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CONSIGLIO

COMUNALE

NORMA

VIGILE

VERBALE

Tutto questo sta a rappresentare che dove c’è legge non è detto che ci

sia giustizia.

Genesi ontoesistenziale della giuridicità

Con genesi ontoesistenziale della giuridicità, Cotta dice che bisogna

indagare il sorgere del diritto nell’individuo, e per scrutare questa

figura non possiamo dimenticare la teoria dello stato di natura di Thomas

Hobbes.

In riferimento a questo, nel contenuto dell’opera di Cotta si evidenzia

un passo:

Ritengo opportuno iniziare la mia analisi a partire dell’esser-se-

stesso dell’individuo, nel suo agire immediato e irriflesso, nel suo

auto manifestarsi e farsi presente nel modo come se egli non fosse già

situato in un intreccio di relazioni inter-individuali e, in

particolare, di relazioni giuridiche. Ciò non significa riprendere,

ritenendola ancora valida, la teoria dello stato di natura propria del

giusnaturalismo moderno: una condizione originaria di asocialità della

vita individuale, secondo il pensiero di Hobbes e Spinoza, anche se

talvolta è ritenuta (da Locke, per esempio) non comportare una radicale

socievolezza dell’individuo. Codesta teoria ha senza dubbio importanza

sul piano della storia delle idee, in relazione soprattutto alla

questione della legittimazione contrattuali sta del potere politico; ma

sul piano teoretico è da dirsi superata per il semplicismo

dell’antropologia su cui è basata.

Sostanzialmente Cotta dice che occorre occuparsi del sorgere del diritto

nella coscienza dell’individuo, cioè parlare dell’individuo, e per farlo

non si può dimenticare la teoria dello stato di natura di Hobbes. Bisogna

però fare qualche precisione in merito:

• A differenza del passato, a cominciare dalla fine dell’800, fino ai

primi anni del 900, si è pensato di staccare il concetto di diritto

da quello di giustizia. A ciò hanno contribuito alcune teorie come

o il formalismo giuridico di Kelsen, il quale afferma che una

norma è giuridica perché fa parte formalmente di un

ordinamento giuridico (ad es: art 575 del codice penale è una

norma giuridica? Sì perché fa parte formalmente di un codice e

quindi dell’ordinamento);

o la teoria dell’elemento psicologico di Alf Ross la quale

afferma che una norma è giuridica perché è capace di

esercitare una pressione psicologica sui consociati (io uomo

della strada, avverto la giuridicità di una norma perché sono

psicologicamente condizionato da un qualcosa che non è

precisata più di tanto);

o la teoria di Santi Romano che, dando una falsa impressione di

apertura, affermava che dove c’è società c’è diritto e

viceversa, ovviamente. La società però crea il diritto

soltanto osservando delle linee guida che vengono data

dall’alto, da un’autorità sovrana.

Tutte queste teorie, al di là delle differenze, presentano alcune

caratteristiche importanti.

o Prima caratteristica: tutte le teorie fanno riferimento ad un

atto di volontà, la volontà di un’autorità sovrana, ovvero,

dice POTIN, colui che nulla riceve dagli altri e non dipende

altro che dalla sua spada, colui che non ha nessuna entità al

di sopra di se. L’idea di non tollerare nessuno al di sopra di

lui, sarà l’idea chiave di tutte le teorie precedentemente

esposte e della stessa sovranità.

o Seconda caratteristica: tutte le teorie non considerano il

divenire. Per parlare di divenire occorre fare riferimento ai

classici, come Parmenide che affermava che l’essere è e il non

essere non è, ovvero che tutto è essere perché tutto quello

che indichiamo con la parola “non essere”, non esiste e quindi

non deve neanche essere considerato. Eraclito però,

successivamente, affermò che se il non essere fosse il

contrario dell’essere, talmente non sarebbe che non sarebbe

neanche pensabile, cioè la stessa parola “non essere” non

dovrebbe neanche non esistere, ma siccome questa parola

esiste, il suo semplice pronunciamento, significa, dice

Eraclito, che il non essere, in un certo senso, è. In semplici

parole, Eraclito dice che non è vero quello che dice

Parmenide, ovvero che esiste solo l’essere, ma che esiste, non

solo l’essere, ma anche una diversa modalità dell’essere. Alla

formula non essere si potrebbe sostituire una diversa formula:

essere diverso. Questo concetto esprime il divenire, cioè

l’essere ha anche un essere diverso, ovvero ogni uomo è

soggetto al tempo e al divenire e naturalmente anche il

diritto che ha a che fare con l’uomo.

Dice Eraclito, non possiamo non immergerci due volte nella

stessa acqua di un torrente, perché sarà diversa l’acqua del

torrente che ovviamente scorre, ma saremo diversi anche noi,

ovvero ognuno di noi, pur rimanendo uguale a se stesso, è in

costante evoluzione.

Quello che è considerato valore e diritto oggi, potrebbe non

essere considerato valore e diritto domani.

o Terza caratteristica: le teorie utilizzano un modello

matematico-geometrico, ovvero hanno la pretesa, e un po’ di

presunzione, di trattare il diritto come se fosse una

geometria. Hobbes, nel De Cive, dice che: se si conoscessero

con egual certezza le regole delle azioni umane come si

conoscono quelle delle grandezze in geometria, sarebbero

debellate l’addizione e l’attività il cui potere si appoggia

sulle false opinioni del popolo intorno al giusto e

all’ingiusto e la razza umana godrebbe di una pace così

costante che sembrerebbe che non si dovrebbe più combattere.

