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cose. L’ASSERZIONE NON E’ CHE UN DERIVATO DELL’INTERPRETAZIONE. I tre

momenti dell’asserzione sono: 1) manifestazione, 2)predicazione,3)comunicazione.

Quando H. parla dia sserzione indica un modo d’essere, non un insieme di parole. Con

la manifestazione l’asserzione è ancora presso l’opera; con la predicazione se ne

allontana: si comincia a parlare di proprietà dell’ente a cui mi riferisco. L’ente preso in

esame non è più davvero il centro di interesse. Questo progressivo allontanamento

dall’uso si compie definitivamente nella comunicazione: ora sto semplicemente

parlando, il rischio è che nella comunicazione l’ente non venga più davvero scoperto. P

192: polemica con i neokantiani. Per poter parlare di un qualsivoglia ente devo già

averlo svelato. Quindi l’asserzione inevitabilmente si appoggia a qualcosa: essa non

può assolutamente essere prima e originaria.

Il rapporto tra l’asserzione e il senso è fondamentale. Come dobbiamo intende la

DERIVAZIONE DELL’ASSERZIONE DALL’INTERPRETAZIONE? E’ ovvio che il senso della

proposizione trovi un referente nella realtà. Se dico che il martello è pesante, lo dico

perché nella mia esperienza ho provato a sollevarlo. Quindi LA RADICE DEL GIUDIZIO

E’ EVIDENTEMENTE PRATICA. Se penso ad un primitivo che non ha l’uso della parola,

egli nel sollevare un oggetto si accorge che è pesante e lo rimette giù: il fatto che pesi

troppo è implicito, non ha bisogno di esprimerlo a parole. EGLI STA INTERPRETANDO.

Ecco perchè l’interpretazione viene prima dell’asserzione, essa è una sorta si surplus.

L’asserzione, inoltre, ci allontana dall’ente. Nella pre disponibilità l’ente è prima di

tutto mezzo. Quando inizio a formulare un’asserzione sto già modificando il rapporto

con l’ente: esso da con che della mia manipolazione, diventa intorno a che di un

interesse. Con l’asserzione, L’ENTE SI MOSTRA MA GIA’ MODIFICATO: l’utilizzabilità è

coperta e l’ente si mostra come semplice presenza. Tutte le caratteristiche dell’ente

diventano proprietà. L’anello di congiunzione tra giudizio e asserzione, sta nel

passaggio dall’inquanto ermeneutico all’inquanto apofantico (tra gli enunciati verbali,

quelli che possono essere detti veri o falsi, Aristotele). Se a livello del giudizio noi

troviamo l’inquanto apofantico è perché esso è una struttura originaria: sta alla base

dell’interpretazione. se vi è un significato apofantico è perché vi è un significato

ontologico ed esistenziale dell’inquanto. Aristotele a riguardo è quello che ha fatto i

maggiori passi avanti perché ha subito fissato un rapporto tra SINTESI e DIAIRESI. Le

proposizioni si definiscono tutte come un CONGIUNGERE e un SEPARARE: la tradizione

logica ha quasi sempre collegato questo discorso a quello dei giudizi: al congiungere si

fa corrispondere verità, al separare la falsità. Per H. invece il congiungere e il separare

appartengono alle proposizioni solo perché si ritrovano in prima istanza nella nostra

esperienza, quindi in rapporto con l’ente. La struttura diairetico sintetica può essere la

struttura delle proposizioi perché in primis è la struttura del nostro incontro originario

con l’ente. La falsità e la verità stanno nell’inadeguatezza o nell’adeguatezza dell’ente.

On vi è frattura tra livello ermeneutico e livello logico formale: vi sono gradi di

adeguatezza o meno dell’inquanto.

§34 H. affronta l’argomento del discorso. Fa subito una distinzione: una cosa è il

discorso ed un’altra il linguaggio. quando parliamo della struttura dell’in essere si fa

riferimento a situazione emotiva, comprensione e DISCORSO NON LINGUAGGIO. Ma

cos’è il discorso? Non è una semplice verbalizzazione, come potrebbe essere il

linguaggio. Esso è più simili all’interpretazione: l’interpretazione esplica il compreso, il

discorso invece lo articola (articola anche il pre compreso). Il discorso fa un lavoro di

scomposizione della totalità. H. lo definisce ‘un modo d’essere dell’esserci indicante’.

La comprensione emotiva dell’essere nel mondo si articola nel discorso, che sfrutta il

linguaggio: i significati sfociano in parole. IL LINGUAGGIO E’ ESPRESSIONE DEL

DISCORSO. Quindi i significati non dipendono dalle parole, casomai è il contrario: sono

le parole che crescono sui significati. E’ il discorso che fonda il linguaggio.

