(RICORDATEVI CHE DONNE HA ANCORA UNA VISIONE GEOCENTRICA, CON LA
TERRA AL CENTRO DELL’UNIVERSO), si renderà conto che tanto le spezie e i profumi delle
Indie orientali, quanto i tesori custoditi nelle miniere di quelle occidentali (cioè nell’America), non
si trovano più nel luogo di origine, essendo tutti racchiusi nella donna amata, mentre nel poeta
stesso può veder compensati tutti i regnanti della terra che ha scorto ieri compiendo lo stesso giro.
Ci troviamo qui di fronte, come si è detto, ad una galanteria complimentosa ed iperbolica (che in
parte John Donne eredita dalla tradizione rinascimentale, per esempio da modelli europei ma anche
dall’Arcadia di Sidney), tuttavia l’esattezza scientifica nella formulazione del concetto è tipica di
John Donne. Quindi se il modo galante e il repertorio di complimenti sono attinti da una tradizione
a lui precedente, la formulazione attraverso metafore scientifiche è tipica di John Donne e della
poesia metafisica.
Terza strofa
Alle interrogazioni retoriche, dirette o indirette, si sostituiscono ora affermazioni esplicite e
perentorie. Riprendendo e variando la metafora introdotta negli ultimi versi della strofa precedente,
il poeta precisa la natura del rapporto esistente tra lui e la donna amata in termini di
complementarietà ma anche di una gerarchia di potere: se in lei si compendiano tutti gli stati e in lui
tutti i re, ella costituisce il “territorio” sul quale si impone la propria legge.
In un ulteriore espansione dell’iperbole e in un modo che è ancora tipico di Donne, dalla sfera
cosmica il poeta passa a quella ontologica e lo fa, come sempre in questi casi, in termini platonici: i
“princes” (v. 23) sono solo “brutte copie” degli amanti e gli onori loro tributati nient’altro che
“mimic” (v. 24), termine che porta con sé la contrapposizione “sembrare/essere” che si fa qui
sinonimo della contrapposizione ”falso/vero” (ciò che sembra è falso, è solo inganno, ciò che è,
corrisponde alla verità). Dovete tenere sempre presente l’opposizione platonica tra essere e divenire.
Questo tipo di contrapposizione è resa ancora più esplicita dall’affermazione che ogni ricchezza è
solo “alchemy” (v. 24), ossia contraffazione priva di valore.
In un altro passaggio funzionale al crescendo costruito da Donne, la sfera terrestre lascia, negli
ultimi versi, il posto a quella astrale. Il poeta prende in esame la tradizionale associazione del sole
con la felicità, non per negarla, in questo caso, ma per limitarla. Preciso come sempre, quasi come
uno scienziato, il poeta specifica che il sole è “half as happy as we, / In that [cioè in whom] the
world’s contracted thus (vv. 25-26), tenendo evidentemente conto del fatto che l’astro può
illuminare solo metà della terra, mentre gli amanti, insieme formano un mondo che è interamente (e
non solo per metà) illuminato dall’amore.
Gli ultimi quattro versi (dove Donne chiama nuovamente in causa una visione geocentrica
dell’universo, che ha qui però una sua precisa ragion d’essere poetica) riprongonono il motivo
iniziale della “tarda età” del sole (l’ “old” del primo verso), ma per capovolgerlo, ossia per invitare
ironicamente il vecchio astro a “riposarsi”. Visto che il suo compito è illuminare il mondo, allora si
fermi a illuminare e riscaldare quello che è l’unico mondo veramente esistente e insieme il centro
dell’universo: il letto degli amanti.
I SONETTI SACRI: Batter My Heart
La poesia religiosa di John Donne è stata in genere giudicata inferiori a quella amorosa, più ancora
che per un’effettiva inferiorità artistica, per una relativa maggiore convenzionalità di linguaggio.
Relativa, appunto, come dimostra questo sonetto, con le sue audaci implicazioni sessuali che nella
seconda parte minacciano addirittura di profanare l’intenzione edificante del poeta e con
un’apparentemente “scandalosa” contraddittorietà tra il tema – l’effetto santificante dell’amore
divino – e il suo veicolo metaforico, costituito da immagini di violenza bellica prima e di violenza
sessuale poi.
La forma
In queste poesie sacre, Donne, rinunciando al gusto dell’invenzione metrico-strofica tipico delle
poesie d’amore, adotta la forma tipica del sonetto elisabettiano, formato da tre strofe di quattro versi
e di un distico, ma ne varia in diversa misura lo schema delle rime: nella fattispecie, anziché ABAB
CDCD EFEF GG, abbiamo ABBA, ABBA (come nel sonetto di tipo italiano), CDCD EE.
La poesia “Batter my heart” comincia con una preghiera a Dio, espressa in termini militari sia nella
prima quartina che nella seconda: infatti il termine “batter” ricorda il “battering-ram”, ossia l’ariete,
quella trave di legno utilizzata in guerra per sfondare i muri e le porte fortificate dei castelli. E così
il poeta chiede a Dio di “sfondare” i muri del suo cuore per raggiungerlo.
Inoltre questa espressione ricorda quella di Ezechiele nella Bibbia: “I will give you a new heart and
put a new spirit in you; I will remove from you your heart of stone and give you a heart of flesh”.