Hobbes in sostanza dice che noi dobbiamo trasformare il

diritto in geometria, cioè in qualcosa di preciso, oggettivo,

lineare, un qualcosa che non è soggetto ai condizionamenti

politici, un qualcosa che non è soggetto alle false opinioni

del bordo, intorno al giusto e all’ingiusto, soltanto così si

superano le insicurezze e si raggiunge la pace; occorre

trattare il diritto come se fosse una geometria. Quindi si

utilizza un modello matematico e geometrico che non considera

il divenire. Platone, nel suo dialogo Repubblica, dice che la

matematica è importantissima e che bisogna studiarla almeno 10

anni per diventare un filosofo; però continua dicendo che la

matematica è una scienza dimostrativa, ma per dimostrare la

matematica deve necessariamente partire da dei presupposti

che non può, ne vuole, dimostrare, perché ipotetici. Essendo

ipotetici, quindi delle ipotesi, sono un qualcosa di

indimostrato e indimostrabili.

Detto questo, essendo il modello matematico-geometrico un

modello ipotetico-deduttivo, cioè si parte da delle ipotesi

dalle quali si deducono una serie di conseguenze.

Tutto ciò preannuncia le ultime due caratteristiche.

o Quarta caratteristica: la convenzionalità che è il punto

di partenza di tutte le teorie (un qualcosa di convenzionale,

un ipotesi).

o Quinta caratteristica: operatività. L’ipotesi è scelta

per fare una certa cosa (ad es: fenomeno scientifico della

luce. La luce cambia tre volte nome in 100 anni; prima è

definita un copuscolo, poi un quanto, poi un onda. Ciò perché

sono cambiati gli utilizzi), sicchè l’ipotesi scelta mi porta

dove voglio, la tengo, altrimenti la cambio.

L’autori di queste teorie, partendo sempre da ipotesi, in realtà, non

fanno altro che partire dalla virtualità, a differenza della filosofia

che parte dalla realtà, perché la matematica come la geometria sono

virtuali, sono delle convezioni.

Hobbes nasce nel 1588, quindi proprio nell’anno dell’assedio di Londra da

parte dell’armata spagnola. Gli inglese riescono a resistere a questo

attacco, e questa flotta spagnola, che non era invincibile, finì

bruciata. Subito dopo questa vittoria, in tutta l’Inghilterra scoppia una

terribile guerra civile. Hobbes nasce e cresce, quindi, in un periodo di

grande instabilità politica, economica e sociale. Ciò trova conferma

nella sua stessa autobiografia dove, in un passo, Hobbes dice: Io

ricordo di aver convissuto nel grembo materno con una sorella gemella,

la PAURA.

Si può quindi affermare, che forse grazie a questo, Hobbes costruirà

tutta la sua teoria giuridica con l’obbiettivo imperativo di “fare una

certa cosa”, ovvero superare la guerra e raggiungere la pace. La sua

teoria, come tutte le teorie, parte da una cosa convenzionale, un ipotesi

rappresentata dallo STATO di NATURA, lo stato in cui si trova l’uomo in

origine; l’uomo in origine (l’uomo della caverne) si trova in una

particolare condizione che lui definisce stato di natura, ma che è solo

un ipotesi. Lo stato di natura è uno stato, dice Hobbes, in cui ogni

individuo ha diritto ad ogni cosa, è uno stato, cioè, in cui si può

usare, godere, possedere, di qualunque cosa, un vero e proprio stato di

GUERRA, una guerra di tutti contro tutti. Però, dice Hobbes, che l’uomo,

in stato di guerra, non avrà neanche il tempo di festeggiare la sua

vittoria che, subito dopo, si dovrà difendere da un ulteriore attacco.

Alla fine, questo stato di natura, è uno stato di infelicità, perché è

vero che l’uomo può soddisfare qualsiasi suo bisogno, ma è anche vero che

non sono sicuro di nulla, non ci sono delle regole che lo proteggono.

Ad un certo punto l’uomo sente la necessità di trovare un accordo con i

suoi simile, e per farlo fa, quello che Hobbes definisce, contratto

sociale, ovvero un atto di rinuncia al diritto di avere tutto. L’uomo

abbandona lo stato di insicurezza e, per farlo, raccoglie tutto quello di

cui ha bisogno, mettendolo nelle mani di una sola persona. In semplici

parole, ciascuno rinuncia a condizione che lo facciano tutti.

La persona che prende “in consegna” tutti i diritti dei singoli, è

chiamato, da Hobbes, il Sovrano; costui è l’unico che può mettere ordine

nelle relazione intersoggettive e soltanto lui che può essere definito

Dio in terra. Però il sovrano, non può, anch’esso, entrare nello stesso

stato di tutti gli altri, deve perciò rimanerne fuori, continuando ad

avere diritto a tutto e nei confronti di tutti.

Si fa riferimento, in questa teoria, sempre ad un atto di volontà, quello

del sovrano, di colui che “nulla riceve dagli altri e che dipende solo

dalla sua spada&rdquo

Dettagli
A.A. 2013-2014
17 pagine
15 download
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher esco.montanaro di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Incampo Antonio.