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LA CIRCOLAZIONE INTERNAZIONALE
Trova le radici dell’ordinamento italiano già nelle leggi Bottai del
1939, l’art 35 prevedeva già un divieto di esportazione stabiliva che
le cose non possono essere esportate e aggiungeva che il divieto
era condizionato al caso in cui l’esportazione procurasse un ingente
danno al patrimonio storico e culturale nazionale e quindi
rappresentasse un depauperamento del patrimonio nazionale. Per
patrimonio storico si intendeva tutto il patrimonio del paese. Il
procedimento di esportazione era già divisa in due casi:
temporanea e definitiva ed era sottoposto a due istituti importanti:
La tassa di esportazione
- L’acquisto coattivo
-
Quindi il privato era tenuto a pagare una tassa di esportazione
commisurata ad una percentuale del valore stimato del bene, e
percepita dallo Stato che poteva esercitare la facoltà di acquisto
coattivo (imposto) al quale il soggetto privato non poteva sottrarsi
quindi arginava il pericolo di esportazione. La condizione è che lo
stato acquistato il bene al valore indicato. Era un meccanismo che
consentiva allo stato di ottenere tasse consistenti perché il
proprietario del bene era interessato a mettere un valore alto per
guadagnare di più dallo stato ma comunque un valore alto
consentiva una percentuale più alta di tassa di esportazione che
comunque arrivava allo stato.
Questo meccanismo fu dichiarato dalla corte di giustizia europea
nel 1968 illegittima rispetto ai principi dei diritti comunitari e stabilì
che la tassa non era ammissibile perché considerata una forma di
dazio doganale e in quanto tale inammissibile dalle norme
comunitarie che individuano nella comunità europea il mercato
libero. La comunità europea esercita delle tasse sugli enti esterni
dall’Europa. L’Italia è l’ultimo paese per rispetto delle sentenze della
corte giustizia europee e ogni sentenza non rispettata ritiene una
multa. L’Italia si adegua alla corte di giustizia nel 1998 (dopo 30
anni) con la legge 88 con cui modifica il regime. Prima della legge
del ’98 l’unione europea emanò dei provvedimenti perché si resero
conto che non si potevano trattare i beni culturali come beni comuni
ed emanò un regolamento comunitario che introdusse la licenza di
esportazione, atto necessario a consentire l’esportazione fuori dai
confini comunitari (1992). Lo stesso regolamento introdusse atti a
coordinare le leggi dei vari stati membri come sull’individuazione del
bene perché se la natura giuridica dipende dal bene culturale alcuni
oggetti possono esserlo per le leggi italiani ma non per quelle di
altre nazioni. Allora il regolamento ha introdotto criteri per
l’armonizzazione per esempio attraverso la realizzazione di un
allegato con tipologie di beni culturali validi per tutti gli stati. Nel
1993 la comunità europea ha emanato una direttiva comunitaria
che devono essere recepite dagli stati membri con altre leggi e si
occupa della restituzione del bene culturale che sono illecitamente
usciti in altri stati. Inoltre la direttiva ha ulteriormente affinato la
questione delle tipologia dei beni culturali, introducendo l’allegato A.
nel 1998 lo stato italiano ha finalmente applicato tutte queste
innovazioni e quindi ha eliminato la tassa di esportazione negli stati
extracomunitari e che non fanno parte dell’unione europea. L’Italia
è uno stato che ha confini intracomunitari ed extracomunitari per
questo la legge del ’98 ha introdotto la licenza di esportazione.
L’attestato di libera circolazione e la licenza di esportazione devono
essere cumulabili.
Nell’articolo 64 bis è annunciato che lo stato deve controllare la
circolazione del bene culturale per non depauperarlo. Il codice
distingue tra due istituti: l’uscita definitiva e l’uscita temporanea.
L’esportazione definitiva è una forma rischiosa per l’integrità del
patrimonio perché porta ad un depauperamento definitivo, il
legislatore tratta con molto rigore con questa uscita e lascia più
spazio all’uscita temporanea. L’uscita definitiva è vietata ai soggetti
mobili previsti dall’articolo 10 comma 1, 2,3. Nel caso dei beni di
privati il divieto può decadere se vi è un’autorizzazione, cose che
siano di interesse culturale ( non di particolare interesse). Questo
consenso è dovuto al fatto di non esercitare una pressione troppo
forte sul privato rispetto agli enti pubblici. Nel caso del bene
pubblico l’uscita definitiva è sempre vietata.
Nel caso dell’uscita temporanea sia che si tratti di beni pubblici o
privati può avvenire.
Nell’articolo 91 tutto ciò che è trovato appartiene allo Stato. Ci sono
due tipi d acquisti:
Derivativo: acquisto coattivo o prelazione artistica
- Originario: non c’è un precedente ritrovamento o scoperta.
-
All’articolo 88 vediamo la ricerca diretta, cioè archeologica che è
riservata al Ministero. Se invece quell’area fosse proprietà di un
privato avrà un indennizzo (in denaro). Il codice prevede che la
ricerca archeologica è attribuibile non solo al Ministero ma anche
ad altri soggetti
La ricerca archeologica di solito è riservato al Ministero. L’articolo
89 dice che la concessione può essere rilasciata anche al
proprietario a cui deve essere svolta la ricerca.