Nella seconda riga Donne sembra quasi rimproverare Dio di avere modi troppo gentili nei suoi
confronti e lo descrive attraverso l’uso di tre verbi: Knock, breathe, shine e se in questa riga
emergono i modi gentili di un Dio buono, in quella successiva, attraverso l’uso di un paradosso, il
poeta chiede di essere travolto, letteralmente detroneggiarlo dalla cittadella del suo cuore, per poter
riedificarla e per fa sì che lui possa levarsi in piedi nuovamente e lo fa utilizzando tre verbi opposti
ai precedenti che hanno il compito di evidenziare tutta la forza della potenza di Dio: Dio non bussa
più ma infrange (break), non soffia più ma colpisce (blow), non risplende più ma arde (burn), il
tutto per far del poeta, un uomo nuovo (“make me new”, ripresa di Ezra Pound “make it new”).
Nella seconda quartina la metafora militaresca si fa più espressiva e da sfogo a tutte le ambivalenze
e tutti i dubbi del poeta. Donne compara se stesso a una cittadella usurpata, occupata da un altro
senza che vi sia la possibilità di essere liberata; e così si sente Donne che diventa rappresentante di
Dio e si sente nelle mani di un altro, del Diavolo e tenta invano di far entrare Dio nel suo cuore ma
diventa debole.
Nella terza quartina Donne introduce un’altra immagine e si paragona ad una donna che ama un
uomo ma che è promessa sposa al suo nemico, così chiede a Dio di divorziare da lui per rompere
nuovamente quel legame.
Nell’ultimo distico l’immagine di Dio diventa più espressiva e violenta: l’unico modo per liberare il
poeta da Satana, è che Dio si faccia portatore di violenza, che renda schiava, che rapisca e
imprigioni e che violenti l’anima del poeta per renderla casta e farla rinascere.
Holy sonnets: Death be not proud
Lo schema metrico è ABBAABBACDDCEE (distico finale) ed è caratterizzato da un andamento
circolare.
“Death be not proud” si presenta come un monologo drammatico contro il potere della morte. Già
dalla prima strofa vi è una svalutazione di essa, un capovolgimento dei ruoli in cui la Morte viene
appellata come se fosse una persona (“Some have called thee”) e viene messa in guardia dal poeta
contro la sua stessa superbia: Infatti il suo potere è visto come un’illusione e il poeta critica la Morte
di essere schiava di altre forze come il fato, la fortuna, i re e perfino gli uomini disperati.
Nelle ultime due quartine il tono del poeta diventa più accusatorio: essa non è solo la serva di altri
poteri e impotente di uccidere veramente qualcuno ma è destinata anch’essa a soccombere, a
morire, secondo la tradizione cristiana, nel momento in cui i morti resusciteranno per la loro
ricompensa eterna. In queste ultime strofe vi è un eco delle parole dell’Apostolo Paolo, il quale
scriveva: “L’ultimo nemico da distruggere, è la morte”; attingendo quindi dalla religione cristiana, il
poeta non solo sottolinea la debolezza della morte, ne riduce a zero la vanità e ma anzi ne mette in
evidenza la mortalità. Si può dire infine che Donne finendo il sonetto con la frase “Death,thou shalt
die” sconfigge completamente la paura della morte, classificando questa paura come chiusa in una
realtà confinata solamente nei nostri terrori, lontani da qualsiasi tipo di verità.
George Herbert e la poesia religiosa
Anche Donne si cimentò nella poesia religiosa con Holy Sonnets ma ebbe un impatto maggiore la
raccolta di George Herbert “The Temple”. Organizzata seguendo la metafora indicata dal titolo (il
tempio come edificio sacro, come istituzione ecclesiastica e come corpo umano sacrificato alla
grazia) l’opera è a sua volta un’architettura verbale e non presenta però un filo narrativo: infatti la
raccolta non è delineata seguendo il concetto di tempo, bensì di spazio ed è costruito seguendo un
gioco di giustapposizioni di idee e stati d’animo che Herbert concretizza attraverso gli oggetti come
gli arredi o le parti architettoniche della chiesa (The Altar,The Windows).
Se la caratteristica di Donne è la sua drammaticità in cui l’unico modo per far rinascere e purificare
la propria anima è quello di farla rapire e violentare da Dio (Batter my heart), l’io inquieto di The
temple, anch’esso consapevole della sua debolezza e indegnità, si rivolge a Dio in un modo più
discreto come colui che può essere sì, dolce e severo, ma senza mai smettere di essere soprattutto
amico (come in Love).
Caratteristica molto importante nella poetica di Herbert è quella della duplicazione del senso, sia in
suono, sia che in figurazione visiva.
Love
Questa poesia di George Herbert è insieme semplice e complessa allo stesso tempo ed è suddivisa
su più livelli, da cui emergono le caratteristiche più importanti della poetica di Herbert.
La poesia è composta da tre versi di sei linee ciascuno e lo schema ritmico è ABABCC. Questa
forma semplice ha lo scopo di dare tranquillità al lettore.
Love ha tre distinti livelli di significato: letterale, allegorico e religioso.
Dal punto di vista del significato letterale, è piuttosto semplice da comprendere: vi sono due entità
principali nel poema, ossia l’amore e il poeta stesso. A questo livello l’amore viene personificato
come un amante o un amico e nella prima strofa Amore
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