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LE CARATTERISTICHE DELLA CORRELAZIONE SEMIOTICA
Arbitrarietá
Il rapporto fra la strategia di manifestazione del segno e il suo concetto é un nesso arbitrario, cioè
apparentemente non c'é nessun legame tra la successione di fonemi “tree”, ad esempio, e la sua immagine.
Non c'é nessuna ragione per cui ad una determata successione di suoni si associ un determinato concetto
concetto. tree
L' arbitrarietá della lingua fa in modo che questa non possa essere messa in discussione. Altrimenti non si
potrebbe godere della correlazione semiotica che permette la comprensione reciproca (convenzionalitá). L'
arbitrarietá fonda la stabilitá della lingua, per questo é positiva.
Convenzionalitá
Il nesso arbitrario nasce da una comunitá, quindi viene stabilito per convenzione, in modo tale che tutti gli
appartenenti ad una determinata “speech community” possono godere di quella correlazione semiotica.
NB. Esiste l'obiezione delle onomatopee e del fonosimbolismo. In realtá anche queste parole sono diverse
da lingua a lingua e anch'esse hanno una natura interpretativa.
Queste correlazioni vengono trasmesse per tradizione nel nido familiare. L'apprendimento della lingua é
uno dei momenti dell'educazione che una comunitá linguistica attua sui suoi piccoli, quando si insegna a
dare i nomi alle cose.
Salimbene da Parma nelle sue "Cronache" racconta un esperimento di Federico II di Svevia. Secondo
Federico II esisteva una lingua primigenia adamica. Egli prese dei bimbi appena nati, li tolse alle mamme e
li affidó a nutrici, a cui era stato vietato di parlare. I bimbi morirono, perché nessuno aveva comunicato loro le
correlazioni semiotiche della lingua.
Nel momento in cui noi insegnamo a dare i nomi alle cose c'é tutta una dimensione affettiva, della
benevolenza, dell'accoglienza del piccolo nel nucleo familiare.
Cfr. il film “Enfant sauvage”, che tratta di un bambino, Victor, che viene allevato dai lupi, e pertanto non
sapeva parlare. Quando venne ritrovato, il dottore gli diagnosticò una lesione profonda a livello psichico,
riguardante il suo rapporto con la realtá, che non riuscì a curare. Era come se per lui la realtá non avesse
alcun interesse.
Quando diamo il nome alla cose il soggetto umano entra in possesso della realtá.
Ci sono parole poi che non rimandano ad un concetto che è sempre lo stesso. La parola “albero” rimanda ad
un concetto sempre uguale. Ma la parola “io" oppure "ora" a che cosa rimandano?
Sono segni caratterizzati da una semiosi categoriale. Una parte del loro significato viene dalla parola, dalla
categoria, dalla successione dei suoni, mentre l'altra parte di significato si precisa di volta in volta attraverso
l'aggancio alla situazione comunicativa precisa di cui si sta parlando (il contesto) → semiosi deittica, che si
integra a quella categoriale.
Semantica istruzionale = individuo di volta in volta colui che é il mittente.
Le parole, infatti, vanno osservate e interpretate rispetto all'aggancio con l' “hic et nunc” della situazione
comunicativa nella quale vengono pronunciate, in quanto dovremo individuare segmenti e porzioni differenti.
La parte linguistica si intergra alla parte esperienziale, per cui il significato che é emerso da una parola
per noi agisce come un'istruzione, e ci indica cosa dobbiamo andare a prendere nel contesto comunicativo
in cui é stata proferita. Il significato, che nasce dall'interpretazione della categoria, guida i destinatari e dice:
“vai a individuare nell' hic et nunc (cioè nel contesto comunicativo), il mittente”.
Semiosi deittica → la parola “deissi” è un termine che viene dal greco, e vuol dire “indicare”.
Riguarda situazioni comunicative in cui vediamo l'irrompere della lingua nella realtá. La parola deve
ospitare un segmento di realtá di volta in volta diverso.
LA SEMIOSI DEITTICA
Il termine viene dal greco (= additare, indicare).
I deittici integrano la semiosi categoriale con la semiosi deittica. Essi hanno un tasso minimo di significato
che proviene dalla categoria, dalla parte linguistica e un forte tasso di significato esperienziale, di realismo,
che emerge dall'individuazione, tramite delle istruzioni, ció di cui si sta parlando, se si conosce il contesto
comunicativo (il dove, il come, il quando). I deittici per funzionare presuppongono una condivisione di
esperienza. L'uso dei deittici è problematico nelle conversazioni telefoniche. Ricchissimi di deittici sono,
invece, i discorsi teatrali.
I deittici sono parole come “questo”, “quello” → aggettivi/pronomi dimostrativi caratterizzati da significato
deittico. Sono deittici spaziali che, nella loro semantica istruzionale, ci aiutano a individuare, nella situazione
comunicativa che conosciamo, quel pezzo di realtá, puntando vicino al parlante (questo) o lontano dal
parlante (quello).
Analogamente se utilizziamo il termine "ora", esso rimanda a un momento temporale preciso che riempie di
significato, e indica concomitanza e contemporaneaitá con l'atto enunciativo, individuo, dunque, un preciso
lasso di tempo.
