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II. More-narratore-personaggio che interviene direttamente come persona nel dialogo del
primo libro.
III. More-Hythloday: le opinioni espresse dal secondo rappresentano senza dubbio pensieri
del More, che però non vengono espressi direttamente, ma in maniera mediata.
La precisa consapevolezza da parte dell'autore della finzione e dei relativi espedienti tecnici fanno
di questo libro un precursore, non solo del romanzo utopico, ma del romanzo “tout-court”.
L’Utopia fu redatta in latino ed è sempre stata presa in considerazione maggiormente dalla critica
filosofica e politica che non da quella letteraria. La lingua latina era il veicolo delle opere
scientifiche e filosofiche e permetteva una circolazione molto più libera a un libro come l’Utopia che
metteva a nudo le ingiustizie sociali più flagranti, causate dall’incipiente processo di accumulazione
capitalistica.
Il viaggio e il “personaggio-viaggiatore”
Nell'Utopia di T. More il viaggio non è descritto esplicitamente: nel primo libro Hythloday dopo aver
visitato svariati paesi, fra cui l’Utopia, osserva le istituzioni politico-sociali dell'Europa e in
particolare dell'Inghilterra secondo un “punto di vista estraneo”. Hythloday è il “viaggiatore-filosofo”,
che dopo aver scoperto la perfezione, non riesce più ad adattarsi ad una realtà meschina e
corrotta. Ma proprio l'essere “consumed by his utopian ideal” gli permette di assumere
quell’atteggiamento di estraneità nei confronti della realtà politica. Il viaggio, per Hythloday,
rappresenta una forma di libertà dalle costrizioni, dai limiti che la società gli impone. (Aspetto
esteriore Hythloday-> mancanza di conformismo).
Raphael è il filosofo umanista del Rinascimento, che conosce i classici, che non accetta di entrare
al servizio del potere, perché vuole essere libero di foggiare la sua vita, libero da tutti i legami di
tradizione.
La scelta del nome del personaggio, da parte di More, è emblematica: Raphael->angelo guaritore
e che rivela le “opere di Dio”. Raphael è anche un filosofo-profeta: viaggiare significa ricercare con
ostinazione la verità, per poi annunciarla. Il viaggio ha un carattere iniziatico, forse ripreso da More
dalle leggende delle “isole fortunate”.
L’atteggiamento di Hythloday è tipico dello straniero che descrive modi e costumi diversi dai propri,
che sente la necessità di affermare di dire il vero. L’atteggiamento di globale estraneità nei
confronti della realtà che si è lasciato dietro si rivela nel secondo libro attraverso la tecnica
dell’inversione dei valori, cioè si rende conto che nel mondo d'Utopia i valori sono completamente
invertiti.
Attraverso la presentazione di questa nuova società si ha, implicitamente, la critica alla società
inglese, a differenza del primo libro, in cui la critica era diretta. Episodio oro->critica spirito
coloniale, febbre dell'oro.
La funzione del dialogo in Utopia
Ci sono numerosi piani di lettura che si intersecano, per offrire un messaggio cifrato, indiretto.
L’Utopia presuppone quindi un lettore intelligente e colto.
Effetti ironici: una medesima affermazione può essere interpretata a seconda del personaggio a
cui si riferisce.
Polifonia voci->dialogo platonico
Nel corso dell’opera, More-narratore-personaggio si viene a configurare come una sorta di “anti-
hythloday”. I due personaggi, pur dialogando in maniera equilibrata, sono su due posizioni
antitetiche: Raphael è filosofo idealista, non vuole scendere a compromessi con la realtà, More è il
filosofo pratico, è per la politica di compromesso. Raphael è il filosofo umanista del Rinascimento,
sradicato dal contesto sociale, che persegue una verità ideale che contiene implicitamente la
negazione della pratica del mondo.
Per alcuni critici, More-personaggio si deve identificare con More-autore, e la sua posizione
risulterebbe antitetica rispetto a quella di Raphael. Per altri, invece, More ha introdotto questo
artificio letterario come una sorta di maschera per potersi riparare e per poter esprimere più
liberamente le idee di Hythloday.
Johnson->Utopia “open-ended book”: i problemi vengono esposti senza nessuna presunzione di
risolverli. Accanto ai valori morali vengono formulate delle proposte che non hanno la pretesa di
essere definitive. Il dialogo platonico viene arricchito dall’apporto della cultura letteraria del tempo
e dalla sua esperienza di giudice.
Nel dialogo si verifica un processo di chiarificazione verso la verità alla quale si giunge attraverso
una presentazione e disamina imparziale dei vari aspetti del problema.
Peter Giles, che da avvio al dialogo, rappresenta l'opinione banale dell'uomo comune, quella che si
deve scartare; il vero dialogo si sviluppa al di fuori della figura di Giles.
Dopo la perorazione di Raphael a favore dell’eliminazione della proprietà privata, le parole di
chiusura di More lasciano il lettore pieno di perplessità: non dice chiaramente la sua opinione,
l’opera si chiude nel dubbio, e il compito di risolvere questi quesiti viene lasciato al lettore. La
lezione da trarre è che due idee così contrarie possono essere esposte liberamente in un dialogo
sereno e civile.
