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R : “S S B EU”
ICHARDSON UPRANATIONAL TATE UILDING IN THE
Un policy making state ha come caratteristica principale è che fa politiche. Quindi, tutto il discorso
dell’europeizzazione porta a concludere che il sistema UE è un sistema politico a tutti gli effetti
perché produce decisioni che allocano autoritativamente valori collettivamente rilevanti. Questo
avviene non solo attraverso la gerarchia dei sistemi politici (governo, parlamento, corte
costituzionale, eccetera: è la gerarchia stabilita dalla costituzione, la struttura portante di uno stato);
all’ombra della gerarchia si producono decisioni collettivamente rilevanti perché a volte non lo fa la
gerarchia stessa. Quale è questa azione di produzione di decisioni che hanno rilevanza collettiva?
L’UE non è uno stato, ma è un attore politico a tutti gli effetti. L’arena più importante del luogo
decisionale del policy making è quella sovrannazionale: ha senso quindi vederne le caratteristiche,
gli effetti, ricostruirlo e vedere come è diverso nei diversi settori. Studiare il policy making europeo
vuol dire aver chiara la gerarchia politica (che è espressa nel Trattato di Lisbona). L’UE produce
decisioni collettivamente rilevanti su moltissimi argomenti diversi: basta vedere quante DG
esistono. Per studiare l’UE come policy making state si deve spacchettare l’UE, vedere come in
passato l’UE abbia prodotto decisioni collettivamente rilevanti; è fondamentale vedere anche il
passato per capire le dinamiche del presente. Riprende in questo il neo-istituzionalismo storico:
l’UE non può far finta che parte della sua storia non esista (c’è una path dependence) perché le
dinamiche si sedimentano e si consolidano.
Le decisioni di policy, anche quelle settoriali e tecniche, vanno ad impattare sulle risorse e i
vantaggi di attori economico-sociali, ma anche nazionali perché a volte solo alcuni SM beneficiano
di determinate politiche. Questo influenza le relazioni tra gli attori, sia negli SM che tra gli SM. Si
pensi alla politica monetaria; certe decisioni prese dalla BCE rendono più forti alcuni SM, ma ne
mettono in difficoltà altri. Quindi l’equilibrio di poteri si è modificato negli ultimi 15-20 anni.
Questo può dar forza all’interpretazione intergovernativa che gli SM più forti influenzino il
processo di integrazione. Se invece si lasciano da parte alcune politiche, come la Politica Estera
Comune, si può osservare che la visione neofunzionalista di Haas è in grado di analizzare elementi
macro perché si vanno a ricostruire processi politico-decisionali in cui gli attori rilevanti, che
acquisiscono potere, capacità di influenza, sono gli attori economici-sociali, gli esperti di
determinate tecnologie, le burocrazie illuminate di alcuni paesi che spingono per una o per l’altra
decisione. Questo sposta le reazioni di potere tra attori economici, interessi commerciali, interessi
agricoli, industrial, legati a infrastrutture, telecomunicazioni e trasporti. Questo viene fatto non
direttamente, bensì influenzando gli attori istituzionali del policy making europeo. Conoscendo
quello che è successo in passato, si può capire attraverso quali canali, rivolgendosi a quali attori i
consumatori, gli ambientalisti, gli attori economico-sociali influenzano il processo decisionale.
Questi attori rappresentano la non-gerarchia, agiscono a volte all’ombra della gerarchia, per
esempio quando un funzionario non ha il dossier da presentare al Coreper. Per riassumere, con la
gerarchia si riesce a conoscere i confini generali delle questioni di policy, che comunque possono
essere spostati. Le dinamiche informali, a volte, possono influenzare e modificare le dinamiche
formali.
Quindi, perché c’è stata la riflessione sul legame tra il policy making e l’europeizzazione?
L’europeizzazione è un continuo di policy making ascendente o discendente. Le politiche possono
essere incrementali o non, di aggiustamento, di resistenza al cambiamento (alcuni paesi resistono
all’europeizzazione.
E cosa c’entrano Politica e politiche in questo discorso? Si distingue tra Politica e politiche perché
in italiano politica indica sia politics che policy. Ci sono due filoni disciplinari nella scienza politica
a proposito. Gli studi sulla Politica sono considerati come gli studi classici della scienza politica
(per esempio, sui rapporti di potere, sulla divisione di equilibrio delle forze politiche, eccetera).
Questa tradizione accademica ha un riscontro nella cultura politica dei politici, degli esperti di
politica e dell’opinione pubblica. Se si leggono i giornali, si leggono articoli di Politica (per
esempio elezioni, governo, gruppi d’interesse eccetera). Per politiche si intendono invece le
politiche pubbliche. Studiare le politiche significa guardare da una prospettiva diversa alla Politica.
Studiare l’UE da questo punto di vista è inevitabile perché la CEE è nata per fare politiche, con una
dimensione di Politica del tutto minimale e irrilevante perché erano gli SM che, a parte per poche
questioni, mantenevano il potere di decidere, delegare, trasferire il potere; questo ci viene detto dai
liberal-intergovernamentalisti (Moravcsik sostiene che solo guardano alle arene domestiche si
capisce quali sono le posizioni negoziali dei governi degli SM). Questa distinzione è quindi
fondamentale. Politics e policy sono due categorie analitiche assolutamente importanti perché
consentono di chiarire analiticamente le dinamiche.