Esistono anche deittici gestuali (ex. “é grande cosí”) → il significato categoriale si integra con quello
esperienziale, e va a individuare il gesto che ha accompagnato il proferimento di questa parola.
I deittici hanno un forte di significato che proviene dal legame conla realtá.
Luigi: “Questa penna é blu”.
Andrea: “Questa penna é rossa”.
Alessandra F.
Queste frasi sono contradittorie se il referente fosse lo stesso, quindi non è contraddittoria a condizione che
si stia parlando di due referenti oppure a condizione che lo stesso soggetto dica queste due cose.
In questo caso le due frasi non sono contraddittorie, perché abbiamo due situazioni comunicative diverse, in
cui ciascun mittente sta descrivendo una penna nelle sue vicinanze.
I deittici funzionano se esiste una condizione fondamentale
“Il microfono é nero" .
Questa frase è vera, perche io il microfono lo vedo.
Dunque c'é bisogno della condivisione di uno spazio e di un contesto comunicativo, cioè una
condivisione di esperienza. Per questo non si usano molti deittici nelle comunicazioni telefoniche,
perchè non si condivide lo stesso constesto comunicativo.
Le tipologie dei deittici
• Cfr. Paragrafo 2, da integrare con il paragrafo 8, punto 1.5.2, del testo “La comunicazione verbale”, a pag
228, 229.
Esistono diverse tipologie di deittici:
• Deittici personali → sono deittici i pronomi di prima e seconda persona singolare e plurale (io, tu, noi, voi),
da cui deriva l'aggettivo possessivo. Sono queste le parole caratterizzate da semiosi deittica.
• Deittici spaziali → avverbi di luogo.
• Deittici temporali → avverbi di tempo.
• Deittici di maniera → indica il gesto, il modo del gesto, che accompagna l'espressione della parola "cosí".
• Deittici testuali → sono i pronomi di terza persona (egli, ella, esso, essa,), che permettono di realizzare la
dimensione che caratterizza i nostri messaggi, cioè la coesione testuale.
NB. I pronomi di prima persona singolare e plurare non hanno il genere, a differenza di quelli di terza
persona. Quando uso “io” o “tu” c'é un rapporto diretto tra mittente e destinatario, cioè so giá il sesso di una
persona.
La parola "persona" deriva dal latino “persona”, che a sua volta deriva dall'etrusco “phersu”, termine con il
quale si indicava la maschera che l' attore portava durante una rappresentazione teatrale. Per
rappresentazione metonimica
(che permette di parlare di una cosa nominandone un'altra → trans mutatio → ex.“Ho comprato uno splendido
Picasso”) il termine “maschera” é arrivato a designare “colui che portava la maschera” e da qui é arrivato ad
indicare “persona”.
I pronomi “io” e “tu” indicano gli interlocutori, gli agenti comunicativi sulla scena. Per questo il loro
essere uno di fronte all'altro permette di non esibire il genere, perché loro stessi si esibiscono. Quando
usiamo un pronome di terza persona, invece, parliamo di un terzo, di un altro rispetto all' “io” e al “tu” (che
sono gli agenti comunicativi), che peró ci interessa. Per individuare l'altro da me e te dobbiamo precisarlo,
perciò si deve manifestare il genere grammaticale.
Anche i Romani distinguevano i pronomi di terza persona singolare (relativa, anaforica). Questi vengono
usati per la coesione testuale del discorso ( = il testo permette di non ripetere strutture linguistiche che ci
hanno permesso di instaurare dei denotati precedentemetne). Sono anaforici, cioè ci agganciano al denotato
del contesto che precede. Instaurano e anticipano denotati presenti nel testo, sono cataforici.
Attraverso queste prese foriche fanno si che i nostri messaggi siano coesi.
I deittici testuali
I deittici testuali servono per realizzare anafore e catafore, cioè ci permettono di recuperare i denotati
giá presentati nel testo (Ex. “Luigi é un mio amico. Luigi Egli ha comprato dei fiori”). Vai a prendere nel
testo che precede il denotato che é giá stato instaurato da una parola utilizzata nel contesto che precede.
“Ho visto Chiara e le ho detto che domani c'é il seminario”.
NB. “Lui” e “lei” non sono sinonimici a “egli” ed “ella2 perché corrispondono a dei complementi.
Pertanto il pronome di terza persona singolare riprende un referente che precede → mantiene la continuitá
referenziale.
“Ti telefono per dirti questo: é nato Saverio”.
I deittici spaziali sono gli aggettivi dimostrativi. In questo caso si tratta di un pronome dimostrativo. Serve
per collocare oggetti nelle vicinanze di colui che parla? No, ha un'altra funzione: anticipa quello che vuole
dire il mittente
→ funzione cataforica. Dunque è un pronome dimostrativo che ha funzione non di deittico spaziale, ma
testuale.
Dobbiamo immaginare la situazione come una scena, un piccolo dramma. “Io” e “tu” sono gli agenti
comunicativi. Se parliamo di un terzo, parliamo di un “altro da me e da te” che viene messo a te, e
siccome non é un agente comunicativo sulla scena, dovremo precisarne il genere.
La deissi indiretta
Nelle nostre lingue ci sono molti elementi linguistici che non sono proprio deittici, ma hanno u