Il dialogo esprime la convinzione di More che le idee diverse si possono confrontare in un clima di
tolleranza, che la parola possa risolvere i problemi senza l'uso della violenza. Questa
interpretazione concorda con la vita di More, che conosce le necessità del compromesso.
L'inventività verbale
L'opera è una sorta di miniera della quale si trovano numerosi altri espedienti tecnici (cartine,
mappe, nuovi segni grafici) che verranno fatti propri e sviluppati dai romanzi utopici successivi. La
pretesa ricerca sistematica della verosimiglianza definita la tecnica del realismo fantastico si
articola anche in copia attraverso una serie di artifici esterni: cartina dell’isola, l’alfabeto utopiano
con un esempio di versi scritti in questa nuova lingua e infine la vignetta silografica presente
nell’edizione di Basilea del 1518, dove è raffigurato Il giardino della casa di More, palcoscenico su
cui si svolge il play. Questi espedienti, oltre a provocare effetti ironici sul lettore che comprende il
loro carattere di artificio, permettono di penetrare maggiormente nella grammatica del discorso
utopico. Un’analisi delle due carte dell’Isola del 1516 mette in evidenza come Utopia, proprio per il
suo essere un luogo altro, non si può rappresentare. La prima carta tenta in maniera
approssimativa di raffigurare l’isola, con una forma di schematizzazione simbolica piuttosto
rudimentale. La seconda carta suggerisce un’area di paesaggio familiare, sottolineata non solo
dall’aspetto dei castelli di tipo germanico ma anche per la presenza dei tre personaggi posti in
primo piano. Siamo lontani all’atmosfera di totale estraneità tipica del paesaggio utopico. Il più
delle volte la loro raffigurazione diverge da quanto è detto nel testo. Esse sottolineano che l’Utopia,
come luogo altro, non solo non è rappresentabile, ma che la sua unica realtà è quella del testo. Nel
coniare i nomi propri per designare i monti, i fiumi, le città, i governanti, non si può non sottolineare
l’aspetto di gioco intellettuale presente nel More, aspetto che lo accomuna agli altri umanisti del
tempo (era nella pratica di questi umanisti Servirsi del gioco per affrontare argomenti della
massima importanza). Questi Bizzarri nomi propri di cui traboccano le pagine dell'opera (Anidro,
Ademo, Amaurato, Anemolio) hanno come caratteristica precipua di annullarsi nel momento stesso
che vengono enunciati. Nomi che da un punto di vista etimologico significano il contrario di quello
che il loro significante pretende di designare. Fermarsi al loro significato sarebbe un’operazione
riduttiva. In primo luogo, perché ogni parola possiede quasi sempre due significati etimologici tra
loro contrastanti, in secondo luogo perché attraverso questa operazione, si finirebbe per ristabilire
un significato, si colmerebbe un vuoto. Mentre l’essenza dell’Utopia è proprio il suo essere né una
cosa, né l’altra. I nomi propri rivelano l'essenza più intima del discorso utopico: il nome proprio ha
come referente se stesso. È possibile solo un discorso sull'Utopia e non dell'Utopia: discorso
metaforico, dislocato, un discorso che delinea il suo oggetto solo dall'esterno. Un altro espediente
è la creazione nell’ambito dell’utopia di una nuova forma di linguaggio. L'interesse per la lingua,
per la parola può trovare spiegazioni diverse.
Questa volontà di inventare nuove parole sottolinea una stretta parentela tra il testo utopico e gli
enunciati magico-religiosi: attraverso la parola, si evoca, si fa a essere la cosa. Quasi in ogni
utopia si sente il bisogno di creare un nuovo linguaggio, quasi a sottolineare che per un popolo che
ha raggiunto la perfezione è necessaria una lingua libera da ogni imperfezione, una lingua che
deve essere In altre parole appropriata a questi esseri perfetti. Basti pensare che alcune parole
che ricorrono nel nostro vocabolario e che sono state accolte e consacrate dall’uso comune, sono
state inventate dagli utopisti. In molte invenzioni linguistiche, può predominare l’aspetto di gioco. In
molte utopie le innovazioni grammaticali sono inseparabili dalla filosofia del tempo; li può anche
essere un fine didattico, cioè di creare dei lettori il presupposto per una forma di ragionamento più
logico. Nelle utopie il linguaggio è inteso a sottolineare lo stato di perfezione di questi luoghi del
bene e della felicità, mentre nelle distopie e sto sottolinea il carattere totalitario di questa società da
incubo. In altre parole il problema del linguaggio appare intimamente connesso con la politica. Per
tornare al alfabeto di More a noi non interessa tanto studiarlo da un punto di vista filologico, quanto
piuttosto sottolineare come in More prevale il senso dell’avventura intellettuale, il gioco sui nomi e il
loro mutare di significato a seconda delle loro grafie. In utopia alle invenzioni linguistiche
dell'autore, fanno seguito quelle degli amici umanisti che furono aggiunte alle varie edizioni
dell'opera.
L'isola
L'isola e la città appaiono come due luoghi che si caricano di una profonda simbologia. il luogo
utopico Si delinea come isola, cioè come luogo separato, distaccato, non contaminato dalla realtà
storica, autosufficiente. L’atto di fondazione di Utopia è un atto radicale, che Utopo