L’altra grande modalità di rinvenimento è la scoperta fortuita che
viene prevista dalla legge che le cose trovate fortuitamente è dello
Stato. L’articolo 90 si occupa di questa eventualità e prevede degli
obblighi ristrettissimi. Chiunque trovi un reperto archeologico deve
in 24 ore restituirlo alla polizia, al ministero o alla sovrintendenza.
Deve prevedere alla conservazione temporanea del bene
lasciandolo dove è, però al secondo comma dice che se si tratta
cose mobili di cui non è possibile assicurare la custodia in quel
caso lo scopritore ha facoltà di muoverle, eventuali spese sono
rimborsate poi dal Ministero.
La legge prevede la possibilità di un premio all’articolo 92 che sia in
caso di ritrovamento archeologico o fortuito questo per spingere chi
ha trovato a denunciarle al Ministero. L’importo del premio
corrispondo fino a un quarto del valore delle cose ritrovate che può
raddoppiare quando il ritrovatore è anche proprietario dell’area. Il
premio può essere in denaro o in rilascio di parte delle cose
ritrovate.
L’ESPROPRIAZIONE
Ulteriore modalità di acquisto coattivo di un bene immobile o mobile
anche contro la volontà del proprietario, questa possibilità è
garantita anche dalla Costituzione nell’articolo 42. La costituzione
prevede che si può fare nei casi previsti dalla legge e predispone
del pagamento di un indennizzo (di cui non si sa il valore). Prevede
inoltre l’espropriazione nel campo dei beni culturali che in tutto sono
tre forme:
L’espropriazione di bene culturali arti 95
- L’espropriazione per fini strumentali 96
- L’espropriazione del reperto archeologico 97
-
Nel caso dell’espropriazione dei beni culturali l’articolo 95 del
codice riconosce la possibilità di espropriazione dei beni culturali
per causa
di pubblica utilità. Nel caso dell’espropriazione dei fini strumentali
riguarda edifici e aree, quando sia necessario:
isolare o restaurare monumenti;
- assicurare la luce o la prospettiva;
- garantire o accrescere il decoro o il godimento pubblico;
- facilitare l’accesso.
-
È una misura ancora più forte perché i privati vengono sottratti dei
beni di questo genere.
L’espropriazione per interesse archeologico riguarda immobili,
quando sia necessario
eseguire :
interventi di interesse archeologico;
- ricerche per il ritrovamento di beni culturali.
-
Quando la ricerca è finita l’area in questione può essere restituita al
proprietario oppure può espropriarla così comprata definitivamente
dal Ministero per esempio se troviamo un immobile ( una villa
romana).
L’espropriazione dei beni culturali si svolge con un procedimento
amministrativo che si conclude con l’espropriazione al proprietario
spetta una indennità come previsto dall’articolo 99 che stabilisce
l’indennità che consiste nel giusto prezzo che il bene avrebbe in
una libera contrattazione di compravendita all’interno dello Stato.
Le forme di espropriazione dei beni culturali si discosta da quella
ordinaria, che comporta una trasformazione dell’area.
ACQUISTO COATTIVO
L’acquisto coattivo può avvenire entro il termine indicato nell’articolo
68 cioè entro 40 giorni della presentazione del bene, l’ufficio di
esportazione può proporre al Ministero dell’acquisto coattivo. Se il
Ministero non fosse interessato ad acquistarlo l’ufficio delega
questo potere alla regione interessata. Il soggetto interessato può
anche fare ricorso rispetto al diniego dell’esportazione al TAR,
tribunale amministrativo (2 passi). Vi sono una serie di
problematiche tra paesi europei ed extraeuropei.
L’articolo 73 parla dell’esportazione dei beni illegittimi tra un paese
ed un altro. Innanzitutto si occupano di fare in modo che i vari
ordinamenti degli stati membri possano collimare il più possibile in
modo da uniformare i controlli dall’uscita dall’Italia. Per evitare
anche le triangolazioni o i dirottamenti il regolamento del 1992 si è
occupato di uniformare le tipologie dei beni culturali. Dopo il 1993
sono stati pubblicati altri regolamenti che hanno potenziato le
direttrici doganali e integrato l’allegato A (tipologie dei beni che sono
considerati culturali in tutti gli stati). Hanno prodotto tre tipi di
licenze per portare fuori temporaneamente:
- licenza classica valida per 12 mesi
- licenza specifica (aperta, in diversi momenti)
- licenza aperta generale (per più periodi e una pluralità dei beni
culturali)
La direttiva comunitaria del 1993 si occupa soprattutto dell’azione di
restituzione e si occupa di individuare un rimedio giuridico al
trasferimento illecito cioè la restituzione del bene tra stati membri. I
beni culturali sono quelli riconosciuti dallo Stato e individua gli attori
di questo processo di restituzione:
Il proprietario originario del bene;
- Lo Stato richiedente (dal quale il bene è fuori uscito
- illecitamente);
Possessore o detentore del bene illegalmente uscito;
- Lo Stato richiesto (a