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Il mercante, oltre a vendere, si occupa anche della fase iniziale (analisi di mercato, acquisto
di materie prime, esportazione del prodotto, …). Quando vende, deve consentire anche la
rateizzazione del pagamento ai compratori. Avendo tanti ruoli, il mercante ha molte
responsabilità e si assume dei rischi (anche di natura patrimoniale, sia nella lavorazione
del prodotto, sia nell’acquisto, in quanto rateizzando, rischia di non percepire tutti i soldi dagli
acquirenti). Inoltre il rischio è anche a livello di immagine (un mercante che ha avuto
problemi avrà meno fiducia dalla comunità). Qui può rischiare addirittura il fallimento.
Il fallimento è l’istituto più rilevante (in senso negativo) per i mercanti. Il mercante fallito
assume due connotazioni, una sociale (fanno all’immagine) e una giuridica (le
conseguenze sul mercante non sono solo personali, ma ricadono anche sul mercato intero).
La disciplina del fallimento è quindi regolata sia dagli statuti comunali, sia da quelli
corporativi.
La normativa è repressiva nei confronti del mercante fallito e molto severa.
Baldo degli Ubaldi definisce i falliti come “ingannatori e truffatori”. Il mercante che fallisce
non può usare come scusa quella di avere avuto un imprevisto (di avere fallito per sfortuna e
non per colpa).
Benvenuto Stracca rincara la dose rispetto a Baldo, e dice “falliti sunt infames” (i falliti sono
infami). Il concetto di infamia è contrario al concetto di fama, ovvero di stima sociale. Chi
aveva fama aveva anche potere e poteva pretendere più privilegi e autonomia da chi
amministrava le città (la fama aveva quindi anche valore politico, non solo di immagine
individuale). La fama era considerata una prova semi-piena che, integrata e altre prove,
assumeva prova piena a livello processuale (le prove erano molto importanti nel diritto
processuale canonico).
Fino al XVIII si distinguevano due tipi di infamia: infamia del fatto (derivante dalla perdita
della stima sociale dalla pubblica opinione) e l’infamia di diritto (derivante dall’avere avuto
una condanna penale).
Per capire se un imprenditore era fallito nona si guardavano le sue finanze, ma i suoi gesti: il
mercante fallito fuggiva, per il timore delle conseguenze giuridiche e sociali. La fuga del
mercante è considerata quindi una presunzione del fallimento. Quindi le norme fallimentari
erano applicabili non appena veniva constatata una fuga del mercante, considerata
come accertata se, chiamato a comparire, il mercante non fosse comparso e non vede
presentato idonea garanzia di pagamento. Il mercante fallito veniva comunque bandito
dalla società in cui viveva. Fugge, ma viene proprio cacciato via anche. Il bando poteva
essere totale (totalmente bandito dalla società e dalla città), oppure parziale (non veniva
cacciato, ma venivano diminuite le capacità, es. espulsione dalla corporazione ma non dal
comune, oppure privazione del diritto di cittadinanza, o privazione della tutela nei confronti di
eventuali offensori, o privato del potere di chiedere giustizia). Oltre a queste pene afflittive
ve ne potevano essere altre, es. interdizione ai pubblici uffici, all’esercizio del commercio, o
iscrizione al registro dei mercanti falliti, oppure anche la pittura infamante (veniva affisso il
ritratto del mercante fallito in un luogo pubblico, affinché tutti in futuro si ricordassero del
fallimento del mercante e lo evitassero come esempio da seguire).