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La III Convenzione di Ginevra del 1949: le ragioni dell’adozione e gli Stati parte
La comunità internazionale è giunta alla codificazione della III Convenzione di Ginevra del
1949 poiché molti prigionieri di guerra non avevano ottenuto il riconoscimento delle garanzie
previste dai precedenti strumenti normativi. Solo alcuni dati numerici: in Unione Sovietica, erano
morti o dispersi 1.399.000 prigionieri su 3.955.000, di cui 1.321.000 su 3.730.000 tedeschi, 63.000
su 75.000 italiani e 150.000 su 615.000 giapponesi; per di più, il tifo aveva ucciso 2.300.000
prigionieri sovietici detenuti dai tedeschi e 16.000 su 46.000 di quelli che erano nelle mani dei
giapponesi .
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Un ulteriore motivo per cui era necessario adottare una nuova Convenzione era dato dal fatto
che il trattamento dei prigionieri di guerra dipendeva, in larga misura, dall’interpretazione che si
dava alle norme generali; le disposizioni precedenti non avevano la forma esplicita che, invece, fu
scelta per la III Convenzione di Ginevra. Il nuovo strumento convenzionale doveva essere più
comprensibile del precedente e aveva il compito di ampliare le categorie di persone aventi diritto ad
ottenere lo status di prigioniero di guerra. Le condizioni e i luoghi di prigionia, e in particolare il
regime del lavoro dei prigionieri di guerra, delle loro risorse finanziarie, degli aiuti da essi ricevuti e
dei procedimenti giudiziari avviati contro di loro andavano definiti con più precisione.
Venne quindi adottata la III Convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, conclusa a
Ginevra il 12 agosto 1949. Il presente strumento legislativo ha sostituito la Convenzione di Ginevra
del 1929, con un apparato di 143 articoli totali (a differenza della precedente Convenzione, che ne
aveva 97) . È entrata in vigore sul piano internazionale dal 21 ottobre 1950 e ne sono parte 195
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Stati: Afghanistan, Albania, Algeria, Andorra, Angola, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita,
Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaijan, Bahamas, Bahrain, Bangladesh, Barbados,
E. GREPPI, I prigionieri di guerra, in Conflitti armati e situazioni di emergenza: la risposta del diritto
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internazionale, I. Papanicolopulu e T. Scovazzi (a cura di), Milano, 2007, p. 17.
Si veda in particolare il commento che il sito del Comitato Internazionale della Croce Rossa riserva alla III
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Convenzione di Ginevra del 1949, all’indirizzo http://www.icrc.org/applic/ihl/ihl.
nsf/Treaty.xsp?documentId=77CB9983BE01D004C12563CD002D6B3E&action=openDocument: “The
present Convention replaced the Prisoners of War Convention of 1929. It contains 143 Articles whereas the
1929 Convention had only 97. It became necessary to revise the 1929 Convention on a number of points
owing to the changes that had occurred in the conduct of warfare and the consequences thereof, as well as in
the living condition of peoples. Experience had shown that the daily life of prisoners depended specifically
on the interpretation given to the general regulations. Consequently, certain regulations were given a more
explicit form which was lacking in the preceding provisions. Since the text of the Convention is to be posted
in all prisoner of war camps (see Article 41) it has to be comprehensible not only to the authorities but also to
the ordinary reader at any time. The categories of persons entitled to prisoner of war status were broadened
in accordance with Conventions I and II. The conditions and places of captivity were more precisely defined,
in particular with regard to the labour of prisoners of war, their financial resources, the relief they receive and
the judicial proceedings instituted against them. The Convention establishes the principle that prisoners of
war shall be released and repatriated without delay after the cessation of active hostilities (Article 118)”.