P 200: il discorso è co-originario alla situazione emotiva e alla comprensione. In che

senso? E’ evidente la stretta connessione tra comprensione e discorso, che si basa sul

sentire. Se non sento bene come posso dire di aver compreso e quindi articolare

quanto compreso? IL SENTIRE E’ COSTITUTIVO NON SOLO DELLA COMPRENSIONE MA

ANCHE DEL DISCORRERE. NB H. attacca le scienze biofisiche che asseriscono che la

comprensione si basa sull’udito: questo è fuorviante. E’ vero che nel sentire si trova

una delle forme più originarie di rapporto: noi siamo aperti al mondo e nell’essere

siamo anche un con essere, perché lo siamo con gli altri, noi in primo luogo siamo gli

altri. Lo ‘stare a sentire’ l’altro, pertanto, rappresenta il primo rapporto possibile. Ma

H. vuole andare ancora più a fondo. Il sentire non è un semplice sentire i suoni è un

sentire esistenziale, che come dicevamo prima, implica anche la comprensione. IL

SENTIRE PERCEDE E RACCOGLIE GLI ALTRI MODI. L’ascoltare (quindi l’udito) è un

derivato che si fonda sul sentire: ecco smentite le scienze biofisiche sopracitate.. solo

chi ha già capito può ascoltare. I greci quando parlavano di LOGOS, intendevano

proprio il discorso come lo intende H. , non il semplice linguaggio: il logos è quasi un

modo d’essere, un comportamento. Analizziamo più a fondo il linguaggio: il linguaggio

è la teorizzazione di strutture fondamentali del discorso. Questa logica che contiene la

grammatica si fonda però sull’ontologia della semplice presenza. Tuttavia, il linguaggio

è progressivamente diventato uno strumento per esprimere il contenuto dell’anima, è

espressione dell’interiorità. Il linguaggio è così espressione MONDANA del discorso.

Così come lo intende H. esso diventa espressione dei modi d’essere dell’esserci: come

l’essere è nel mondo? Con il modo del logos, che precisamente come contenuto ha IL

LASCIAR VEDERE MOSTRANDO. Il linguaggio è un rapportarsi, è un modo del rapporto.

VEDERE PAG 52 INCOMPRENSIBILE.

La chiacchiera è un modo del discorso, è il suo modo quotidiano. Nella chiacchiera non

vi è inganno, non è un’accezione negativa. Come l’esserci quotidianamente attua il

discorso? NELLA CHIACCHIERA. Essa è un modo per attuare l’essere discorrenti, che è

sempre più infondato e lontano dell’essere in rapporto di retto con l’ente.

L’immedesimazione con lo STATO INTERPRETATIVO MEDIO viene prima di ogni

interpretazione genuina. Si parte dallo stato interpretativo medio, e da qui possiamo

ottenere un’interpretazione genuina, solo se non badiamo ai preconcetti, ai pregiudizi.

La curiosità è il modo quotidiano della comprensione, della visione. La curiosità è

anche la modalità del prendersi cura del mondo. (curiosità, chiacchiera, equivoco e

deieizione sono di stampo agostiniano, la curiosità soprattutto). Nella quotidianità si

afferma la preminenza del vedere, anche se non è sempre legato alla vista.

PP210/211, la visione ambientale preveggente si scioglie dall’operare e divenuta libera

non avvicina questo o quell’ente in vista della prassi; si è liberi dal proprio fine, non si

deve più avvicinare un utilizzabile per un’opera, ma per l’aspetto. Quind si passa dal

prendersi cura dell’ente in vista di, alla cura di vedere LA CURA DIV EDERE E’ LA

CURIOSITA’, che ha dei caratteri mondani. LA SCIENZA NASCE COME CURA DI VEDERE.

Essa è svincolata dall’operare, è un vedere per vedere. (l’animale non conosce

scienza perché egli osserva per agire, come funzione vitale). CURIOSITA’ COME

LIMITARSI A VEDERE. Così si introduce l’equivoco: la chiacchiera è il nostro vedere,

l’equivoco è il modo quotidiano dell’interpretazione. l’equivoco è lo stato ingannevole

di interpretazione in cui ci troviamo innanzitutto e perlopiù. Esso non è intenzionale:

noi siamo nell’equivoco perché siamo gettati nel mondo. L’equivoco non è negativo,

anzi è il punto di partenza per diventare ciò che si è.

Lo stato di deiezione non deve essere visto come una caduta, o come uno stato

originario: l’esserci è già decaduto da se stesso. Il concetto di caduta è molto forte,

come lo è il concetto di peccato originale nella religione: essa non è qualcosa che

arriva a posteriori, essa è uno stato originario.. Noi siamo deietti originariamente, non

lo diventiamo. E’ una delle modalità originarie dell’essere dell’esserci. Quando si

parla di deiezione si parla dell’EFFETTIVITA’ dell’esserci. Un altro termine utilizzato a

tale proposito da H. è MOTILITA’: da quando l’esserci esiste esso è già da sempre nel

movimento della motilità della deiezione. Abbiamo però la possibilità di un movimento

CONTROROVINANTE. La caduta è una struttura, non un movimento posteriore ad essa,

questa è la grande differenza col peccato originale: esso è uno strappo alla struttura,

una ferita; per H. invece la caduta fa parte della struttura stessa. A questo punto H.

mette in luce quattro caratteri di tale struttura. Il primo è la traduzione della

TEMPTATIO agostiniana. E’ come se noi cadessimo assecondando la tentazione (del

movimento rovinante), ma questo in un certo senso è tranquillizzante. Tuttavia, al

tempo stesso è anche estraniante, perché siamo fuori di noi. finchè esisteremo saremo

dentro questa caduta, SAREMO IMPRIGIONATI NELLINAUTENTICITA’ DEL SI.

P219: H. è in costante dialogo con la teologia: tutto ciò che essa asserisce è di un

livello successivo, rispetto alle considerazioni ontologico-esistenziali di H., infatti tali

analisi sono a livello della struttura, che è il primo possibile. La deiezione è un

concetto di

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
18 pagine
7 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/01 Filosofia teoretica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Fasloos di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Gnoseologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Di Martino Carmine.