Lezione 11 – 09/11/2017
L P A C
A OLITICA GRICOLA OMUNITARIA
L’agricoltura per i padri fondatori della CEE era un ambito strategico. Oggi non lo è più, anche se la
spesa agricola nel bilancio comunitario pesa il 40% sulle spese comunitarie, anche se il settore pesa
solo il 2% del valore aggiunto in media negli SM. Nel periodo in cui la Politica Agraria
Comunitaria (PAC) venne creata, però, gli agricoltori erano molti di più. Ci si trovava nel secondo
dopoguerra, negli Anni ’50: solo grazie al Piano Marshall si mangiava, l’agricoltura non era
produttiva. Proprio per questo si trattava, per i padri fondatori, di un settore strategico, proprio come
lo erano stati il carbone e l’acciaio per la CECA. Dopo la seconda guerra mondiale il 50% era
impiegato nell’agricoltura (questo fino al boom economico). I padri fondatori decidono che ci deve
essere un mercato comune agricolo, che è funzionale per la creazione di mercato comune per tutto il
resto. Infatti, se i beni di primaria necessità circolano a prezzi diversi, si sfalsano le condizioni della
concorrenza tra i diversi paesi, laddove i padri fondatori volevano costruire un mercato comune. Per
questo era considerato un settore di primaria importanza per costruire tutto il resto
Un altro elemento era importante per capire perché si costruisce una politica agraria comune. Nel
periodo di guerra, tutti i paesi avevano inventato delle politiche agricole nazionali. Quella della
Francia, per esempio, datava addirittura al pre-guerra. Il protezionismo era molto diffuso per
sostenere i propri settori nazionali, quindi tutti gli stati fondatori della CEE avevano una politica
agricola più o meno inclusiva, vantaggiosa per la propria agricoltura. In periodo di guerra questo
impegno viene intensificato: tutti i paesi avevano introdotto dei regimi difficili da rispettare a livello
agricolo. Questo aveva dato origine a strutture che regolamentavano tutto ciò, oltre a strumenti che
sostenevano la produzione di determinati beni, considerati maggiormente importanti rispetto ad altri
(per esempio, il grano e le patate). La creazione della PAC voleva quindi debellare le politiche
nazionali. Si pensi però al protezionismo francese: non era facile debellarlo. Il primo tentativo fu il
Pool Verde ed era un tentativo tra Italia e Francia di scambiare merci senza dazi; questo fallì perché
entrambi i paesi non volevano cedere su determinati prodotti. Si arriva con i Trattati di Roma con
quattro articoli specifici dedicati alla costruzione della PAC. Gli accordi furono quindi raggiunti e
gli obiettivi vengono esplicitati nei Trattati di Roma stessi (art. 39-42). Gli obiettivi sono i seguenti.
1. Aumentare produzione e produttività. Si vuole non solo sfamare la popolazione, ma
anche raggiungere l’autosufficienza per non dipendere dagli USA.
2. Garantire un equo tenore di vita agli agricoltori. Già negli Anni ’50, gli agricoltori erano
molto poveri. Gli agricoltori e le loro organizzazioni fecero sentire la propria voce già alla
Conferenza di Messina e nei Trattati di Roma. Del resto, i Ministri dell’Agricoltura erano
molto sensibili alle richieste degli agricoltori perché erano l’elettorato più ampio in paesi
come Italia e Francia; oggi non è più così: la situazione è molto cambiata. Il settore
agricolo, all’epoca come oggi, è un settore particolare, sottoposto a diversi possibili rischi
che possono lasciare un paese interamente senza raccolto. Oggi questi rischi sono più
controllabili (ci sono le serre), ma si tratta comunque di un settore rigido. In aggiunta, le
unità produttive sono sparse su tutto il territorio e tendono ad essere individuali, quindi non
c’è aggregazione tra i lavoratori.
3. Stabilizzare i prezzi. Tenuto conto dell’aleatorietà del settore, tenuto conto di una non
programmabile quantità produttiva di anno in anno, i prezzi non devono essere altalenanti
per non mettere in difficoltà gli acquirenti. Si doveva quindi intervenire per regolare
l’andamento dei prezzi con strumenti pubblici.
4. Modernizzare le strutture.
5. Garantire prezzi accettabili anche per i consumatori.
Sono stati i primi tre obiettivi quelli maggiormente considerati, mentre gli altri due sono stati un po’
trascurati. Date queste disposizioni nei Trattati di Roma, ci si trovava nella situazione di andare a
costruire una politica che le realizzasse. Questo compito spettava alla Commissione. Dopo i Trattati
di Roma, alla Conferenza di Stresa, i vari Governi hanno detto la loro su come doveva essere la
PAC.
Si arrivò a un compromesso: fu Manscholt, il primo Commissario dell’Agricoltura, che nel 1959-
1960 elaborò con la sua DG questa politica. Manscholt iniziò a raccogliere informazioni presso i
Ministeri, le associazioni agricole, eccetera per cercare di capire come far quadrare le caratteristiche
di paesi diversi in un’unica politica. Trovò un sistema, il sistema dei prezzi. Si trattava di un sistema
che prevedeva che i prezzi fossero regolati amministrativamente per ogni prodotto (per buona parte
dei prodotti). Quindi, ogni anno la Commissione avrebbe raccolto informazioni sull’andamento dei
mercati, individuato un prezzo