava essere l'oggetto piú frequente a Donnafugata.
amoroso è anche la gara che Tancredi fa con sé stesso e con il suo carattere il ciclone amoroso epopea della
scoperta, del reinserirsi nella storai dei Salina, del trattenimento dell’eros
Ci sono rimandi culturali freudiani e non soloe: letterariamente una conoscenza del romanzo erotico francese del
Settecento ma soprattutto l’intento di Tancredi è una prova con sé stesso nel volersi misurare nella capacità di misurarsi
con Angelica
Tancredi voleva che Angelica conoscesse tutto il palazzo nel suo complesso
inestricabile di foresterie, appartamenti di rappresentanza, cucine, cappelle, teatri,
quadrerie, rimesse odorose di cuoi, scuderie, serre afose, passaggi, scalette, terrazzini
e porticati, e soprattutto di una serie di appartamenti smessi e disabitati, abbandonati
da decenni e che formavano un intrico labirintico e misterioso. mostrare il potere dei Salina
Tancredi non sirendeva conto (oppure si rendeva conto benissimo) che trascinava la ragazza verso il centro nascosto del ciclone
sensuale; ed Angelica, in quel tempo, voleva ciò che
ecco che Angelica vuole ciò che Tancredi aveva già deciso ricordando sia la
Tancredi aveva deciso.
visita al palazzo delle suore e il discorso di Tancredi alla prima cena che loro come Garibaldini
avevano aggredito un conventi (cosa che aveva scaturito l’ira di Concetta mentre Angelica si
divertiva).
Quelli furono i giorni migliori della vita di Tancredi e di quella di Angelica, vite che
dovevano poi essere tanto variegate, tanto peccaminose sull'inevitabile sfondo di
dolore. Ma essi allora non lo sapevano ed inseguivano un avvenire che stimavano piú
concreto, benché poi risultasse formato di fumo e di vento soltanto. Quando furono
diventati vecchi ed inutilmente saggi, i loro pensieri ritornavano a quei giorni con
rimpianto insistente: erano stati i giorni del desiderio sempre presente perché sempre
vinto, dei letti, molti, che si erano offerti e che erano stati respinti, dello stimolo
sensuale che appunto perché inibito si era, un attimo, sublimato in rinunzia, cioè in
vero amore. Quei giorni furono la preparazione a quel loro matrimonio che, anche
eroticamente, fu mal riuscito; una preparazione, però, che si atteggiò in un insieme a
sé stante, squisito e breve: come quelle sinfonie che sopravvivono alle opere
dimenticate cui appartengono e che contengono accennate, con la loro giocosità velata
di pudore, tutte quelle arie che poi nell'opera dovevano essere sviluppate senza
destrezza, e fallire.
Nella policromia del capitolo e nel plurigiornalità (il ciclone non si consuma in un giorno) c’è anche
il dialogo tra il principe e Chevalley -> cuore della parte politica del romanzo; ulteriore conferma
dell’avvicinamento della fine. Particolare è l’iconostasi presente : le foto di famiglie che dicono il
mondo.
Una parete era nobilitata da una libreria alta e stretta, colma di numeri arretrati di
riviste matematiche. Al di sopra della grande poltrona destinata ai visitatori, una
costellazione di miniature della famiglia: il padre di don Fabrizio, il principe Paolo,
fosco di carnagione e sensuale di labbra quanto saraceno, con la nera uniforme di
Corte tagliata a sghembo dal cordone di S.Gennaro; la principessa Carolina, già da
vedova, i capelli biondissimi accumulati in una pettinatura a torre ed i severi occhi
azzurri; la sorella del Principe, Giulia, la principessa di Falconeri seduta su una panca
in un giardino, con alla destra la macchia amaranto di un piccolo parasole poggiato
aperto per terra ed alla sinistra quella gialla di un Tancredi di tre anni che le reca dei
fiori di campo, (questa miniatura Don Fabrizio se la era cacciata in tasca di nascosto
mentre gli uscieri inventariavano il mobilio di villa Falconeri). Poi piú sotto, Paolo, il
primogenito, in attillati calzoni da cavalcare, in atto di salire su un cavallo focoso dal
collo arcuato e dagli occhi sfavillanti; zii e zie varie non meglio identificati,
ostentavano gioielloni o indicavano, dolenti, il busto di un caro estinto.
Divario tra linguaggio paludato della burocrazia e quello diretto del principe
Appena seduto Chevalley espose la missione della quale era stato incaricato: Dopo
la felice annessione, volevo dire dopo la fausta unione della Sicilia al Regno di
Sardegna, è intenzione del governo di Torino di procedere alla nomina a Senatori del
Regno di alcuni illustri siciliani; le autorità provinciali sono state incaricate di
redigere una lista di personalità da proporre all'esame del governo centrale ed
eventualmente, poi, alla nomina regia e, come è ovvio, a Girgenti si è subito pensato
al suo nome, Principe: un nome illustre per antichità, per il prestigio personale di chi
lo porta, per i meriti scientifici, per l'attitudine dignitosa e liberale, anche, assunta
durante i recenti avvenimenti. Il discorsetto era stato preparato da tempo, anzi era stato oggetto di succinte note a matita sul calepino
che adesso riposava nella tasca posteriore dei pantaloni di Chevalley. Don Fabrizio però non dava segno di vita: le palpebre pesanti
lasciavano appena intravedere lo sguardo. Immobile, la zampaccia dai peli biondastri ricopriva
interamente una cupola di San Pietro in alabastro che stava sul tavolo. Ormai avvezzo
alla sornioneria dei loquaci siciliani quando si propone loro qualcosa, Chevalley non
si lasciò smontare.
Ritorno del personaggio riflettore di Don Fabrizio. Quasi siparietto ironico è rintracciabile quando lui mostra la sua
ignoranza sulla senato
Le idee di don Fabrizio in fatto di Senato erano vaghissime: malgrado ogni suo sforzo esse lo riconducevano sempre al Senato
romano: al senatore Papirio che spezzava una bacchetta sulla testa di un Gallo maleducato, a un cavallo Incitatus che Caligola
aveva fatto senatore, onore questo che anche a suo figlio Paolo sarebbe apparso eccessivo. Lo infastidiva il riaffacciarsi insistente di
una frase detta talvolta da padre Pirrone:Senatores boni viri, senatus mala bestia . Adesso vi era anche il senato dell'Impero di
Parigi, ma non era che una assemblea di profittatori muniti di grosse prebende. Vi era o vi era stato un senato anche a Palermo, ma
l’ironia sul declino è
si era trattato soltanto di uncomitato di amministratori civili, e di quali amministratori! Robetta, per un Salina.
pesante
Volle sincerarsi: Ma insomma, cavaliere, mi spieghi un po' che cosa è veramente essere senatori: la stampa della passata
monarchia non lasciava passare notizie sul sistema costituzionale degli altri Stati italiani, e un soggiorno di una settimana a Torino,
due anni fa, non è stato sufficiente ad illuminarmi. Cosa è? Un sempliceappellativo onorifico? Una specie di decorazione, o bisogna
svolgere funzioni legislative, deliberative?
Il discorso di Chevalley viene interrotto da Bendicò. Il principe respinge la proposta. La parte seguente determina le
giustificazioni della respinta ma anche i caratteri dei siciliani attraverso la luce della storia (secondo Montale la storia
entra perché c’è la coscienza del protagonista che la Sicilia si è adattata alla storia )
Abbia pazienza, Chevalley, adesso mi spiegherò; noi siciliani siamo stati avvezzi da
una lunga, lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione,
che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva
cosí non si scampava dagli esattori bizantin